mercoledì 19 dicembre 2018

Caviale & Spumàn...lalala lalà. Tutto di casa nostra. Italia, Lombardia, Brescia. Ci pensano Agroittica (Calvisano) e Le Marchesine (Franciacorta)


Caviar & Champagne è una vecchia canzone di Peter Van Wood, pure plagiata dal gruppo dei Coldplay, cui lo stesso Van Wood fece (o minacciò di fare) causa per un milione di euro, nel 2009.
Per fortuna, non c’è pericolo di plagio se noi in Italia “imitiamo” moscoviti e parigini proponendo, al posto di Champagne e caviale russo, spumante classico e caviale italiano. Anzi. Sono loro che corrono qualche rischio. Che le “imitazioni” siano meglio degli originali. Certo meglio di quella tradizione ormai un po’ decrepita che vedeva abbinare vodka con le golose uova di storione del Mar Caspio.
Oggigiorno, ce la possiamo cavare da soli. E ottimamente. Lo deve aver pensato anche Loris Biatta (foto sotto), vulcanico patron de Le Marchesine, azienda agricolo-vinicola tutta dedita alla produzione di 
Franciacorta Docg in ben 9 espressioni diverse.  
Ed ecco unite insieme per una prova d’assaggio due fra le aziende del Wine&Food più prestigiose del panorama lombardo e italiano.  Già, perché se le bollicine pluripremiate sono di Passirano, Brescia, le palline di caviale vengono da Calvisano, sempre Brescia: non più di 44 km di distanza. 
Cenni di cronaca sui protagonisti. Le Marchesine è stata fondata dalla famiglia Biatta nel 1985. Il titolare è Loris Biatta (figlio di Giovanni, l’iniziatore), coadiuvato da tutta la famiglia e da un enologo francese, Jean-Pierre Valade, che opera anche in Champagne. Biatta si occupa di tutto, dalla vigna alla cantina, dal marketing all’esportazione e i figli Alice e Andrea sono ormai sulle sue orme. Le vigne sono allevate col metodo Guyot e Sylvot, con diverse densità di ceppi per ettaro. In generale si avverte la mano felice di uno “sciampagnista” in cantina, pur in guanto franciacortino. 450mila bottiglie la produzione annua, tra brut ed extra brut, dosage zero e rosé, satèn e blanc de noirs, Secolo Novo e Secolo Novo brut nature, due super riserve.
L’Agroittica Lombarda nasce nel 1977 a Calvisano dall’idea di Giovanni Tolettini e Gino Ravagnan di utilizzare, attraverso uno scambiatore termico, il calore eccedente della produzione di una fabbrica di acciaio per scaldare le affioranti acque di falda e realizzare così un impianto di acquacoltura. In breve tempo ci si converte dall’allevamento dell’anguilla a quello dello storione di varie specie, in particolare di quello bianco. Dagli anni Novanta si avviano le prime produzioni di caviale (appunto dalle uova degli storioni), in maniera ecologica e artigianale. Le restrizioni della fine degli anni Novanta alla pesca del grande pesce, si rivela una fortuna per l’azienda di Calvisano, che con i suoi allevamenti è in grado di sopperire alla grande, in termini quantitativi ma anche qualitativi, alla decrescita della pescato. Nel 2007 nasce Storione Ticino, grazie all’accordo con la famiglia Giovannini che per prima ha ottenuto la riproduzione dello storione codice (Acipenser naccarii,) specie tipica
dell’Adriatico, e con la famiglia Mandelli, allevatori storici del Parco del Ticino. E nel 2015 inizia la produzione del prestigioso Beluga. Oggi Agroittica produce, utilizzando 60 ettari di vasche per l’allevamento del pesce, 28 tonnellate di caviale all’anno, suddivise in tre marchi: Calvisius CaviarCavalier Caviar Club Ars Italica Caviar.
Particolarmente interessante quest’ultimo brand, la cui materia prima proviene dal Parco del Ticino: si tratta di tre tipologie di storione: russo, stellato e adriatico.
Ed ecco i matrimoni d’amore
Caviale Tradition Prestige Calvisius Ars Italica con Secolo Novo. Le uova sono quelle dello storione bianco, specie originaria del Pacifico americano, di grandi dimensioni (da 2,9 a 3,4 millimetri), colore dal grigio al nero. Occorre attendere circa 11 anni prima che le uova siano pronte per essere estratte e lavorate.  Caviale delicato, ma che conserva graditi sentori marini, sfumature di frutta secca (nocciola, in particolare) e persino un ricordo di cioccolato bianco. Due le scelte di abbinamento col Secolo Novo, il top delle bollicine delle Marchesine. Col Secolo Novo brut 2011, tutto Chardonnay di un vigneto-cru, il colle La Santissima, di Gussago, dal perlage fine e ininterrotto, complesso, con ricordi di arachidi tostate che ben s’incontrano con alcuni sentori del caviale, sapore rotondo, elegante e sapido. O con il più secco, ma imponente Secolo Novo Giovanni Biatta brut nature Riserva 2009, complesso, fine, di sapore asciutto ma di bel nerbo, con un bouquet complesso, dal pompelmo alla lavanda, al cardamomo. 
Con questi due Franciacorta e col caviale Tradition Prestige siamo ai vertici degli abbinamenti…natalizi. Ma si può festeggiare ugualmente con gusto, sposando con altri Franciacorta del salmone affumicato. Come il norvegese Fjord, salato a secco (ma non troppo, per fortuna) e affumicato con levità grazie al legno di faggio. Qui gli abbinamenti più interessanti ruotano intorno a due vini delle Marchesine, anch’essi a base di Chardonnay. Quello più easy e gratificante nella sua linearità sembra essere col Satèn 2014 (la tipologia di Franciacorta che, pur rientrando nella categoria dei brut, dona una sensazione di particolare morbidezza gustativa, per via della minor frizzantezza e della cremosità delle bollicine): perlage fine e cremoso (appunto), sentori floreali (ginestra, pesco) e poi di nocciola e orzo perlato; sapore fresco e di particolare morbidezza.  Per un abbinamento più deciso si può puntare invece sul Blanc de Blancs brut 2010, dal bel colore paglierino carico tendente al dorato, bollicine fini e persistenti, aromi floreali e fruttati e persino di caramella mou, sapido in bocca, con bel finale balsamico ed elegante. 
Buon Natale e Buon Anno. Saremo tutti più buoni? “Loro” lo sono già…

