mercoledì 7 febbraio 2024

Rossi siciliani Docg / La disfida di Vittoria: Sabuci o Santa Tresa? The Winner is...The Cerasuolo!

 

La Vigna Vecchia di Santa Tresa coltivata a Nero d'Avola.

L’unico vino Docg (cioè a denominazione di origine controllata e garantita) della Sicilia è il Cerasuolo di Vittoria, che si basa su Nero d’Avola (dal 50 al 70%) e Frappato (dal 30 al 50%). Un ottimo rosso, che si presta all’invecchiamento, anche se teoricamente può essere commercializzato fin dal giugno successivo alla vendemmia. A fare di tutta l’erba un fascio, ovvero dando una definizione mediana delle sue caratteristiche sensoriali, si presenta solitamente con un bel colore rosso ciliegia (da cui il nome Cerasuolo, dal dialetto cirasa, a sua volta dal francese cerise), con sentori fruttati – ciliegia appunto, frutti di bosco -, elegante e più o meno complesso in bocca, piacevolmente tannico, sapido.
Gli abbinamenti più comuni spaziano dalle paste asciutte con sughi saporiti a quelle ripiene, dalle carni grigliate e selvaggina ad alcuni piatti e formaggi tipici siciliani, su tutti il Canestratu tuma e il Canestratu primu sali. 
Straccetti di tacchino e...
Mal contati, sono 35 i vitivinicoltori, che possono produrre sia la versione normale sia la 
Classico, quest’ultima con regole più restrittive (una zona più ridotta e tradizionale e una maturazione in cantina almeno sino alla fine di marzo del secondo anno successivo alla vendemmia). 

Singolare appare il caso dei fratelli Stefano e Marina Girelli, trentini, ma
produttori di vini a Vittoria dal 2010, con due tenute agricole acquisite e rifondate in periodi successivi:
 Santa Tresa e Cortese, situate a soli 8 km l’una dall’altra, ma con terroir e genotipi di viti, nonché tecniche di produzione, piuttosto diversi. 

Qui esamineremo i loro Cerasuoli, per capire se i vini siano simili o molto differenti per la loro storia e caratteristiche e per scegliere, a insindacabile ma meditato giudizio della giuria (composta esclusivamente da chi scrive) il migliore: attraverso un voto in trentesimi, come all’università. 

...Cerasuolo S. Tresa

Ambedue le aziende agricole sono ormai da qualche anno in regime di coltivazione biologica e i vini portano anche il marchio “Vegan friendly”. 

Santa Tresa si trova a 240 metri s.l.m., nel comune di Vittoria, 50 ha di estensione di cui 39 a vigneto. La sabbia rossa che costituisce un primo strato di circa mezzo metro del terreno, è ricca di minerali; sotto, fino a 1-2 metri, roccia calcarea, fragile, dove penetrano le radici; più in basso ancora, terreno argilloso che contribuisce a trattenere l’umidità. Il metodo biologico è integrato da quello della confusione sessuale, che difende le colture e rispetta l’ambiente; la potatura è studiata per mettere al riparo i grappoli dall’eccessivo calore estivo. La vite è difesa dai parassiti con modalità “sartoriali”, cioè ad hoc, quasi grappolo per grappolo; l’acqua per l’eventuale irrigazione di soccorso è misurata attentamente per non sprecarla. E recuperata da depositi di pioggia, per preservare quella dei pozzi. Intorno, api con le loro arnie, piccoli mammiferi e uccelli (fra cui i falchi), conigli e volpi.

Acquistata nel 2016 l’azienda agricola Cortese, che si trova in località Sabuci di Vittoria, era già divenuta biologica con la precedente proprietaria Giovanna Cortese. Si tratta di 14 ha a circa 20 km dal mare, anche per effetto del quale gode di un microclima unico, grazie alla brezza pomeridiana che contribuisce a un clima secco e ventilato, utilissima in estati in cui si possono sforare i 40° di temperatura. Il suolo in superficie è smosso e abbastanza calcareo: sino a 40 cm di profondità,

Cerasuolo Classico Sabuci,
di Cortese e...
scheletro e argilla con molti minerali, poi uno strato più profondo di calcarenite, una roccia sedimentaria dura, ma fragile sul fondo. 

In vigna, durante la maturazione dei grappoli, analisi continue e sperimentazioni, anche perché in realtà i suoli variano a pochi metri di distanza. Abolito nella cura delle viti ogni intervento chimico, si utilizzano solo fertilizzanti naturali, come il favino da sovescio, peraltro autoprodotto. E sostenibilità a 360°, utilizzando l’acqua messa a disposizione da una piccola diga senza usare i pozzi; anche qui si pratica la confusione sessuale anti parassiti, in un ambiente peraltro ricco di piante di aranci, mandorli, ulivi, per non dire dei piccoli animali che scorrazzano indisturbati...

Le uve utilizzate per produrre i Cerasuoli di Vittoria sono ovviamente per ambedue le zone le medesime, ma mentre a Santa Tresa il Nero d’Avola costituisce il 60 % e il Frappato il 40%, a Sabuci il Nero sale al 70% e il Frappato diminuisce al 30%. Inoltre il Nero d’Avola di Santa Tresa è per un 15% lasciato appassire leggermente in pianta. La raccolta delle uve ha luogo fra metà settembre e inizio ottobre, a mano e in piccole cassette per non rischiare fermentazioni indesiderate.

...Brasato di manzo
al Nero d'Avola
Fermentazioni e affinamenti. A Santa Tresa il Nero d’Avola fermenta in botti di rovere di Slavonia da 30 hl, fra i 18 e i 24° di temperatura, con rimontaggi frequenti legati alle prove d’assaggio. Conclusa la prima fermentazione, il vino fiore viene ripassato sulle bucce per due settimane e, una volta separato da queste, torna nelle grandi botti di rovere per lo svolgimento naturale della malolattica. 

Il Frappato invece fermenta in tini d’acciaio a 18-20°, quindi a temperatura più fresca rispetto al Nero d’Avola, così da esaltare le note di fruttato. Poi 8/10 giorni ancora a contatto con le bucce così che si svolga la malolattica. Terminate le fermentazioni i due vini vengono mixati nel nuovo Cerasuolo e posti a maturare in botti grandi, da 30 o 60 hl per l’85%; per il restante 15% in barrique (225 litri). La maturazione dura circa un anno, poi si procede all’ultimo assemblaggio e all’imbottigliamento.

Nell’azienda Cortese Il Cerasuolo Sabuci, che prende il nome dalla contrada, è preparato in modo tutt’affatto diverso. Il Nero d’Avola fermenta in barrique aperte con follature (immersioni del cappello di bucce) frequenti, ma delicate. Il Frappato invece si trasforma in vino nelle grandi anfore di terracotta da 7 hl, per quasi 12 mesi. Quindi i due vini vengono assemblati e maturano in barrique e altre botti più grandi per sei mesi. Affinamento finale di almeno 12 settimane in bottiglia.

