lunedì 30 novembre 2015

Petit Verdot gran vino: ma bisogna saperlo fare. Ecco le bottiglie migliori, dal Médoc alla Sicilia

L'uva Petit Verdot, d'origine bordolese
In Francia, nel Médoc Bordolese, non hanno molta fiducia in lui, però è quasi sempre “invitato” a far parte del blend. In Italia, invece, sta conseguendo da qualche anno un inaspettato successo sotterraneo. Quatto quatto si è infilato in qualche vino Doc e Igt, e qualcuno lo vinifica addirittura in purezza. Si chiama Petit Verdot, ed è un’uva che sta dando buoni risultati lungo la Penisola, in qualche caso straordinari. E allora, perché no, perché non utilizzarlo, se già si coltivano Merlot e Cabernet da secoli anche in Italia, perché fare la barricate contro il povero, anzi il piccolo Verdot? Qualche ragione ci sarebbe ed è semplice. C’è chi, vinificandolo da solo, ne fa un vino mediocre, da pochi euro. Ma non saremmo qui a discuterne se invece non se ne ricavassero vini significativi in varie zone, un po’ a macchia di leopardo, dalle Marche alla Sicilia, dalla Toscana al Lazio. Approfondiamo prima, sia pure velocemente, la situazione francese.
Semiestinto, torna lentamente in auge
Vitigno storico del Bordolese, coltivato solo nel Médoc, oggi lo si ritrova anche nella zona delle Graves. Matura tardivamente, ma, una volta vinificato, apporta al vino colore intenso, ricchezza di tannini e potenza aromatica, in primo luogo il sentore di violetta. L’uva è coltivata in poche centinaia di ettari e figura ancora come componente minore nei cosiddetti Grand cru classé del Médoc. Sostiene Romain Iltis, miglior sommelier di Francia per il 2012, che quest’uva è presente nei cru classé del Médoc in proporzioni che vanno dal 4 al 6% (il resto è Cabernet sauvignon e Merlot), fino al 15% di
Chateau La Lagune (www.chateau-lalagune.com, prezzo: da 34 € la bottiglia). Vitigno difficile, nel Bordolese maturava bene solo una o due volte per decennio, e quindi era ormai in via d’abbandono, ma con il riscaldamento climatico degli ultimi anni è in corso un moderato ritorno al reimpianto. Certo, ha bisogno di molte cure e attenzioni: dovrebbe avere la testa al sole e i piedi all’umido, come dicono nel Bordolese. Non sopporta infatti lo stress idrico e andrebbe coltivato con una resa di non più di 30 ettolitri per ettaro. Bisogna poi cogliere l’attimo fuggente per vendemmiarlo appena è maturo, in 24 ore.
E i pregi? Struttura forte in tannini (da ammorbidire ovviamente con le botti piccole, le barrique), colore rosso profondo, bei profumi di mirtilli e caffè, cacao e cuoio, potenza in bocca.