INFO. Qualche prezzo orientativo. Caviale Calvisius Ars Italica: Tradition Prestige sui 60-70 € la papalina da 30 gr. ; 77 € il Royal; 129 l’Elite. Agroittica Lombarda, Via Kennedy, Calvisano (Brescia),  www.agroittica.it, www.calvisius.it.  Fjord, via Cassano Magnago 120, Busto Arsizio (Varese), www.fjor.eu.
Franciacorta Secolo Novo brut 2011, 40 €; Franciacorta Secolo Novo Giovanni Biatta brut nature 2009, 45/50 €. Franciacorta Satèn 2014, 22 €; Franciacorta Blanc de blancs 2010, 28 €. 
Le Marchesine, via Vallosa 31, Passirano (Brescia), www.lemarchesine.com.

venerdì 14 dicembre 2018

Asti secco e Acqui Rosé: due nuovi spumanti brut anticrisi. E attorno ai neonati, solide realtà: Barbera d'Asti e Nizza, Moscato e Brachetto. Fra le colline Patrimonio dell'umanità

Langa Astigiana e Monferrato fanno parte delle Colline dell'Unesco, assieme alle Langhe albesi e al Roero

Chi descrive ancor oggi il mondo del vino piemontese come un po’ chiuso in se stesso, poco dedito all’innovazione (a parte qualche barrique qua e là) e appoggiato su vecchi allori, si dovrà ricredere. Prendiamo la zona dell’Astigiano (e Alessandrino), la più importante, insieme a quella di Alba. In un paio d’anni, i vignaioli, le cantine e i loro consorzi hanno tirato fuori dal cilindro, anzi dalla botte, tre tipologie nuove di vino. Con l’annata 2016 ha fatto la sua comparsa il Nizza Docg (che in verità già esisteva come sottozona della denominazione Barbera d’Asti). Nel 2017 è stata la volta dell’Asti spumante secco, che si affianca alle tipologie tradizionali dell’Asti dolce e del Moscato d’Asti (fermo, o meglio appena fremente quando lo si versa). Con la vendemmia 2018 anche quelli del Brachetto d’Acqui hanno tirato fuori un nuovo vino, che affianca i Brachetto dolci delle versioni spumante, fermo e passito. Non hanno osato, forse per timore di confondere le acque, chiamarlo Brachetto secco; hanno preferito farne uno spumante rosé, denominandolo Acqui Rosé brut, pur sempre Docg. Ma la base è quella, l’uva Brachetto. Una serie di degustazioni in loco, tra fine novembre e i primi di dicembre ha messo in luce i risultati e le potenzialità dei nuovi Moscati secchi, Acqui brut, ma anche delle vecchie, care Barbera d’Asti, nelle due tipologie, normale e superiore.