E finalmente, così istruiti, eccoci alla prova d’assaggio. 

 

Cerasuolo di Vittoria 2021, Santa Tresa

Alla vista: colore Rosso rubino con balenii porpora. Al naso: geranio e rosa, poi piccoli frutti rossi, susine, marasca, note di menta e vaniglia. In bocca: secco, tannini morbidi, ben strutturato e persistente, eppur brioso, con un fondo vanigliato e balsamico. 

VOTO: 27

 

Cerasuolo Classico di Vittoria Sabuci 2021, Cortese

Alla vista: Rosso rubino con riflessi granata. Al naso: netta melagrana e poi ciliegia, tenui ma percepibili piccoli frutti di bosco (mora, mirtillo); infine tamarindo ed erbe aromatiche, quali origano e finocchietto. In bocca: secco, tannini eleganti e "dolci", concentrato, con bella spinta sapida finale, dalla quale spunta un alito minerale di selce, da catturare fra le note di cuoio e cacao. 

VOTO: 29

 

Ma quali piatti abbinare per Matrimoni d’amore coi due vini? Non staremo a spaccare il capello in quattro, con distinzioni esasperate. Benché diversi, sempre di Cerasuolo si tratta. Ed ecco allora un piccolo elenco di preparazioni che ben si attagliano ad ambedue.

A cominciare, ebbene sì, da piatti di pesce di buona struttura e sapidità. Come un Tonno in crosta di pistacchi o un Pesce spada alla ghiotta (piatto calabro-siciliano, con pomodoro, olive verdi, capperi e origano), una Zuppa di pesce di scoglio o una Cernia con cipolle in agrodolce.

Fra i primi piatti: Pasticcio di maccheroni; Pasta ’ncasciata. 

Piatti di carne: Spalla di maialino dei Nebrodi alle erbe; Spezzatino di capretto al rosmarino; Involtini di vitello al formaggio Vastedda Dop (in mancanza, il cacio che preferite, purché si fonda bene) e basilico; Agnello al forno; Filetto di maiale alle mele; Fesa di manzo ai funghi; Cinghiale in agrodolce. 


I miei due instant pairing, gli abbinamenti preferiti sperimentati ieri:

Straccetti di tacchino con verdurine, zenzero e soia  e  Cerasuolo di Vittoria Santa Tresa

Brasato di manzo al Nero d’Avola e patate  e  Cerasuolo di Vittoria Classico Cortese

Buon appetito e...Prosit!


Info: Santa Tresa, contrada Santa Tresa, Vittoria (Ragusa), tel. 0932.875615, www.santatresa.com 

Az. Agr. Cortese, contrada Sabuci, Vittoria (Ragusa), tel. 0932.875615, www.agricolacortese.com

Prezzi: Cerasuolo di Vittoria 2021, S. Tresa: 16 €; Cerasuolo di Vittoria Classico Sabuci 2021, Cortese: 16 €.


Tramonto sulle vigne dell'azienda agricola Cortese



lunedì 4 dicembre 2023

Dalla Mosella alla Vittoria, ecco i vini per le feste. Bianchi, rossi, rosati e aranciati. Di tutti i colori, per tutti i gusti

 


Come li volete i vini per le Feste? Candidi come la neve o vermigli come il Natale? Soavemente rosati o anticamente aranciati? Ecco le proposte. A voi la scelta. 

Grappoli di Riesling della Mosella
Non c’è niente da fare. Salvo eccezioni individuali e forse quella collettiva degli alsaziani, i migliori Riesling del mondo si producono sempre in Germania, fra il Reno e la Mosella. E proprio sui terreni prospicienti la Saar (un affluente della Mosella), a Ockfen, nei pressi della pittoresca Saarburg allignano le vigne di Riesling del Dr. Fischer, vecchia e prestigiosa cantina un po’ decaduta, acquistata un decennio fa e riportata ad antiche ma ora più moderne glorie, dall’altoatesino (di Termeno) Martin Foradori, con la sua azienda vinicola di famiglia HofstätterIl Riesling Mosel 2022 è un Trocken, cioè un vino secco, ma ne esistono anche altre versioni tradizionali che spaziano fra lo Spätlese (vendemmia tardiva, secca o amabile) Auslese (versione invecchiata, intensa, con grappoli che possono essere stati attaccati dalla muffa nobile), Beerenauslese (grappoli attaccati dalla muffa nobile), e poi vini più dolci e complessi, come gli Eiswein e i Trockenbeernauslese. 

Il Riesling Mosel Dr. Fischer 2022 si presenta con una nuova veste, più attuale, semplice e diretta: il logo è un amo stilizzato che si staglia sullo sfondo in leggero rilievo di una rete da pesca: il tutto richiama il nome dell’azienda vinicola: dr Fischer letteralmente significa dottor pescatore. E sotto traccia vuol significare anche che a molti piatti di pesce si abbina bene questo vino.

La vendemmia 2022 ha prodotte uve di qualità soddisfacente e in quantità superiore a quella del 2021; non ci sono stati, in generale, grossi danni dovuti a grandine o siccità. Grappoli quindi ben maturi al momento della vendemmia, con giuste acidità e gradazioni alcoliche moderate (qui siamo sui 12°).

Dalle uve pigiate dolcemente nella cantina del Dr. Fischer si è ricavato un mosto che è stato mantenuto a contatto con le bucce per alcune ore. Sono seguite pressatura, precipitazione naturale dei sedimenti e fermentazione a temperatura controllata. Poi l’affinamento in bottiglia di qualche settimana. Il 2022 si presenta di un bel colore paglierino; all’olfatto risalta un grato sentore di agrumi mixato con note minerali, in particolare di ardesia e pietra focaia. In bocca, secco, giustamente acido ed equilibrato, con perfetta corrispondenza coi profumi, sapido e corroborante. Eccellente da aperitivo e antipasti di pesce, caviale, salmone affumicato, ostriche; Risotto di pesce persico; Branzino alle erbe aromatiche; Choucroute alsaziana (provare per credere); cucina asiatica speziata.

40mila bottiglie; sui 14 € la bottiglia.

 

INFO. Prodotto in Austria e distribuito in Italia da Tenuta J. Hofstätter, piazza Municipio 7, Termeno (Bolzano), tel. 0471.860161, www.hofstatter.com/it 

 

Dalla Mosella tedesca alla Lombardia per un’ennesima riprova che vini bianchi ricavati da uve coltivate come dio comanda e vinificate con sapienza, possono maturare anche parecchi anni, mantenendo un’ottima qualità organolettica o addirittura migliorandola. 