IN ITALIA
Il Petit Verdot è contemplato in alcune Doc, come Bolgheri Rosso, Offida Docg Rosso, in alcune Igt, come Lazio, Sicilia e Toscana (anche in purezza).
IL MIGLIORE Particolarmente interessante è l’esperienza di un piccolo (90mila bottiglie l’anno) e rigoroso produttore toscano, Campo alla Sughera, di Bolgheri (www.campoallasughera.com), proprietà della famiglia Knauf. Nei circa 17 ettari coltivati, le viti (tranne il Vermentino) sono quasi tutte di origine francese: Cabernet, sauvignon e franc, Merlot, Petit Verdot appunto, e per i bianchi, Sauvignon e Chardonnay). Qui il Petit Verdot ha trovato una sua collocazione precisa, è addirittura maggioritario nel vino-simbolo dell’azienda, il Campo alla Sughera, prodotto solo nelle annate
migliori, ed entra col 20%, alla pari del Merlot (il 60% va ai due Cabernet) nel Bolgheri Superiore Arnione, secondo vino rosso  per importanza. Per capirne di più sulla rilevanza del vitigno Petit Verdot, è opportuno lasciare la parola all’enologo Giovanni Bailo.
Racconta Bailo, che dopo anni di esperimenti in campo con i vari vitigni, quello che ha fornito le prestazioni migliori e più omogenee è stato proprio il Petit Verdot. “Quest’uva può dare vini molto strutturati, data la sua superiore dotazione di polifenoli, ma anche completamente fuori misura, squilibrati. E invece nel nostro terroir il vino risulta sì potente e ricco, ma anche elegante ed equilibrato”. Come mai? Bailo ritiene che il segreto, a Campo alla Sughera, stia nel terreno a matrice sabbiosa, ma con sottosuolo più variegato. L’assenza di argille è valutata positivamente, dato che in questa situazione potrebbero dare al vino note erbacee invasive. Le sabbie insomma ingentiliscono l’uva, senza nuocere alla sua complessità aromatica. Un altro accorgimento consiste nella lunga maturazione, di ben quattro anni (due in legno e due in vetro). Il rovere è quello di barrique francesi nuove, ben stagionate all’aperto per almeno quattro anni. Il Campo alla Sughera non è proprio un Petit Merlot in purezza, ma vi si avvicina, essendo il vino di quest’uva presente al 70%, mentre il restante 30% è Cabernet franc.
Toscana Igt, Campo alla Sughera 2009
È finalmente uscito sul mercato il 2009, la quarta annata del Campo alla Sughera. I primi due anni (2006 e 2007) al posto del Cabernet c’era il Merlot, poi dal 2008 si è optato per il Cabernet franc. Il 2010 e il 2014 non usciranno, visto che le vendemmie non sono state all’altezza di un prodotto che si vuole d’élite. Ma ecco la valutazione di Bailo, che, pur nella modestia della mia esperienza, coincide sostanzialmente con il mio giudizio, espresso nel corso di una cena ad hoc all’eccellente ristorante Il Montalcino di Milano, fondato dall’indimenticabile Edgardo Sandoli e oggi gestito dalla figlia Marta
Guanciale stracotto al vino rosso
de Il Montalcino di Milano
(www.ilmontalcino.it).
Sostiene Bailo: “Colore densissimo e compatto fino al bordo, profumo fine e di variegata complessità (si coglie tutto, dai fiori ai frutti, dalle spezie alle note balsamiche, poi liquirizia, tabacco, cioccolato). Infine: “Sapore elegante, rotondo, avvolgente e lunghissimo”. Non si potrebbe dir meglio. O, forse, con altre parole: morbido e complesso allo stesso tempo, ma non difficile, anzi, alla portata di chiunque può amare un vino adatto alla selvaggina, a uno stracotto, a formaggi stagionati. Prezzo: 65-70 € la bottiglia.
Anche nel Bolgheri Superiore Arnione 2010 (36 €), a ben sentire, si avverte la presenza del Petit Verdot (20%, come il Merlot, il restante 60% Cabernet franc e sauvignon) nell’evidente speziato e nella complessità olfattiva.

