mercoledì 13 dicembre 2017

Franciacorta a Natale / Le bollicine Berlucchi dedicate ai Jeunes Restaurateurs e quelle de Le Marchesine per ogni declinazione di salmone

Divisionismo in cucina, risotto
exponenziale di Daniel Canzian e la Cuvée
JRE n° 4 di Guido Berlucchi
Salmone norvegese marinato alle erbe
e gocce di senape, con il Franciacorta
Secolo Novo de Le Marchesine
 Piccola, grande Franciacorta. Il Consorzio, guidato dal presidente Vittorio Moretti, patron di Bellavista, sta progettando il futuro. Quello vero, perlomeno fino al 2027. In un recente convegno, il sociologo Domenico De Masi, dopo una ricerca sul campo, ha suggerito uno scenario che prevede la trasformazione territoriale della zona con il passaggio dall’era industriale a una successiva, post-industriale. Quindi, abolizione di capannoni e siti produttivi a favore di un’economia completamente basata sulla vigna, le bollicine e quanto deve girar loro intorno: ospitalità, ristorazione, turismo. Qualità (per esempio con un totale passaggio al biologico) e numero di bottiglie in espansione (oggi, nelle annate migliori, sono circa 17 milioni), ma pur sempre in una nicchia, rispetto alla produzione italiana e mondiale.
Scendendo dall’empireo – pur concreto – del futuribile e abbassando lo sguardo all’oggi, ecco l’attualità di due aziende vinicole di Franciacorta, che qualcosa in comune l’hanno (oltre alla tipologia di produzione), un moltiplicatore netto: la Guido Berlucchi produce quasi esattamente dieci volte il numero delle bottiglie  de Le Marchesine. E la qualità? Ecco le prove dei fatti.
La Guido Berlucchi (www.berlucchi.it) è il colosso della Franciacorta guidato dalla famiglia Ziliani, riuscendo a combinare, nelle sue 4,2 milioni di bottiglie annue, le cuvée più popolari con le bollicine più raffinate. Un esempio di queste ultime? Gli spumanti classici delle linee Palazzo Lana e Cellarius.
Tutti “vini” che, tra l’altro, si fanno valere per un buon rapporto qualità/prezzo.
Ma qui se ne parla, in specifico, per uno spumante (sempre metodo classico, com’è ovvio) dal prezzo elevato. Non di per sé, ma perché per gustarlo bisogna andare…al ristorante, non essendo assolutamente in vendita ai privati. E non in un locale qualsiasi, ma solo in quelli dell’associazione dei Jeunes Restaurateurs d’Europe italiani (55 ristoranti, www.jre.eu/it/italia). Le bollicine in questione sono state preparate proprio per (e da) loro. Il risultato si chiama J.R.E. N°4 ed è un Franciacorta Extra Brut Riserva 2008. Nella scorsa primavera, una rappresentanza dei sommelier che lavorano nel locali dei Jeunes Restaurateurs si è recata con il loro presidente Luca Marchini a Borgonato di Corte Franca, nella sede di Palazzo Lana Berlucchi e, insieme ad Arturo Ziliani, enologo e ad di Berlucchi, ha assaggiato nove diverse riserve. Ne hanno discusso a lungo e poi hanno scelto quella che risultava loro più affine per i diversi tipi di cucina dell’Associazione.
Ed eccola, la cuvée su misura: 58% di uve chardonnay, 42% di pinot nero della vendemmia 2008, da
Lo chef Daniel Canzian
vigneti di proprietà di Borgonato. Vini base affinati in acciaio, ma anche nel legno delle barrique (con parziale fermentazione malolattica per conferire rotondità). Riposo di ben 8 anni sui lieviti, sboccatura e aggiunta di una bassa quantità di liqueur d’expedition (sciroppo di dosaggio, 4 gr/litro), un Extra brut, dunque, quasi al pelo dall’essere un Dosage Zero.
Ma quanto può costare al ristorante una bottiglia di questa produzione particolare, che non supera i 5mila pezzi? Ai tavoli di Daniel, il locale milanese del jeune restaurateur Daniel Canzian, 70 . Nel corso della presentazione della JRE N°4, Canzian ha cercato di dimostrare la versatilità della cuvée – che ha i suoi punti di forza nella giusta acidità/freschezza armoniosamente bilanciata dalla setosità – con un menu che ben si sposasse con le bollicine franciacortine: Cannoli di polenta e baccalà mantecato, con yuzu kosho (condimento giapponese con peperoncino); Toast di piccione, foie gras e mele cotte; Terrina di maialino in crosta con salsa chermoula (salsa speziata marocchina); Uovo al vapore con uova di trota e scalogno; Divisionismo in cucina, un risotto exponenziale (creato nel 2015 per Expo, con barbabietole, spumante Franciacorta e Parmigiano); Guancia di vitello all’olio, versione Matisse. Conclusione: impresa di abbinamento della cuvée J.R.E. n°4 a tutto pasto, persino con la carne, ben riuscita, con certi piatti addirittura esaltante.
Fuori contesto, la versione di Canzian del panettone, “Omaggio a Milano”: con, all’interno, riso e zafferano! Squisito e acquistabile presso il ristorante (100 gr, 5 €; 1 kg, 30 €. Ristorante Daniel, via Castelfidardo ang. via S. Marco, Milano, tel. 02.63793837, https://danielcanzian.com).
Quattrocentoventimila, esattamente un decimo di quelle della Berlucchi (anche se la tendenza rapida è verso il mezzo milione) le bottiglie con il marchio Le Marchesine (www.lemarchesine.it), prodotte da Loris Biatta, dinamico vitivinicoltore di Passirano, che si avvale dell’opera dell’enologo Jean-Pierre Valade, membro fra l’altro dell’Institut oenologique de Champagne.
In vista del Natale, in una bella casa di campagna fra le vigne, di fronte alla cantina, Biatta ha voluto sperimentare l’abbinamento di alcuni suoi Franciacorta con diverse tipologie di salmone.
Già, perché c’è salmone e salmone, selvaggio o d’allevamento, affumicato o marinato, pescato in un mare o in un altro…
Dopo ripetute prove sono stati trovati gli abbinamenti migliori ai prodotti ittici, presentati da Paolo Ghilardotti, amministratore delegato di Food Lab (www.foodlab.net), con un passato da cuoco professionista, e attento selezionatore di prodotti ittici di elevata qualità.
Loris Biatta, patron de Le Marchesine
Così, con il Carpaccio di salmone selvaggio dell’Alaska Sockeye, dal sapore delicato ma con spiccati sentori marini e con quello norvegese d’allevamento, equilibrato, con sentori di alga, si è trovato il giusto abbinamento con il Franciacorta Satèn 2013, uno Chardonnay fresco, anche intenso, dal finale morbido (prezzo: sui 24 €).
Con il Sashimi di salmone affumicato norvegese, “grasso”, dall’impatto di alga al primo assaggio, note di fumo lievi e struttura consistente ma morbida, l’accostamento più conveniente si è realizzato con il Blanc de Noir brut 2013, dal colore sorprendentemente rosato pallido (albicocca), dal grato bouquet di piccoli frutti rossi e, in bocca, intenso, quasi potente, con ricordi di macchia mediterranea (prezzo: sui 30 €).
Poi, Loris Biatta ha calato gli assi sul tavolo: due cuvée della sua Riserva più prestigiosa, il Franciacorta Secolo Novo.
Per il Salmone norvegese marinato alle erbe e gocce di senape in grani, è risultato perfetto il Secolo Novo brut 2010, Chardonnay al 100%: in bocca si combinavano il gusto leggermente erbaceo con note tostate del pesce, con il sapore pieno e avvolgente del vino, dalle eleganti note burrose e di cedro candito (prezzo: sui 38 €).
Gran finale, è il caso di dirlo, con il Secolo Novo Dosage Zero Riserva 2008, Chardonnay in purezza, dagli aromi fini quanto complessi, dalla mela cotogna alle sfumature minerali, e un palato consistente, sapido, dal retrogusto ammandorlato (prezzo: 48/50 €). Azzeccato il piatto in abbinamento, una Tartare di salmone selvaggio dell’Alaska Sockeye, con avocado, crumble di cereali e pesto liquido: croccantezza, cremosità, sapidità e leggera affumicatura. Ci volevano grandi bollicine per reggere il confronto: pari e patta con onore.