 

Una degustazione verticale del Lugana Orestilla, tenutasi ai tavoli dell’estroso ristorante Daniel Canzian di Milano ha provato tutto ciò. Le annate proposte erano quella dal 2016 al 2021, mancando la 2019 praticamente esaurita. Ebbene, la ’20 e la ’21, molto piacevoli e promettenti, hanno dovuto cedere il passo, sul piano della qualità organolettica, all’annata 2016, dalle spiccate fragranze di fiori gialli e di susina, percezioni di pepe, in bocca sapida, con sentori di agrumi e zenzero. 

Tuttavia il Lugana Orestilla 2021, attualmente in commercio, è in realtà anch’esso un gran vino, che promette evoluzioni affascinanti per altri 4 o 5 anni. Deriva, come tutti i Lugana, da uve Turbiana (ma al 100%, mentre il Disciplinare della Doc permette anche solo il 90% più un 10% di altri vitigni) e matura sulle fecce nobili per circa 8 mesi, per poi affinarsi in bottiglia per almeno altri 10. Al naso, i primi sentori sono di papaya e susina, poi ”arrivano” lo zafferano e una mineralità che ricorda la pietra focaia. Daniel Canzian con questo vino propone un Risotto al limone, sugo d’arrosto e liquirizia (foto sotto a destra) e anche un Filetto di rombo con mosaico di verdure, che si sposano amorevolmente; eccellente anche con Zuppa di pesce del Garda (ma anche di mare), Risotto con la tinca, Branzino con verdure.  Solo 8mila bottiglie35 € l’una in enoteca.

Il vino è prodotto da Montonale, una realtà giovane, familiare, costituita dai tre fratelli Roberto, Claudio e Valentino Girelli. L’azienda vinicola è stata fondata nei primi anni Duemila e la prima bottiglia di vino ha visto la luce nel 2008, ma già le generazioni precedente avevano prodotto vino su terre di proprietà. L’azienda agricola nel 2010 ha poi preso il nome di Montonale, come la località in cui si trova (nei pressi di Desenzano del Garda). Si tratta attualmente di 35 ha di vigne che allignano su un terreno argilloso, ricco di scheletro e calcare, elementi che conferiscono alle uve, se ben vinificate, aromaticità e finezza. Si seguono i dettami dell’agricoltura integrata, fertilizzando con sostanza naturali e praticando l’inerbimento. Vendemmia manuale in più passaggi per poter raccogliere i grappoli perfettamente maturi. 

Risotto al limone e sugo d'arrosto
La cantina ha le pareti in paglia di riso intonacata, traspirante, che garantisce un perfetto microclima, mentre l’impianto fotovoltaico sul tetto assicura l’autonomia energetica della struttura. All’interno, macchinari di ultima generazione, fra cui vasche d’acciaio termocondizionate, botti di rovere di Allier da 500 lt per i vini rossi e anfore di cemento. Lieviti indigeni per la fermentazione, attentamente selezionati. 

Fra gli altri vini prodotti da Montonale, vanno segnalati il Montunal 2022, anch’esso Lugana in purezza (prezzo: 14,50 €), fratello minore per invecchiamento dell’Orestilla; il Valtenesi Chiaretto Rosa di notte 2022 (14,50 €); il Brut metodo classico Primessenza 2019 (25 €). Infine due rossi, La Venga 2020 (Marzemino e Barbera) e La Conta, vino complesso da uve Cabernet Sauvignon e Merlot, eccellente da sposare a carni rosse e formaggi maturi come il Garda stagionato di Tremosine e il Bagoss.

 

INFO. Azienda agricola Montonale, loc. Conta 4/A, Desenzano del Garda (Brescia), tel. 030.9103358, www.montonale.it

 

E ora al sud: in Campania per il terzo vino bianco di questo rassegna natalizia.

 

L’Oikos 2021 è un Greco di Tufo Riserva Docg prodotto in Irpinia, che ha già ottenuto importanti riconoscimenti, quali i Tre Bicchieri della guida Gambero Rosso, la TopWine della guida Slow Wine 2024 e la medaglia Gold al Merano Wine Festival 2023. 

Quali sono gli atout di questo bianco così celebrato, ma non molto conosciuto? È ottenuto da un rarissimo clone di Greco Antico, caratterizzato da un acino più piccolo del tradizionale Greco. Ma con un succo molto più concentrato e perciò più ricco. Lo produce l’azienda agricola Fonzone, nelle campagne, anzi su un colle di Paternopoli (Avellino), dove è collocata la moderna cantina di 2mila mq., quasi del tutto sotterranea, che si inserisce armoniosamente nella morfologia collinare circostante.

I vigneti di Fonzone
Sui due versanti, fra i 360 e i 430 m. d’altitudine, allignano le viti, su terreni sia argilloso-calcarei che a tessitura più sciolta. Ai piedi della collina scorrono due torrenti che influenzano il microclima  caratterizzato da ampie escursioni termiche. Qui l’azienda vendemmia e imbottiglia da vigneti di Aglianico il Taurasi Docg Riserva Scorzagalline, il Mattoda’ Irpinia Doc Campi Taurasini e un Irpinia Rosato. Altre produzioni riguardano la Falanghina Irpinia Doc e il Fiano d’Avellino Docg. 
Finalmente, il Greco di Tufo. Quello, per così dire, “normale” nasce dai vigneti di Altavilla Irpina e Montefusco, posti su pendii scoscesi fra i 650 e i 450 metri s.l.m. Terreni argilloso-tufaceo-calcarei, microclima e basse rese per ettaro garantiscono già in partenza ottimi grappoli per la vinificazione della versione-base, che in vendemmia si presentano solitamente con un bel colore giallo intenso. Ma la quintessenza del Greco di Tufo è la Riserva Oikos, che ha debuttato con l’annata 2020.

Viene realizzato a partire dai migliori grappoli raccolti solo ad Altavilla Irpina da vigne esposte a sud-est e piantate su terreni argillosi con sedimenti tufacei e venature sulfuree. 

La resa per ettaro è bassissima, 20 quintali. Raccolta manuale e veloce trasporto in cantina, selezione e pressatura soffice le prime pratiche vendemmiali. Seguono fermentazione e maturazione in grandi botti di rovere austriaca da 25 hl per un anno circa. Quindi altri 12 mesi di sosta in serbatoi d’acciaio e ulteriore affinamento in bottiglia per un anno. 

L’Oikos 2021 ha colore giallo paglierino brillante, tendente all’oro. Profumi intensi e complessi: fruttati in

cui prevale la mela matura, poi pesca, cedro, nocciola e noce moscata. In bocca, secco e di giusta acidità, ma con una sfumatura amabile; poi, ritorni pepati, di agrumi ed erbe aromatiche e una buona mineralità. Fa matrimonio d’amore con primi piatti di pesce come Bavette al granchio; e ancora con Calamari e mazzancolle al gratin; Involtini di spada e melanzane; Coniglio al forno con timo e patate.
6.500 bottiglie, 27  l’una.