PV NEL LAZIO
L’Igt Lazio contempla la possibilità di fare vino con una serie di vitigni singoli, in purezza. Fra questi, il Petit Verdot, che sembra aver trovato condizioni ideali nell’Agro Pontino, in provincia di Latina. Per questo terroir, gli esperti parlano di persistente brezza marina, grande luminosità e terreni caldi che permettono la piena maturazione dell’uva (ricordiamo che si tratta di una varietà tardiva). Però, c’è chi lo fa bene e chi tende a svilirlo. Vediamo.
MIGLIOR RAPPORTO QUALITA’/PREZZO Svetta il Petit Verdot di Casale del Giglio (loc. Le Ferriere, Latina, www.casaledelgiglio.it), l’azienda agricola della  famiglia Santarelli, che produce circa 1,2 milioni di bottiglie l’anno. L’enologo Paolo Tiefenthaler utilizza l’uva Petit Verdot in misura diversa nei vini di vertice Mater Matuta (un Syrah, in prevalenza, 15% di PV) e Madre Selva (Cabernet
Sauvignon 40%, 30% PV, 30% Merlot). Il Petit Verdot 2013 in purezza non raggiunge le vette di complessità e profondità del Campo alla Sughera, ma è fruttato, polposo, con un suo velluto particolare e sentori che spaziano dalla ciliegia al ginepro, fino al pepe bianco (ricorda, per certi versi, un vino piemontese poco noto come la Pelaverga di Verduno). Vinificazione realizzata sia con cappello sommerso sia con follature per ottenere tannini più dolci e colore più intenso. Viene effettuato il cosiddetto délestage, una tecnica che prevede la svinatura parziale del mosto ancora in fermentazione per riossigenare il futuro vino e disperdere la vinaccia omogeneamente: si accentua così la cessione degli antociani, che danno il colore rosso e dei polifenoli. Prezzo: 10 € la bottiglia.
IL PREZZO STRACCIATO Se si dovesse badare solo al costo, però, il Lazio Igt Petit Verdot 2013 della Cantina Sociale di Monte Porzio Catone (www.cantinasocialempc.com) sarebbe imbattibile: 3,98 € la bottiglia sugli scaffali del supermercato Esselunga, spesso in offerta addirittura a 2,38 € (-40%). Dire che questo vino sia imbevibile, sarebbe eccessivo; certo, confrontato con quello di Casale del Giglio (che sviluppa 13,5° di alcol contro i suoi 12,5°) risulta “moscio”, un po’ scombinato, senz’anima.

E ANCHE IN SICILIA LU SANNO FARI 

Producono anche Nero d’Avola e Moscato di Noto, ma il vino portabandiera di Baglio di Pianetto (www.bagliodipianetto.com), della famiglia del conte Paolo Marzotto, in primis la nipote Ginevra Notarbartolo di Villarosa, è un Petit Verdot in purezza: il Carduni. Siamo in Sicilia, a Santa Cristina Gela, una delle tre comunità albanofone dell’isola, a 25 km da Palermo. Su circa 550mila bottiglie di vino biologico, solo 6500 sono qualificate come Sicilia Igt Petit Verdot, ma rappresentano il vertice, assieme al Nero d’Avola Cembali. I vigneti sono situati a circa 650 metri s.l.m., su suolo argilloso e con notevole escursione termica. E qui, non si sa bene in virtù di quali “magie”, la pianta del PV cresce bene, sana e dà grappoli ottimi per la vinificazione. L’irruenza caratteriale del vitigno abbisogna di una lunga maturazione nelle piccole botti (18 mesi) e di ugual tempo in bottiglia. Il 2011 è pieno, compatto, di gran corpo (supera i 14° d’alcol), speziato, con ricordi di frutta matura, cuoio, ma anche cacao e menta. Grande Piccolo Verdot! (26 € la bottiglia).

giovedì 12 novembre 2015

Il 49° Congresso dei sommelier dell'Ais promette enozioni sfaccettate. In alta quota, a Milano