ASTI È una Docg basata interamente sull’uva Moscato bianco, coltivata in una zona che si estende su 52 comuni, anche delle confinanti provincie di Alessandria e Cuneo (10mila ettari di vigneto),   ma divisa in tre denominazioni. La prima è quella dell’Asti tout court, spumante dolce tipico delle feste e frizzante compagno dei classici panettone, pandoro e di un’altra infinità di dolci non troppo concentrati o caratterizzati da liquori. Si produce per lo più col metodo Martinotti (o Charmat) cioè nelle grandi autoclavi, dove prende la spuma nel corso della (breve) seconda fermentazione. Qualche produttore ha voluto riprendere l’antico Asti spumante metodo champenois, inventato da Carlo Gancia nell’800, facendo appunto un Asti dolce col metodo classico della lunga rifermentazione in bottiglia: fra i pochi, Gancia, col suo 24 mesi Cascina Fonda, col suo Driveri (5 anni sui lieviti). Fra i tantissimi Asti sul mercato, eccone alcuni che mi sembrano d’eccellenza (indicati i soli produttori, se il vino non ha un suo nome specifico): La Selvatica, dell’Azienda Caudrina (foto a sinistra), Vignaioli di S. StefanoGiulio Cocchi SpumantiRoberto Sarotto.
C’è poi il Moscato d’Asti, medesime uve non spumantizzate, un delizioso vino dolce di bassa gradazione, con una punta di pétillant appena versato nel bicchiere. Fra i produttori migliori segnalerei Bera (Su Reimond)Braida (Vigna senza nome)Cascina CastlètCoppo (Moncalvina)Gianni Doglia (Casa di Bianca)Anna Ghione (Piccole gioie)Scarpa (Taccododici, foto a destra)Olim Bauda (Centive).

Ultimo ma non ultimo, il nuovo Asti secco, spumante non così semplice da produrre perché il vino da uve Moscato, portato a completa fermentazione - eliminando quindi gli zuccheri naturali - tende a lasciare un retrogusto amaro, che si è riusciti ad annullare con una tecnica messa a punto dal laboratorio del Consorzio di tutela. È inutile comunque girarci intorno, l’Asti secco (già tacciato di concorrenza sleale dai consorzi del Prosecco per via dell’assonanza) è la risposta a una crisi dell’Asti spumante dolce in termini di vendite (che sembra essersi arrestata dall’anno scorso), che ha lasciato masse di uve inutilizzate. Però è anche un’opportunità: ovviamente per i produttori, ma anche per i consumatori, che possono provare
qualcosa di nuovo e inedito nel campo delle bollicine: pur essendo di sapore asciutto, questo Asti ha intensi sentori floreali ed erbacei (dalla lavanda alla salvia) e fruttati (dalla mela alla banana) con un inconfondibile richiamo all’uva, che ne rendono la beva molto piacevole sia all’aperitivo sia con piatti non complessi, dai formaggi freschi ai salumi, dai pesci non troppo salsati alle carni bianche. Per ora la produzione è molto limitata, si parla di qualche centinaio di migliaia di bottiglie, contro i 55milioni dell’Asti e i 33milioni del Moscato, ma ci sono tutte le potenzialità per una buona affermazione sul mercato. Fra gli Asti secchi assaggiati, ecco alcuni dei migliori prodotti(indicati i soli produttori, se il vino non ha un suo nome specifico): Acquesi (foto a sinistra), Bastieri, Umberto di Cascina Fonda, DuchessaLia delle Cantine Capetta, Up di Fontanafredda.

BRACHETTO D’ACQUI Vino rosso dolce Docg, prodotto nelle tipologie spumante e fermo (tappo raso), ma anche, in misura molto minore, frizzante e passito (appassimento in pianta). Si può dire che appartenga alla stessa famiglia anche il nuovissimo spumante rosato, che si avvale però di un’altra denominazione, quella dell’Acqui Docg Rosé.
Vini con l’uva Brachetto se ne fanno da sempre: in un tempo neanche troppo lontano era un rosso fermo, più o meno secco, in qualche modo simile a certe tipologie di Sherry o di Porto. Negli anni Cinquanta Arturo Bersano decise di spumantizzarlo, sfruttandone le doti aromatiche e facendone un vino dolce. Da allora, un successo crescente, anche se il territorio non è enorme, 1200 ettari di vigneto su 26 comuni fra Alessandria (la provincia di Acqui) e Asti; rese per ettaro basse (in teoria 80 q.li, ma si arriva anche a 40), produzione annua di circa 4,5 milioni di bottiglie. 