Infine una curiosità...significativa. Oikos è parola greca che significa casa, focolare domestico, un’idea quindi di famiglia, di lavoro collettivo, come è quello del produrre vino in generale e dell’Oikos in particolare: che però ha anche un’espressione individuale, quella del winemaker Luca D’Attoma, noto enologo e agronomo fiorentino, che si è innamorato del territorio irpino e ha accettato alcuni anni fa di occuparsi della produzione della famiglia Fonzone Caccese.

 

INFO. Fonzone, loc. Scorzagalline, Paternopoli (Avellino), tel. 0827.1730100, www.fonzone.it

 

Dalla Campania alla Puglia, nel Tacco d’Italia ovvero la penisola Salentina, famosa per i suoi vini rosé. E di due rosati d’eccezione, un vino fermo e uno spumante classico, si dirà qui.

 

LGrotta Zinzulusa di Castro, sull’Adriatico, è la più famosa e affascinate spelonca marina del Salentino. A lei hanno pensato i titolari della Masseria Altamura di Torre Santa Susanna (che in realtà si trova a una novantina di km più a nord) quando, nel 2018, si è trattato di dare un nome al nuovo vino rosé, ottenuto al 100% da uve Negroamaro. E l’hanno chiamato Zínzula, dal termine dialettale zinzuli, alla lettera stracci, che designa le stalattiti pendenti dal soffitto della grotta.

L’antica Masseria Altamura (17° sec., foto sotto a destra) si trova a metà strada fra i mari Adriatico e Ionio, il che permette alle coltivazioni di beneficiare della salinità del primo e delle correnti ventose del secondo. Il territorio, ricco di pietra bianca affiorante che riflette i raggi solari, è di una luminosità rara e si giova di questa luce a specchio per la maturazione dei grappoli d’uva. 300 ettari totali, di cui 130 a vigneto e 40 a oliveto caratterizzano la produzione, che si completa con altri 88 ha a seminativo. 

La masseria seicentesca, restaurata nel rispetto dell’architettura originaria e dell’ambiente, è affiancata da una cantina costruita secondo i principi della bioarchitettura. Nel perimetro della proprietà, anche una massiccia torre in fase di trasformazione in residenza di pregio e una cappella privata che vanta affreschi del 16° secolo.

Il vitigno più importante della tenuta è il Primitivo, che dà luogo alla Doc Primitivo di Manduria, ma si coltivano anche Fiano, Negroamaro e Aglianico. La nuova cantina, inaugurata nel 2012, si sviluppa su 2.000 mq con capienza complessiva di 10mila ettolitri. Vengono utilizzati contenitori d’acciaio a temperature controllate, botti di Slavonia da 60 hl e tonneau da 350 lt in rovere francese.

Davanti alla cantina, sale di accoglienza e degustazioni e wineshop in ambienti suggestivi dalle volte a stella. 

Fra i vari Aglianico, Primitivo, Negroamaro, Falanghina e spumanti distribuiti su tre linee (Cru, Selezioni e Spumanti), spicca non un rosso o un bianco, ma per una volta un rosato, proprio lo Zìnzula ritenuto dagli stessi proprietari – la famiglia Zonin – e dal direttore nonché agronomo ed enologo Antonio Cavallo, il gioiello della Masseria Altamura. Il vigneto di Negroamaro dedicato  al rosé alligna su terreni caratterizzati da terre rosse fini su un banco di pietra calcarea. La linea di coltivazione è più simile a quella di un bianco che di un rosso: si favoriscono pareti di foglie vigorose che proteggano l’uva da surmaturazioni, per evitare esiti ossidativi ed eccesso di tannini. Si cerca insomma giusta acidità e freschezza per ottenere finezza di aromi. 

Vendemmia a metà settembre, all’alba, mosto di sgrondo, senza macerazioni, in modo da preservare le note varietali più fresche, ottenere un colore rosa delicato e minimizzare eventuali note tanniche e amare. Poi sosta in vasche d’acciaio sulle fecce fini per 4 mesi e infine un breve affinamento in bottiglia. 
Risultato? Un colore rosa cipria con qualche riflesso ramato; al naso, frutti rossi, come ciliegie, lamponi e fragoline mixati con sentori floreali (rosa canina) e richiami agrumati e speziati (pepe rosa, zenzero). In bocca: fresco, teso, sapido e beverino, con grati accenni di mineralità e buona corrispondenza naso-palatale.

Diego Gottardo, chef del gruppo Zonin1821, lo consiglia sul primo piatto Gran Tortello d’anatra glassata all’arancia su brodo di funghi e cavolo nero. Altri matrimoni d’amore si possono realizzare  con Tartare di gamberoni al mandarino e pepe rosa; Sauté di cozze; risotti di mare; Linguine ai ricci; Baccalà in guazzetto.

Zínzula Rosé, Salento Rosato Igt 2022, 100mila bottiglie, 13 € ca. la bottiglia.

 

INFO. Masseria Altamura, Strada provinciale 69, Torre Santa Susanna (Brindisi), tel. 0831.740485, www.masseriaaltamura.it

 

Damiano Calò
Negroamaro in prevalenza anche per le bollicine rosa di un altro inaspettato vino pugliese, il brut metodo classico Rosa del Golfo, che si avvale pure di un tocco di Chardonnay. 

La storia aziendale di Rosa del Golfo, che si trova ad Alezio, nel Leccese, si identifica con la famiglia Calò fin dagli anni Trenta, ma è nei Sessanta che grazie a Mino Calò si passa all’imbottigliamento e nasce la prima bottiglia del rosato Rosa del Golfo (il golfo è quello di Gallipoli, che fa da sfondo ai vigneti). 

A fine secolo, dopo l’improvvisa scomparsa di Mino, le redini dell’azienda vengono prese in mano dai figli Damiano e Pamela, coadiuvati dall’enologo storico della famiglia Angelo Solci, già noto enotecario in Milano. Attualmente producono circa 300mila bottiglie l’anno su 40 ettari vitati a Negroamaro, Malvasia nera, Primitivo (uve rosse), Verdeca e Chardonnay (uve bianche). I vini che ne derivano sono tre rosati, cinque rossi e due bianchi, fra cui il Bolina brut e, ultimo ma non ultimo, lo spumante rosé. 