I sommelier si sfidano. A distanza. In questo weekend l’Ais, la storica Associazione italiana sommelier, presieduta da Antonello Maietta, celebrerà in pompa magna il suo 49° congresso, anche se di anni il sodalizio ne ha 50, essendo stato fondato nel 1965. Nel frattempo l’arcinemica Fis (Fondazione italiana sommelier), nata due anni da una scissione dell’Ais di Roma ed editrice della guida Bibenda ai vini d’Italia, guidata dal vulcanico Franco Maria Ricci, cerca di espandersi anche fuori dalla capitale. Ha così aperto in ottobre la Fondazione Sommelier Lombardia, per “fare cultura del vino, dell’olio, della
Franco M. Ricci (a sinistra) e Antonello
Maietta: arcinemici?
birra e di tutte le eccellenze lombarde”. Proponimento paradossalmente non diverso da quello dell’Ais della stessa regione, ma tant’è. In fondo, il pluralismo e la concorrenza non guastano, anzi sono di stimolo. Fra le iniziative della neonata Fis lombarda, un corso di qualificazione professionale a Milano, già in svolgimento, uno analogo a Bergamo, da marzo 2016, un corso sull’olio extravergine (a Milano da febbraio 2016), altri corsi su vitigni e territori, sul peperoncino, sull’abbinamento formaggio/vino. (Info: www.fondazionesommelierlombardia.it)
Ma tutta la scena milanese e italiana in questi giorni, da venerdì 13 a domenica 15, sarà appannaggio dell’Ais, con un congresso nazionale “prezioso” e ricco di iniziative aperte al pubblico. Si svolge infatti alla Diamond Tower (piazza Lina Bo Bardi 1), il grattacielo a forma di diamante nell’area di Porta Nuova, e anche al Westin Palace Hotel di piazza della Repubblica. Il titolo della kermesse è: enozioni a Milano, giocando sulle emozioni che l’enologia deve suscitare.
Al 24° piano della Diamond Tower si svolgerà il congresso annuale vero e proprio, da sabato alle 10. Dalle 11,30 apertura al pubblico con il convegno: “Il gusto del vino: quando la sensorialità ha un ruolo sociologico”, con la partecipazione di docenti di psicologia dello Iulm e della Cattolica. Nel pomeriggio, assegnazione dei premi Surgiva e Bonaventura Maschio. Al The Mall, di fianco alla torre,  in un piano sotterraneo, dalle 15,30 alle 19, già da venerdì Banco di degustazione “Le eccellenze
della guida Vitae 2016”. Vitae è il nuovo baedeker dei vini dell’Ais, alla seconda edizione, scritto con il contributo di molti dei 30mila soci. Sabato e domenica dalle 14 alle 19,30, altro banco d’assaggio di eccellenze italiane e del mondo: 350 fra le migliori etichette italiane, argentine, slovene, francesi e sudafricane (quota di partecipazione: 20 € per i soci Ais, 30 per i visitatori). Sempre domenica, alle 10, finale del Concorso miglior sommelier d’Italia Premio Franciacorta, aperta a tutti (fino a esaurimento posti). Di grande interesse anche le degustazioni proposte al Westin Palace nei pomeriggi di sabato e domenica (dalle 13,30 alle 18). Si spazia dal Franciacorta al Tokaji ungherese, da Trento a Bolgheri, dall’Oltrepò al Bordeaux (quota individuale: 40-50 €). Fino alla grande degustazione di vini della Borgogna (250 €).  Si preannuncia, insomma una kermesse dinamica. Il presidente Maietta parla di nuova Ais 2.0, “che si apre alle tendenze del momento: vini naturali, biologici, biodinamici”, di dialogo e dibattito con i vignaioli, e di “saper ragionare anche di abbinamenti alternativi: tè, sake & company”.  Vada per gli alternativi/facoltativi: ma sostituire il vino, mai!