Rosso rubino luminoso, il Brachetto dolce al naso ha bouquet floreale (rosa) e fruttato (fragole), ha un perlage fine e persistente nella versione spumante (metodo Martinotti). Anche la versione ferma ha caratteristiche organolettiche analoghe, mentre quella passita aggiunge sentori di frutta cotta, confettura di ciliegie, note di mandorla. Abbinamenti: dolci in genere. In particolare: torta di fragole, pesca Melba con gelato alla crema e salsa di lamponi, bavarese alle fragole, bunet.
Produttori d’eccellenza (indicati i soli produttori, se il vino non ha un suo nome specifico): Araldica, Braida, Pian delle Canne di Alice Bel Colle (foto a fianco), Susbel di Dario Ivaldi, Passrì Pineto (passito) di Marenco

Acqui Spumante Rosé brut. Per la verità il disciplinare contempla anche versioni non secche, come il dry, ma è chiaro che si punta sul brut (o l’extradry) per il nuovissimo spumante da uve Brachetto 100%, primo rosato in Italia a essere riconosciuto con la Docg. Prima anche l’annata, il 2018, che vede una produzione di queste bollicine col metodo Martinotti (in autoclave, dopo poche ore di contatto delle bucce col mosto per estrarre il colore) in un numero di bottiglie ancora ridotto (circa 50mila) rispetto alle ambizioni. Che sono di proporre un piacevole spumante da aperitivo, da bere al bar come al ristorante, in accompagnamento a cibi saporosi e non troppo strutturati, per un consumo il più possibile easy e giovane.
Il colore è un rosa delicato, simile ai rosé provenzali; il sapore è secco, ma anche setoso, di una certa eleganza, floreale (rosa, violetta), con un lontano richiamo all’uva, a volte con sentori di lampone. Qualche abbinamento particolare: frutti di mare, salmone affumicato, pesce fritto, trancio di tonno al sesamo.
Ed ecco i produttori preferiti, fra i non molti che ho potuto provare: Acquesi, Bersano, Tre Secoli.