Le bollicine del Rosa del Golfo derivano dalle uve di Negroamaro al 90%, e per il resto di Chardonnay, coltivate su terreni collinari argillosi e ferrosi, che si giovano di un clima temperato. Dopo la vendemmia e la prima fermentazione i due vini vengono uniti in bottiglia per la maturazione sui lieviti e la presa di spuma, operazione che dura circa 30 mesi. Poi la sboccatura e il rabbocco con una liqueur d’expédition a base del Rosato Mazzì, più una bassa percentuale zuccherina che fa sì che lo spumante sia brut, cioè secco. Essendo non millesimato, la cuvée può
essere 
composta da diverse annate, per ottenere il miglior risultato.

Alla vista, un bel colore cerasuolo con sfumature ramate; perlage lungo e fine. Sentori di rosa e geranio al naso, poi ciliegia, lampone; e lieviti. In bocca secco e armonioso, ampio con richiami ai sentori olfattivi floreali e fruttati. Finale lungo.

Abbinamenti elettivi con Tartare di ricciola; Risotto ai gamberi di Gallipoli; Linguine al sugo di triglie; Tortino di alici e pomodorini; Turbante di spigola su vellutata di fave.

Rosa del Golfo Brut Rosé Metodo Classico20mila bottiglie, 25 € l’una.

 

INFO. Rosa del Golfovia Garibaldi 18, Alezio (Lecce), tel. 0833.281045, www.rosadelgolfo.com 



Ancora più a sud, oltre la Calabria. E cosa c’è? La Trinacria come la chiamavano i Greci, ovvero la terra dei tre promontori, oggi Sicilia, da un paio di decenni almeno alla ribalta con la sua vitivinicoltura di qualità. Ma...

 

Ma, è un vino rosato? No aranciato. Anzi bianco. ”Che confusione...” Non è neanche l’indimenticato brano dei Ricchi e Poveri Sarà perché ti amo. E neppure un’incertezza produttiva, o una mutazione genetica.

Ricominciamo. Si chiama Insieme, Orange - Terre siciliane Igp ed è composto per l’80% da Inzolia e per il restante 20% da Zibibbo (detto anche Moscato di Alessandria), due vitigni che producono uve bianche. Ma il vino è arancione, come mai? Il fatto è che appartiene a quella categoria di prodotti definiti appunto Orange wines, per via del colore che gli deriva da una tecnica enologica tipica dei rossi e che consiste essenzialmente nel fatto che le bucce adatte vengono lasciate a contatto col mosto per un tempo relativamente lungo, fino a conferire la famosa tonalità aranciata. 

Ma vediamolo in concreto questo Orange siciliano prodotto a Vittoria, patria del famoso Cerasuolo di Vittoria, unico vino della regione riconosciuto con la Docg. È l’azienda agricola Santa Tresa a proporlo, una creatura dei due fratelli trentini Stefano e Marina Girelli, che, rilevando nel 2010 quest’antico feudo, l’hanno rilanciato con entusiasmo, basandosi sulla la tradizione ma innovando al bisogno, sia pure in maniera rispettosa.  

La produzione (curata dagli enologi Stefano Chioccioli e Mattia Giacomelli) da qualche anno è rigorosamente biologica e ogni accortezza ecosostenibile è utilizzata per ovviare agli inconvenienti delle calure siciliane, con recuperi delle acque piovane per preservare il più possibile le falde acquifere. Qui si producono esemplari Cerasuoli, Frappati (anche spumante), Neri d’Avola, rosé. Ad essi si è aggiunto di recente l’Insieme. 

Le uve di Inzolia e Zibibbo vengono raccolte manualmente in stato di perfetta maturazione e vengono quindi diraspate e sottoposte separatamente a pigiatura soffice, quindi vinificate. La fermentazione viene indotta a temperatura fresca e controllata, fra i 17 e i 19°, mantenendo le bucce a contatto con i due vini. Ma mentre per l’Inzolia sono sufficienti due settimane e mezzo circa, lo Zibibbo ne abbisogna di sei. Durante i primi 7-10 giorni di fermentazioni si procede a follature giornaliere (reimmissione delle vinacce nel mosto). Al termine, i due vini vengono assemblati nelle percentuali già indicate e il vino risultante lasciato ad affinarsi sulle fecce fini per altri tre mesi e quindi imbottigliato.

Muretti a secco e vigne a S. Tresa
Il colore è un arancione leggermente ambrato. Al naso si avvertono sentori agrumati e di frutta esotica, dal mango alla papaya e poi ancora albicocca e susina; e lievi note speziate, fra cui pepe bianco, e balsamiche, come la menta. In bocca è secco, fruttato, sostenuto da giusta acidità, sapido ed equilibrato al contempo.

Da provare con piatti della cucina asiatica: Sushi e Sashimi, Pollo tandoori; poi, Fonduta svizzera moitié moitié (coi formaggi Gruyère e Vacherin e pepe di Cayenna); Pennette alla vodka, Salmone croccante alle erbe mediterranee, Scaloppine al Marsala Vergine, Filetto al pepe rosa. 

Insieme, Orange Wine Biologico e Vegano, Terre Siciliane Igp 202220mila bottiglie, 15 € la bottiglia

 

INFO. Santa Tresa, contrada Santa Teresa, Vittoria (Ragusa), tel. 0932.875615, www.santatresa.com 


Ed ora, di nuovo, Giù al Nord, per parafrasare un fortunato film francese. E il Piemonte ha avuto molto a che fare storicamente con l’Oltralpe. Rosso il vino, il più reputato storicamente, tanto da meritare l'appellativo di “Re dei vini e vino dei Re”.

 

Barolo uno e trino. È quello prodotto da Tenuta Cucco a Serralunga d’Alba, ai piedi del famoso Castello omonimo. Il vino più tradizionale dell’azienda agricola è ovviamente il Barolo del Comune di Serralunga d’Alba Docg, che non segnala in etichetta cru, bricchi, menzioni aggiuntive. Epperò le sue uve provengono da due miniterritori specifici, il Bricco Voghera e la Menzione Cerrati. Che a loro volta, vinificate da sole, danno vita ad altri due Barolo.

L’avventura della trinità barolista ha una sua storia. Va ripercorsa sia pure in breve per capire meglio i vini, che non si comprendono completamente limitandosi all’assaggio. Serralunga è una delle zone principe del Barolo: una delle sue caratteristiche è quella di dare vita ai vini più longevi del territorio della Docg. Ciò è dovuto in gran parte a un microclima favorevole, facilitato dall’altitudine di vigneti che si estendono fra i 230 e i 400 metri s.l.m. L’uva Nebbiolo è regina incontrastata nella zona e in particolare a Tenuta Cucco, anche se tra Serralunga e Roddi sono piantate altre vigne che danno luogo al Langhe Nebbiolo, ma anche a Dolcetto e Barbera d’Alba e pure al bianco Chardonnay, per un totale di circa 70mila bottiglie.