Prenotazioni on line: www.congressoais2015.com

martedì 10 novembre 2015

Collio Day in otto città il 12 novembre: a cena con i migliori bianchi d'Italia

Vigneti del Collio, a Cormons (Gorizia)
Collio Friulano


Fanno i vini bianchi migliori d’Italia. Certo, i singoli vignaioli d’eccellenza si trovano un po’ dovunque lungo lo stivale. Ma quella del Collio, in Friuli, al confine con la Slovenia, è terra baciata dal dio Bacco per la produzione di grandi bottiglie. Per esempio: in molti luoghi si produce una Malvasia secca, spesso facendone un vinello da poco, ma solo qui acquista corposità, profumi di frutta esotica, sapore pieno. È anche la terra del Friulano, già Tocai, dai delicati sentori di mandorla, il vino del tajùt, che accompagna per tradizione lo spuntino di metà mattina a base di prosciutto di San Daniele. È il territorio a mezzaluna, dal suolo di marne e arenarie stratificate, che formando colline e riserve naturali, donano un’impronta minerale e salina ai vini. È il terroir ove si coltiva da secoli il vitigno autoctono della ribolla gialla, che dà luogo all’omonimo vino, suadente e balsamico nella versione ferma, fresco e agrumato in quella spumante.
Ribolla spumante
È il luogo ove si producono il raro e veramente straordinario Picolit, dolce da meditazione o fors’anche da formaggi piccanti e foie gras, il profumato Sauvignon, l’intenso Pinot grigio. E il Collio Bianco: mentre gli altri 12 vini bianchi Doc sono tutti di monovitigno, il 13°, il Collio Bianco, li “mescola” (almeno in parte) secondo sapienza del produttore. E ne nascono vini ognuno diverso dall’altro, ma tuttavia, quasi miracolosamente, ancora caratteristici, in cui vibra il terroir del Collio e che possono invecchiare maturando al meglio per parecchi anni, cosa né frequente né scontata nel panorama enologico italiano.

Il Consorzio del Collio s’è inventato un’occasione per provare i "suoi" bianchi in otto città d’Italia, gustarli e conoscerli meglio, grazie anche alla presenza dei produttori. Giovedì 12 novembre almeno un’enoteca e un ristorante in ogni località (selezionati dalle condotte Slow Food) prepareranno uno spuntino-aperitivo o una cena ispirati a prodotti friulani come il formaggio Montasio, le trote fresche o affumicate e a prodotti gastronomici del proprio territorio. Ogni locale ha concepito un menu speciale, ogni enoteca proporrà prodotti friulani e/o della sua zona.
Le città sono: Venezia, con l’enoteca Cantinone Già Schiavi e l’Ostera del Cason; Milano, con l’Enoteca Dal Vinattiere e il ristorante Osteria Grand Hotel; Torino, con l’enoteca Sorij Nouveau e il ristorante Mare Nostrum; Lucca, con l’enoteca Vanni e il ristorante Porte Ellen Clan; Bologna, con Bar Mercato e Twinside e il Ristorante Cantina Bentivoglio; Roma, con l’enoteca Giansanti e il ristorante Fiorentina 1942; Napoli, con l’enoteca Mercadante e il ristorante Veritas; Bari, con l’enoteca Cantiere del Gusto e il ristorante PerBacco.

Cartina del Collio

Menu e prezzi del Collio Day sul sito https://www.facebook.com/events/119024845120973/ e nei siti dei rispettivi ristoranti.
A Milano, per esempio, la cena dell’Osteria Grand Hotel di via Ascanio Sforza 75 contempla:
pane caldo a lievitazione naturale con burro Occelli e trota salmonata all'erba cipollina, noci di Montasio fresco e vecchio con pere, intingolo di polenta con ragù di mare, gnocchi di zucca con ricotta affumicata, polpo al vapore con crema di broccoletti, mousse di castagne in salsa di cachi, con ampia scelta di vini del Collio, a 38 €.


domenica 8 novembre 2015

Il "giovane" Appius ha già quattro anni, ma nasce adesso. Storia di un vino e di suo papà Hans, protetti da S. Michele