BARBERA D’ASTI L’hanno chiamata Barbera Revolution, il che, per una degustazione guidata alla presenza di un centinaio di giornalisti in maggioranza stranieri, era un clam invitante ma forse eccessivo. E infatti, nel corso della masterclass del 1° dicembre al Foto Boario di Nizza Monferrato, Filippo Mobrici, presidente del Consorzio di tutela Barbera d’Asti e vini del Monferrato, si è affrettato a precisare che si è trattata di un’evoluzione nel tempo, quella della Barbera d’Asti, partita nel 1970 e approdata…all’oggi. Il che è senz’altro più giusto. Vediamola brevemente. La Doc nel 1970, la Docg nel 2008 per le tipologie Asti e Superiore e la sottozona Nizza, poi divenuta autonoma Docg nel 2016. Sono date che segnano un’evoluzione qualitativa, con rese più basse del vino per ettaro, invecchiamenti più mirati e qualificati, studi puntuali sul vitigno, per centrare sempre più la collocazione sul mercato di un vino che viene da lontano, ma che doveva evolversi in versatilità, piacevolezza, precisione d’identità.
Ancora qualche dato (arrotondato). La superficie vitata della Barbera d’Asti è di oltre 4100 ha., su 169 comuni delle provincie di Asti e Alessandria. 21 milioni di bottiglie prodotte nel 2017 (con un incremento particolare della tipologia Superiore, + 16%, e del Nizza Docg, + 17%, pari a circa 370mila bottiglie. Da segnalare l'importante alloro conseguito da Michele Chiarlo con l'aggiudicazione del 1° posto nella lista dei Top 100 del mondo 2018, da parte di Wine Enthusiast al vino Cipressi Nizza Docg 2015). 
La differenza tra Barbera d’Asti normale e Superiore è semplice, ma importante per il risultato finale: la prima può essere venduta a partire dal 1° marzo dell’anno successivo alla vendemmia, la seconda, dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla vendemmia e deve aver fatto almeno sei mesi in botti di rovere. Poi vi sono dati più tecnici, che riguardano l’alcol minimo (12° e 12,5°, rispettivamente) e l’estratto non riduttore minimo, 24 g/l per la prima, 25 g/l per la Superiore. Ambedue le tipologie possono utilizzare fino al 10% di altri vitigni rossi (mentre il Nizza è basato al 100% sul Barbera).
Qualche cenno sulle sensazioni sensoriali. La Barbera d’Asti ha colore rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento; profumi intensamente vinosi, che si arricchiscono di note speziate nella versione Superiore, grazie al passaggio nel legno; sapore asciutto ma generoso, spesso rotondo, che acquisisce note più complesse e vellutate con l’invecchiamento, unite a un maggior vigore.
Il tasting del 1° dicembre ha riguardato 19 vini (tutti 100% Barbera), suddivisi in 4 serie di assaggi: 7 Barbera d’Asti Docg 2016 e 12 Barbera d’Asti Docg Superiore, sempre dell’annata 2016.
Tra le prime 7 (Ricossa; Garone Evasio; Viticoltori Associati di Vinchio & Vaglio Serra; La Solista, di Caudrina; Anno Domini, di Terre Astesane; Le Orme, di Michele Chiarlo; Camp du Rouss, di Coppo) le preferenze sono andate a La Solista di Caudrina (vinificato con macerazione a freddo di 24/36 ore, poi malolattica, affinata 4 mesi in bottiglia. 6mila bottiglie): intensamente fruttata (marasca, prugna), bella struttura, morbida, equilibrata ma anche vigorosa. E al Camp du Rouss di 
Coppo, una Barbera che forse poteva essere annoverata fra le Superiori, visto i 12 mesi trascorsi in barrique di rovere francese (70mila bottiglie). Molto strutturata e complessa nei profumi e al palato, ma di grande morbidezza e personalità.
Le altre 12 Barbera d’Asti, 2016, ma della tipologia Superiore: 175 Vendemmie, di Family Winery Berta Paolo; Cremosina, di Bersano; Rive Il Cascinone, di Araldica Castelvero; Alfiera, di Marchesi Alfieri; Ciresa, di Marenco; Epico, di Pico Maccario; RossoMora, di Tenuta Bricco San Giorgio; Le Rocchette, di Olim Bauda; Sichel, di Franco Roero; Bricco Paradiso, di Tenuta Il Falchetto; Genio, di Gianni Doglia; e Passum, di Cascina Castlèt.
Ecco i preferiti. Rive Tenuta Il Cascinone di Araldica Castelvero. Vinificata in acciaio, malolattica compresa, è stata affinata per un anno e più in tini di legno per 3/4  e per il resto in barrique, per poi restare 6 mesi in bottiglia. Prodotte 45mila bottiglie. Vino molto fresco, fruttato, che unisce ai consueti sentori di amarena e prugna, anche alcune note tostate e persino cioccolatose; in bocca, ricco, ancora fruttato ma con sfumature speziate, tannino fine ed equilibrata acidità.
Le Rocchette di Tenuta Olim Bauda. Vinificato in acciaio, fa 18 mesi in botti grandi e 6 mesi in bottiglia. Prodotto in 25mila bottiglie. Al profumo di prugna si aggiunge un lieve speziato e una spruzzata di cacao. In bocca: strutturato, potente ma equilibrato e morbido, finale lungo.
Passum di Cascina Castlèt. Dopo la vendemmia le uve in cassettine forate vengono fatte leggermente appassire nel fruttaio, ampio locale aerato. Vinificata con macerazione di 2/3 settimane, quindi maturazione per metà in grandi botti e per l’altra metà in barrique per circa 9 mesi. Affinamento in bottiglia per altri 6 mesi. 30mila bottiglie. Sempre i sentori di prugna al naso, integrati da quelli del ribes; in bocca, generoso, di buona morbidezza, caldo ed elegante, anche sapido. Bella l’etichetta serigrafata e cotta sul vetro, che simboleggia la lettera phi  (fi) greca o anche un mandala, simbolo del cosmo induista.
Tutti vini inconfondibili, nella tipologia Barbera d'Asti, che lasciano un'impronta indelebile nel ricordo organolettico di chi le assaggia, proprio come il nuovo logo del Consorzio: un'impronta digitale a forma di calice.