Cucco fa parte dei Tenimenti Rossi Cairo, che comprendono anche l’azienda biodinamica La Raia di Novi Ligure, nella quale si producono il bianco Gavi e una Barbera del Piemonte. Deus ex machina è l’imprenditore milanese Giorgio Rossi Cairo, ma chi si occupa più direttamente delle aziende vinicole è il figlio Piero, che, sulle orme di quanto realizzato a Novi, dal 2018 ha voluto introdurre anche a Tenuta Cucco il metodo biologico, nonché una gestione dell’impresa improntata all’autosufficienza energetica e alla consapevolezza ecologica. In cantina, realizzata negli anni Sessanta dai precedenti proprietari, la famiglia Stroppiana, ci sono attualmente 23 grandi botti di rovere di Slavonia da 25-30 hl, e 60 barrique di legno francese.

Ma veniamo ai tre vini, tutti dell’annata 2019.

Noblesse oblige che si parli anzitutto del più tradizionale e storico Barolo della tenuta e cioè del Serralunga d’Alba Docg. Fino a qualche decina d’anni fa la produzione di questo vino non era sfaccettata come ai tempi nostri e in particolare, pur esistendo magari di fatto dei cru, cioè delle vigne particolarmente vocate, questi non venivano nominati in etichetta, anche perché si preferiva mescolare le uve indistintamente. Il che, fatto con sapienza e discernimento, non è un male, si tratta di scegliere. Fare un vino utilizzando le parti migliori delle proprie vigne o farlo, per terreni omogenei, mettendo in risalto tecniche e differenze organolettiche?

I Rossi Cairo, coadiuvati dagli enologi Clara Milani e Mauro Vioglio hanno deciso...di non scegliere e di produrre sia il più tradizionale Barolo della zona sia i cru.

Ed ecco i risultati.

Barolo Docg del Comune di Serralunga d’Alba 2019. I grappoli di Nebbiolo sono state raccolti a mano nelle microzone del Bricco Voghera e nella parte bassa del cru Cerrati, su suolo calcareo-argilloso, con rese di 70 q.li per ha. Le uve hanno fermentato nei tini a temperature fra i 18 e i 26° per 10 giorni; ne è seguita una macerazione a cappello, per cui le bucce vengono mantenute sommerse a contatto col vino per estrarne sostanze e colore. Si è effettuata quindi la svinatura, seguita da travasi e dalla fermentazione malolattica (l’acido malico si trasforma in lattico, dando una maggiore morbidezza al vino), passando poi alle fasi di maturazione, per smussare le angolosità del vino giovane: due anni in grandi botti da 25 hl, più l’affinamento di un altro anno in bottiglia. 

Il colore è rosso granato scarico con una leggera unghia aranciata. Al naso, classici sentori di rosa appassita, sottobosco, e una leggera speziatura che richiama la liquirizia e anche il caffè. In bocca, secco, di giusta acidità, leggermente tannico e ben strutturato; anche fruttato, con sentori finali di tabacco e goudron.

30mila bottiglie, 35 € la bottiglia


Barolo Docg Bricco Voghera 2019

Sono 2,5 ha. di terreno poco profondo, calcareo-argilloso, con le vigne poste fra i 370 e i 405 metri s.l.m. La resa per ettaro qui si abbassa a 60 q.li. L’uva raccolta (diraspata e pigiata) è stata subito messa a fermentare a 18° e per 3 giorni in piccoli tini. Poi la fermentazione è proseguita con rimontaggi, mantenendo le bucce intatte, a 26°. Dopo un mese di macerazione è seguita la svinatura e quindi la fermentazione malolattica. Al termine il vino è stato trasferito in botti da 25 hl per 30 mesi; infine un ulteriore affinamento in bottiglia per due anni.

Alla vista, un rubino brillante, con qualche lampo aranciato. Al naso emergono la violetta e il lampone; poi liquirizia e vaniglia. In bocca, secco, pieno, sapido, setoso, con note balsamiche.

3.500 bottiglie, 58 € la bottiglia


Barolo Docg Cerrati 2019. Cerrati è un cru di 4 ettari, posto fra i 300 e i 405 metri di altitudine con ottima esposizione a est, sud-est. Al suo apice c’è il vigneto più antico, Vigna Cucco, che dà il suo nome alla tenuta. Il terreno è sempre calcareo-argilloso e poco profondo. L’uva raccolta (la resa è di 60 q.li per ha) è stata subito diraspata e posta in macerazione prefermentativa in tini piccoli per 3 giorni a 18°. Poi la fermentazione vera e propria a 26° sulle bucce per circa un mese e quindi la svinatura e la fermentazione malolattica. La maturazione è avvenuta nelle botti da 25 hl per 30 mesi. Ha concluso la procedura l’imbottigliamento e il vino si è affinato nel vetro ancora per un anno.

Colore rosso rubino tendente al granato. Al naso, rosa di macchia, timo, menta, poi ribes e ciliegia, tabacco e corteccia. In bocca: secco e vibrante, tannini setosi, morbido, elegante con finale fungino.

3.500 bottiglie, 58 € la bottiglia


I tre vini hanno personalità diverse, ma pur sempre di Barolo di Serralunga si tratta. Ecco dunque gli abbinamenti elettivi che si sposano armoniosamente con ciascuno dei tre. A partire da un primo piatto, proposto da Tommaso Arrigoni, chef-patron del ristorante milanese Innocenti Evasioni: l'eccellente Riso Carnaroli Acquerello mantecato alla zucca, con fonduta al Taleggio e polvere di fave di cacao. Poi, fra gli antipasti: Salame di Varzi, Mortadella al tartufo, Carne cruda all’albese con scaglie di tartufo d’Alba, Terrina di pernice. Fra i primi: Tagliatelle alla bolognese, Tajarin al tartufo, Agnolotti al brasato. Fra i secondi: Filetto di cervo al tartufo, Anatra ripiena con porcini, Cappelle di porcini alla griglia, Lepre in civet, Tournedos alla Rossini. Formaggi: Castelmagno, Bagoss, Pecorino di Pienza.

 

INFOTenuta Cucco, via Mazzini 10, Serralunga d’Alba (Cuneo), tel. 0173.613003, www.tenutacucco.it


sabato 30 settembre 2023

Mezzo millennio di storia vitivinicola al Pozzetto. Protagonisti il Botticino, il vino che nasce tra i marmi delle cave e la cantina Noventa: piccoli numeri, grandi bottiglie

 

L'uva del vino Botticino fra le "sue" cave di marmo

“In questi giorni stiamo raccogliendo le uve Schiava Gentile e Marzemino destinate al rosato L'Aura. A inizio ottobre sarà la volta delle uve per i tre rossi, in anticipo di una settimana rispetto al consueto”. Alessandra Noventa, nella sua omonima azienda vitivinicola di Botticino, in provincia di Brescia, si occupa tanto del settore commerciale Italia quanto dei lavori in vigna e in cantina. Nell’impresa, rigorosamente familiare, lavorano anche il padre Pierangelo, che l’ha fondata nel 1970 e ancora si occupa della conduzione del vigneto, la figlia secondogenita Rossella (Commerciale estero e accoglienza) e Cristian Campana, marito di Alessandra, studi agronomici (come la moglie) ed esperto di cantina, con un pregresso di 17 anni nella nota azienda franciacortina Cavalleri.