“È ancora molto giovane”, sostiene Hans Terzer, winemaker della Cantina produttori San Michele-Appiano. E osserva attraverso il bicchiere il colore giallo paglierino del vino, un 2011. Che dunque non è un rosso, ma un bianco! Giovane a quattro anni dalla vendemmia? Eppure, paradossalmente, è così. Perché Hans Terzer, quando verso il 2009 decise di fare un vino affatto diverso da quelli prodotti fino a quel momento dalla pluridecorata (da guide e consumatori) Cantina altoatesina di Appiano, pensò alla libertà. Finalmente, avrebbe fatto un vino fuori dagli schemi, con gli uvaggi scelti a seconda dei risultati della vendemmia, bianco o rosso, non importa, purché frutto di selezioni esaspertate e di cura maniacale. E creò l’Appius (nome latino di Appiano, il borgo ove ha sede la cantina). Sono così usciti il 2010 e, da pochi giorni, il 2011, presentato in pompa magna il 6 novembre. Si sa, la pompa magna degli altoatesini è pur sempre improntata alla sobrietà e alla sostanza. Non in un ristorante o in un ambiente di lusso, si è dunque svolta la presentazione, ma in cantina, preparata con i tavoli disposti per l’occasione a fianco delle botti. Un piccolo palco con una proiezione continua dei paesaggi delle vigne, stupendi (ma lo è ancora di più, se possibile, il paesaggio reale, in questi giorni d’autunno che sembrano di primavera avanzata, non fosse per i colori struggenti delle foglie). Due abili musiciste che creavano un’atmosfera rarefatta e partecipe attraverso le note di arpa e violino. Infine, ma ovviamente non ultimi, i piatti studiati per l’occasione, da Herbert Hintner, chef patron dello stellato Zur Rose. E i vini. Un crescendo o un diminuendo singolare di annate, grazie ai quali con i calamari, spinaci e olio di vaniglia erano abbinati ben 3 vini della linea Sanct Valentin, il Sauvignon 2014, i Pinot grigio e Chardonnay 2013. Con i successivi gamberi (impanati con polenta) e broccoli, salto indietro: stessi vini, ma del 2008 e 2007. E poi, i pezzi forti, in crescendo. Ravioli ripieni di baccalà con purea di ceci e olive, accostati all’Appius 2010 (vino ormai esaurito). Infine, l’accostamento più osé, con la carne: petto di faraona con tartufo nero, insalata belga rosolata e porcini, con l’Appius 2011. Proprio quel vino “ancor giovane”, che però già dona ottima prova di sé, esprimendo, per dirla con Terzer, “aromi consistenti di frutti
Petto di faraona con tartufo
tropicali, uva spina, bacche di sambuco e vaniglia tostata”. E rivelandosi in bocca “cremoso, morbido, fresco, minerale, concentrato e complesso”. Sono definizioni azzeccate, che in effetti dimostrano come l’uvaggio dell’Appius 2011 riesca a estrarre il meglio delle caratteristiche di ogni uva che ne fa parte, il sauvignon, prima di tutto, poi lo chardonnay e il pinot grigio. Tutti fermentati e affinati in barrique e tonneau, con fermentazione malolattica (trasforma l’acido malico in lattico, donando al vino  morbidezza) solo per gli ultimi due vini. I “magnifici tre” vengono assemblati dopo quasi un anno per andare poi a maturare lentamente ed affinarsi in acciaio per altri tre. Ecco quindi che, quando il mix riesce, come in questo caso, si ha un vino con caratteristiche di complessità, concentrazione del frutto, ma anche freschezza, preservazione della mineralità, e con fondata promessa di ulteriore evoluzione nel futuro. È quindi praticabile la doppia via dell’abbinamento ai piatti di pesce di sapore deciso, e a quelli di carne come, quaglia, faraona, piccione addirittura.
L’Appius 2011, racchiuso in una bottiglia pesante e molto particolare, che gioca su una serigrafia oro su fondo nero - una sorta d’impronta digitale ispirata all'arte cineteca - è tecnicamente un Alto Adige Bianco Doc, che sviluppa 14° d’alcol. Potenziale d’invecchiamento dichiarato: 10 anni e oltre. Prodotto in 5mila bottiglie e venduto in cassetta di legno, dovrebbe costare intorno ai 100 € la bottiglia.

Info: Cantina Produttori San Michele Appiano / Kellerei St. Michael Eppan, tel. 0471.664466, www.stmichael.it, Appiano (Bolzano).