Info. Consorzio per la tutela dell'Asti, www.astidocg.com. 
Consorzio tutela Brachetto d'Acqui, www.brachettodacqui.com. 
Consorzio Barbera d'Asti e Vini del Monferrato, www.viniastimonferrato.it Associazione Produttori del Nizza, www.ilnizza.net

lunedì 10 dicembre 2018

Tra Pinot nero e Gewürztraminer, vigne di montagna e Riesling renani fanno capolino un Lagrein passito e un maso trentino...Hofstätter si ricorda di essere un Foradori

Il Castello di Rechtenthal, circondato da vigneti di Gewūrztraminer.

Il Pinot nero della Borgogna è da sempre uno dei più grandi e tradizionali vitigni (e vini) del mondo. Non c’è da stupirsi perciò se anche in Italia lo si sia piantato e ripiantato a più riprese nel corso almeno degli ultimi 150 anni, nel tentativo di imitare quelli dei cugini francesi, adattando il vitigno al terroir per ricavarne comunque vini importanti. In Trentino e Oltrepò pavese è utilizzato soprattutto per vinificarlo in bianco come base di spumanti classici; in Val d’Aosta, Toscana, Marche e Umbria se ne ricava un vino fermo di buona, a volte anche ottima qualità. In Alto Adige viene coltivato sin dalla prima metà dell’Ottocento, dando luogo a vini strutturati, dai profumi intensi di bacche rosse e di violetta, e dal sapore asciutto e generoso. Uno dei produttori di punta del Sud Tirolo, che “ci punta” da tempo, è Hofstätter, che di Pinot nero, o Blauburgunder per dirlo alla tedesca,  ne produce ben quattro, uno più interessante dell’altro.
Quello di base si chiama Meczan ed è comunque un vino tipico, le cui uve sono selezionate dai vigneti dell’altopiano di Mazon, in terreni caratterizzati da un conglomerato di argilla, calcare e porfido. L’altopiano si trova di fronte a Termeno, sul versante orientale della vallata. I filari perciò guardano a ovest, verso il sole pomeridiano e serale, con il vento Ora che soffia fino a tardi: un clima perfetto per il Pinot nero. Per mantenere un certo carattere al vino, il 25% delle uve vengono versate senza dirasparle nelle botti di fermentazione, dove la massa rimane con le bucce a contatto diretto del mosto per una decina di giorni. Matura poi alcuni mesi in acciaio. Il vino che ne risulta è di un bel colore rubino vivace, con profumi freschi di ciliegie e piccoli frutti di bosco, equilibrato, fine. Adatto ai primi piatti con sughi di carne e a secondi a base di pollame, altre carni bianche e rosse arrostite. Prezzo annata 2017 (80mila bottiglie circa): sui 12-14 € la bottiglia.
Pinot nero
Riserva Mazon
Si sale di qualità col Pinot nero Riserva Mazon, uve ulteriormente selezionate rispetto a quelle del Meczan, sempre sullo stesso tipo di terreno dell’altopiano Mazon e medesima tipologia di vinificazione, ma con una maturazione di un anno in piccole botti, poi ulteriori 6 mesi in botte grande e un altro anno di affinamento in bottiglia. Il colore col tempo si è approfondito in un granato profondo, mentre rimangono i profumi di piccoli frutti e si aggiunge quello della marasca. Caldo e rotondo in bocca, complesso, si apre mano a mano e diviene morbido, quasi vellutato. Abbinamenti gastronomici quasi ovvi, ma non meno indovinati: formaggi stagionati, selvaggina, carni rosse. Prezzo annata 2015 (30mila bottiglie ca.): 25-28 € la bottiglia
Con il Barthenau Vigna S. Urbano siamo già ai vertici del Pinot nero di Hofstätter e dell’intero Alto Adige. È una delle migliori espressioni del terroir di Mazon, un cru (vigna) della tenuta Barthenau, le cui viti spesso hanno già raggiunto i 65 anni di età. La tecnica di vinificazione, dopo il raccolto in casse piccole, è la stessa dei fratelli minori, mentre la maturazione in legno si compie in due momenti distinti: dapprima 12 mesi in barrique di legno francese, poi l’assemblaggio dei vini delle piccole botti in una sola botte grande per altri 8 mesi. Ancora 8 mesi in bottiglia ed il vino si presenta affinato al punto giusto per il consumo. Colore rosso rubino tendente al granato, bouquet ampio, che ricorda i classici profumi borgognotti: lampone, amarena, vaniglia e spezie fini. In bocca, asciutto, concentrato, giustamente tannico, elegante. Adatto alle carni rosse, selvaggina, formaggi saporiti, fa matrimonio d’amore con cappelle di porcino alla bracePrezzo annata 2015 (15mila bottiglie ca.): 60/70 €.