“La stagione in campo è stata complessa”, puntualizza Alessandra Noventa, “ma con due vantaggi: la grandine qui non è arrivata (negli ultimi anni è stata sempre di casa, purtroppo) e il territorio quest'anno ha fatto davvero la differenza: avere vigneti in alta collina ha permesso di beneficiare dell'assenza di ristagni di umidità, che tanti problemi hanno creato a molti produttori.” 

“Si raccoglieranno quindi uve sane”, concorda Cristian Campana, “un’ottima premessa per una grande annata”.

Panorama sulle vigne dalla proprietà Il Pozzetto
Chissà se anche 450 anni fa e cioè nel 1573, la vendemmia in località Pozzetto di Botticino, anzi di Botesin de Matina, come si chiamava allora (diverso dal sottostante Botesin de Sera, con cui si unì in comune unico – assieme a San Gallo - solo nel 1928) fu buona come si preannuncia quest’anno. Sì, perché già allora si vendemmiava sulle stesse terre che oggi danno origine a un Botticino Doc di gran pregio. 
Come lo si sa? Una recente ricerca (ma durata otto anni) dello studioso Claudio Casali ha portato al ritrovamento di una polizza d’estimo del Comune di Botesin de Matina (che affittava i terreni agricoli e boschivi agli abitanti) da cui risulta che allora in contrada Agazol (poi Pozzetto) vi erano un fienile e una stalla con appezzamenti di terra in parte boschiva, in parte arata o vitata, di 3 piò e 77 tavole, da cui si ricavavano ogni anno 2 some di frumento (120 kg) e 8 zerle di vino (400 litri).

I Noventa attuali (ri)fondarono l’azienda nel 1970, acquistando però il terreno principale, Il Pozzetto, solo pochi anni fa. Ma è interessante sapere che già nel 1641 quelle vigne erano state proprietà per un periodo imprecisato di tempo di una famiglia Noventa, antenati dagli attuali viticoltori. Il Pozzetto odierno, con la sua collina denominata Gobbio, si può considerare il cru storico della zona del Botticino. Il suo terreno è quello più ricco di calcare del territorio, come pure le sue vigne di Barbera e Sangiovese, Marzemino e Schiava Gentile sono fra le più antiche, avendo circa 50 anni (alcune anche 80 anni) d’età. 

Ed è proprio da questi vigneti che i Noventa, con la collaborazione di un enologo del calibro del fiorentino Carlo Ferrini, che si è innamorato del piccolo territorio botticinese e del progetto, sono riusciti a ricavare un vino rosso di gran valore come appunto il Gobbio. 

Un passo indietro. Botticino è stata una delle prime Doc lombarde e italiane (1968), segno che c’era storicità dei vigneti, materia prima interessante (appunto le uve citate prima), risultati buoni. Il contributo di Ferrini si è basato anche sulla sua approfondita conoscenza del vitigno d’origine toscana, il sangiovese, procedendo quindi a una pulizia aromatica e alleggerimento dei vini. Al punto che il Gobbio 2018 ha meritato il riconoscimento dei Tre Bicchieri da parte della guida Il Gambero Rosso.

IGobbio 2019, l’ultima annata attualmente in commercio, come le precedenti deriva da uve di viti a pergola, che crescono sul terreno calcareo e limoso, vecchie anche di 80 anni, alcune delle quali a piede franco (cioè con radici non innestate su piante americane, resistenti alla fillossera). Tutte coltivate in regime di agricoltura biologica, certificato dal 2014. Prevalgono Barbera e Sangiovese, sul poco Marzemino e Schiava. Vino di gran corpo e struttura, si sviluppa e si affina in tini d’acciaio, botti di legno grandi e piccole (barrique, tonneau) per un paio d’anni, si affina poi nel cemento per 5 mesi e ancora in bottiglia da 6 a 12 mesi.

Si presenta con una veste rosso porpora, profumi balsamici e fruttati, dalle more di rovo al tamarindo, al mirtillo nero. Sapido ma fine, elegante, con tannini levigati e richiami ai sentori olfattivi fruttati. Gran bel vino con finale persistente e promesse di longevità protratta. 

Eccellente con Guancia di manzo al Sangiovese o al Barbera, uno dei piatti-principe a cui abbinarlo assieme ad altri stracotti, Lepre in salmì al Botticino, e col saporito ed elegante formaggio a pasta dura Maniva d’alpeggio, di Zanini-Trevalli (www.formaggitrevalli.it ).

Un secondo passo indietro. Botticino è nota, anche mondialmente, per le sue cave di marmo, utilizzato fra l’altro per l’Altare della patria a Roma e il Grand Central Terminal di New York. Questo marmo, non solo viene estratto per uso abitativo, ma si trova sparso su tutte le colline e i terreni vitati di Botticino, sotto forma carbonato di calcio, originato da sedimenti di gusci di molluschi mineralizzati e microorganismi, nonché di particelle inorganiche, portati da correnti e livellate dalle maree in epoca giurassica. Le radici delle viti raggiungono facilmente questa miscela di minerali trasferendola alle uve e riuscendo poi a caratterizzare i vini che ne derivano. 

Ma perché questi vigneti sono così adatti all’agricoltura biologica, che escludendo i prodotti di sintesi, rischierebbe maggiormente rispetto agli attacchi parassitari? Il fatto è che la Valverde – la piccola valle della zona di Botticino - essendo protetta a nord-est e nord-ovest dalle Prealpi bresciane, gode di un microclima mediterraneo caratterizzato fra l’altro da brezze che asciugano i ristagni idrici sui grappoli. Nel caso poi del vigneto Gobbio (nomen omen: è situato su un pendio che disegna una gobba), l’acqua piovana non ristagna e si disperde verso il basso in tutte le direzioni. 

Altri tre vini compongono la piccola produzione di Noventa (circa 30mila bottiglie l’anno). Uno è l’intenso e fruttato rosato L’Aura, di cui si è scritto nel recente con articolo “Colori e sapori del vino rosa...” uscito su queste pagine il 5 agosto 2023 ( ilmoncalvini.blogspot.com/2023/08/i-colori-e-i-sapori-del-vino-rosa-dal.html ).