Ed eccoci sulla punta della piramide “pinonerina” di Hofstätter, un vino che viene prodotto solo in annate  particolari e in un numero limitatissimo di bottiglie: Ludwig Barth von Barthenau Roccolo. Il nome è lungo e merita una spiegazione. Correva lil decennio 1860-70 quando il Cavalier Professor Barth von Barthenau decise di impiantare Pinot nero in una tenuta che portava il suo nome, sull’altopiano di Mazon. Il vigneto si trovava vicino a una postazione di caccia, un roccolo appunto, da dove venivano catturati gli uccelli migratori.
A partire dal 1942 il luogo è coltivato a pergola, ma è solo da sei anni che le uve della Vigna Roccolo vengono vinificate separatamente. Dopo la raccolta manuale, i grappoli vengono diraspati e gli acini vengono selezionati manualmente. Segue una breve macerazione a freddo (per esaltare i profumi) e una lenta fermentazione a temperatura costante per una decina di giorni. Poi la maturazione nel legno: 18 mesi nelle piccole botti di rovere francese, quindi l’assemblaggio in un’unica botte grande per 6 mesi e, dopo l’imbottigliamento, ancora un anno nel vetro.
Pinot nero
Roccolo
Una volta versato nel bicchiere, il Roccolo si presenta rosso granato; al naso si avverte subito una complessità di aromi: prevalgono mirtilli e amarene, poi vaniglia. In bocca: pur elegantemente tannico all’inizio, si fa quindi più vellutato, persistente, lungo, anche se un ulteriore affinamento in bottiglia sarebbe opportuno. Abbinamenti elettivi: petto di piccione con salsa al ribes nero, filetto al formaggio Bergkase. In generale, arrosti, selvaggina e formaggi saporiti. Prezzo annata 2012 (1200 bottiglie e 100 magnum): 190 € circa la bottiglia
Non è tutta qui (se vi par poco) la produzione di Hofstätter, che attualmente si aggira sulle 850mila bottiglie l’anno su tre linee di prodotto. Per rimanere fra i rossi, va almeno segnalato il Lagrein Vigna Steinraffler 2015, che fa 22 mesi di legno grande e piccolo (10mila bottiglie, 20-24 € la bottiglia); e una “pazzia” di Martin Foradori Hofstätter, l’attuale titolare (della quarta generazione di una famiglia di origine trentina per linea paterna): sta sperimentando (ma dovrebbe essere in vendita già dal 2019) un Lagrein 2015 da uve passite al 100% su graticci per 4 mesi, una sorta di Amarone altoatesino che, se sorprende al primo assaggio, si rivela poi in bocca di tale morbidezza e profondità da spiazzare; non sembra proprio un vino piacione, ma indubbiamente un vino molto diverso dalla sua normale tipologia e dalla tradizione sudtirolese. 
E i bianchi dell’Alto Adige? Gerwürztraminer e Sauvignon, Müller Thurgau e Pinot bianco, sono queste le eccellenze della regione, abbastanza conosciute anche nel resto d’Italia. Ai quali Martin Foradori ha aggiunto da qualche anno i Riesling…della Mosella, avendo acquistato in Austria la storica azienda vinicola Weingut Dr. Fischer , con vigneti lungo il fiume Saar. La produzione al momento si aggira sulle 50mila bottiglie, in gran parte di vini secchi, delle quali 8000 vanno negli Stati Uniti. Vini di gran classe, sapidi, unici quelli della Mosella e del Reno. Val la pena di cercare in enoteca il Kupp GG (la sigla indica il grado più alto di secchezza di questi vini) Saarburg Dr. Fischer, elegante e strutturato, di appetitosa mineralità (prezzo: sui 13-16 €. Vedere anche, sempre su Il MoncalVini, l’articolo del 12/7/2018 Riesling Renano, vini a confronto: dalla Mosella al Trentino, dall’Oltrepò pavese alla…Calabria)
Gewürztraminer
Vigna Kolbenhof
Con l’annata 2017 Martin Foradori è tornato a produrre – dopo dieci anni – un Sauvignon. Ha scelto le vigne di un maso d’alta montagna come l’Oberkerschbaum(in italiano: Cereseto Superiore), che si trova a sud di Mazon (all’altezza di Cortina/Roverè della Luna), sui 750/800 m. d’altitudine. Sarà il suo ottavo vino a denominazione Vigna. Affinato per un anno in botti da 500 litri, all’assaggio, in anteprima, rivela una bella verve acido-sapida, sentori fruttati e persino desueti ma non spiacevoli (pipì di gatto), con lievi note affumicate.
La sede di Hofstatter è a Termeno, Tramin in tedesco. Come dubitare che un produttore di lì produca il famoso Gewürztraminer (o Traminer aromatico)? La presenza dell’omonimo vitigno (chiamato anche Savagnin) è documantata sin dal 1145 sul territorio.
Hofstatter ne propone addirittura cinque: lo Joseph  e il Vendemmia Tardiva (acini stramaturi colti a novembre, invecchiato per 12 mesi in piccole botti) della Linea Selezione; e tre della categoria Esposizioni speciali: il Konrad Oberhofer Vigna Pirchschrait; il Vigna Kolbenhof e il Vigna Rechtenthaler Vendemmia Tardiva. Vediamo questi ultimi due.
Il Vigna Kolbenhof è frutto di una selezione nell’omonima Tenuta di Termeno, le cui vigne crescono su un terreno argilloso-calcareo. Le uve vengono pigiate in maniera soffice e il mosto rimane a contatto per qualche ora con le bucce rosate. Dopo la fermentazione, il vino matura 8 mesi sui lieviti, che vengono smossi settimanalmente. Lo distinguono gli aromi fruttati di albicocca mescolati a quelli di mango e passion-fruit; concentrato, sapido ed elegante in bocca, si avverte la rosa e un finale appena abboccato, sostenuto dalla giusta acidità. Da abbinare a fegato grasso, crostacei, cucina speziata orientale. In particolare: cocktail di scampi, riso e gamberi allo zafferano, pasta alla Faruk (con scampi e curry)Prezzo annata 2017 (35mila bottiglie): 23-26 € la bottiglia.
Dulcis in fundo è un adagio che funziona sempre. E i Gewürztraminer dolci si abbinano perfettamente con molti dessert. Così il Rechtenthaler Schlossleiten (adiacente al Kolbenhof, il nome significa Vigna del castello di Rechtenthal) Vendemmia Tardiva deriva da uve che godono di un riscaldamento dall’alto dal sole mattutino e dal basso dell’aria fresca che scenda a valle dal monte Roen: questa combinazione permette di mantenere una buona acidità, mentre gli zuccheri si concentrano prima della vendemmia tardiva. Selezione manuale dei grappoli prima e dei chicchi più maturi poi, mosto a contatto con le bucce per qualche ora, soffice pressatura e fermentazione a temperatura controllata. Maturazione finale per 8 mesi sui lieviti. Al naso i profumi sono netti, quasi opulenti. Pera, albicocca molto matura, miele. In bocca, elegante, aromatico, dolce; cremoso e mielato, ma sapido, non stucchevole. Abbinamenti: formaggi piccanti, dolci con cioccolato, cremoso al mascarpone e cachi vaniglia, apfelschmarren (frittata dolce di mele)Prezzo annata 2015 (1500 bottiglie): 80 € la bottiglia.
Martin Foradori Hofstätter
Ma quali sono i programmi futuri di Martin Foradori? Il patron sostiene che per valorizzare i cru dell’Alto Adige si debba disciplinare la zonazione per legge, ufficializzando il censimento di 77 microzone particolarmente vocate alla viticoltura per esposizione, altitudine e metodo di allevamento, con particolare rilievo per la pergola, che sta sparendo. A livello più aziendale, visto che ormai di terreni coltivabili a vigneto in Alto Adige non ce ne sono più, ha deciso di puntare sul Trentino, sviluppando il Maso Michei ad Ala, in proprietà da un anno (8 ettari, più altri 4,5 in acquisizione), vitati a Pinot nero e Chardonnay come basi spumante classico (ma forse anche per un rosso Pinot), Sauvignon e Müller Thurgau. Un ritorno agli avi, una sintesi fra Trentino e Alto Adige, già insita nel cognome di Martin: Foradori Hofstätter.
Info. Tenuta J. Hofstätter, piazza Municipio 7, Termeno (Bz), tel. 0471.860161, www.hofstatter.com