                                                                                    

I tre cru di Botticino Noventa: Colle degli Ulivi,
Pià de la Tesa e Gobbio

Gli altri, sono due Botticino-cru. Derivano cioè da vitigni di età inferiore al Gobbio del Pozzetto, pur sempre dalle uve classiche della zona, ma con sfumature differenti gli uni dagli altri. Eccoli.

 Pià de la Tesa 2019. Il vigneto sorge accanto alle cave di marmo, sul confine del comune di Nuvolera. Suolo quindi argilloso, marnoso e gessoso per le quattro uve tradizionali della Doc, allevate a pergola: 70% diviso equamente fra Barbera e Sangiovese, 20% di Marzemino e 10% di Schiava. 

Il colore è rosso rubino con sfumature purpuree; profumi di mora di rovo, poi tamarindo e gratificanti accenni speziati. In bocca: sapido, con tannini levigati, ma briosi, finale mediamente lungo. Si abbina bene con le Mereconde al formaggio Bagòss (piatto tipico di Bagolino, in val Sabbia), Trippa in brodo di verdure, Costolette d’agnello, Spiedo bresciano.

 

Colle degli Ulivi 2019. Si trova lungo il sinclinale orientale del monte Maddalena, in frazione Botticino Sera, su una stratificazione geologica più recente delle altre (pur sempre 150 milioni di anni fa), formata da selci policrome, marne calcaree e calcari marnosi silicei rossastri.

Le quattro uve (sempre con prevalenze di Barbera e Sangiovese) vengono vendemmiate a mano, poi il mosto viene vinificato in botti di cemento e una prima maturazione ha luogo sia nel cemento che in botti di legno grandi per circa 20 mesi. Segue l’affinamento nel vetro per almeno 4 mesi.

Il colore è rosso rubino; profumi di fiori e sottobosco con accenni di liquirizia. In bocca è fresco, sapido, quasi goloso, il tannino risulta morbido ed equilibrato. Matrimonio d’amore con i tipici Casoncelli alla bresciana, ripieni di pane secco, Grana padano e conditi con burro e salvia e formaggio grattugiato. E anche con Spezzatino e polenta, piatti di salumi, Arrosto di vitello al latte.

 

INFO. I vini rossi. Botticino Doc Gobbio 2019, 5mila bottiglie, 32 € la bottiglia (in enoteca). 

Botticino Doc Pià de la Tesa 2019, 8mila bottiglie, 24 € la bottiglia (in enoteca). 

Botticino Doc Colle degli Ulivi 2019, 10mila bottiglie, 14 € la bottiglia (in enoteca).

Az. Agr. Noventa, via Merano 26, Botticino Mattina (Brescia) tel. 030.2691500  www.noventabotticino.it . L’azienda è visitabile, previste degustazioni dei vini e organizzazione di eventi aziendali e familiari. Esempi: visita alle cantine, con degustazioni accompagnate da selezione di formaggi e salumi locali: 15 € a persona; con visita ai vigneti in collina, 20 € a persona.

 

venerdì 11 agosto 2023

MiJu, incontro di culture gastronomiche: risotto giallo milanese, sfumato con il Re dei Vins Jaunes del Jura e formaggio Comté. Ricordando Veronelli



Da un brainstorming tra Gianfranco e me nasce questo Risotto MiJu: Milano-Jura. Il Giura francese - c’è anche quello svizzero, confinante  (l’uno dipartimento della Borgogna-Franca Contea, l’altro cantone) – noi l’amiamo soprattutto per i suoi vini particolarissimi: i Vins Jaunes (gialli), al cui vertice si collocano quelli della Aoc (la Doc francese) Château Chalon, pochi produttori con vigneti intorno al'omonimo borgo di 176 abitanti, a un’altitudine che svaria tra i 250 e i 500 metri.

I Vins jaunes – il vitigno utilizzato è il Savagnin blanc – sono vini ossidativi, subiscono cioè una programmata ossidazione, che conferisce loro sentori inusuali. In estrema sintesi, il vino giovane passa i primi sei mesi di vita in botti da 228 litri per poi passare in altre botti scolme, già usate, senza però riempirle completamente. Queste ultime sono poste in vecchie cantine ove nel tempo il vino subisce una parziale ossidazione, con la formazione in superficie di un velo di flor (lieviti ubiquitari, presenti già nelle cantine). Dopo sei anni e tre mesi dall’inizio del processo, il vino viene imbottigliato in bottiglie particolari, chiamate clavelin, dalla capacità di 62 cl.


Il re dei Vins Jaunes è lo Château Chalon, per i suoi terroir particolari e il rigore dei suoi produttori. Le bottiglie vanno aperte anche 24 ore prima, ma un paio d’ore potrebbero bastare per attenuare la carica acida e lasciar sviluppare sentori di noci, note agrumate, di papaya, zafferano, curry, iodio e...chi più ne sente più ne dica. Si gusta al meglio sui 15-16°.


Ma torniamo al risotto. Facendo un passo indietro di un mezzo secolo. Quando Luigi Veronelli scrisse in un suo aureo libretto intitolato Bere giusto (Bur) e dopo aver espresso alcun “norme non vincolanti” sull’abbinamento cibo-vino: “ Meglio contravvenire però alle norme che rinunciare a un buon matrimonio. Ad esempio, io adoro con il risotto giallo-oro-pacioso di Milano il vino giallo-oro vivido e brillante di Château Chalon. La calda magnificenza del primo si abbraccerà al gusto pieno e franco e secco e bouqueté dello Château Chalon, con ardore certo più che da sposo, da amante...”. Suggerisce poi di utilizzare lo stesso vino anche in cottura.


Ma noi abbiamo fatto di più. Per caratterizzare meglio il nostro piatto lo abbiamo trasformato in un risotto giallo...al formaggio. Niente Grana, Parmigiano o altro ma il cacio tipico del Jura, che è poi quello della Franca Contea, il Comté (foto sotto). E lo abbiamo introdotto in pentola e tocchetti qualche minuto prima del termine della cottura. Naturalmente già avevamo sfumato il riso tostato nello scalogno (altro omaggio ai cugini d’Oltralpe) con lo Château Chalon. 

                   


Una volta pronto, l’abbiamo gustato con una certa avidità, bevendoci insieme a piccoli sorsi il Vin Jaune di Château Chalon, che dopo un’iniziale impressione di eccessiva acidità, acquietata nel giro di pochi minuti, ha smussato i suoi angoli più spigolosi ed è sbocciato con un insieme di profumi - il bouquet di cui parla Veronelli - amplissimo. 

Buon appetito e buon bicchiere!


PS per i più venali. Quanto costa il Vin Jaune, quanto costa lo Château Chalon? Se andate da Peck a Milano troverete nell’enoteca sottostante un solo Vin Jaune a 95 €! Se andate su Internet, prezzi sempre alti ma più umani per uno Château Chalon più che soddisfacente: sui 32 €, più qualche euro per la spedizione.