mercoledì 6 dicembre 2017

Panettoni eccellenti / Puccini ci Cova nel Panettone dei Ricordi. E la Martesana non è solo un naviglio...


A sinistra il Panettone di Giovanni Cova & C., "in veste" Turandot. A destra, il classico di Martesana Milano


Caro Tito
Ho ricevuto e quasi mangiato
l’Elefante detto Panettone
che m’hai voluto anche in
quest’anno mandare. Come al
solito era bellissimo e buonis-
simo e te ne ringrazio molto.
……………………………………..
Auguro a te, a tua moglie, ai
tuoi figli buona festa e buon
anno, al tuo commercio buoni
affari, a te poi particolarmente
salute, salute, salute.

Così Giuseppe Verdi, in una missiva scritta a Tito Ricordi da Genova il 26 dicembre 1869 per ringraziarlo dell’elefantiaco panettone, che il titolare della già famosa casa editrice musicale gli aveva fatto pervenire a Busseto.
Andrea Muzzi e Pierluigi Ledda
Questa lettera si trova nell’Archivio Storico Ricordi, ospitato presso Palazzo Brera di Milano. Fondato nel 1808 e acquistato nel 1994 dalla multinazionale tedesca Bertelsmann, che ne garantisce sia la conservazione che lo sviluppo culturale, raccoglie partiture, lettere di compositori, librettisti e cantanti, bozzetti, libretti, foto d’epoca e manifesti Art nouveau. Ma è un’istituzione che, nonostante il prestigio di cui gode (secondo Luciano Berio, “L’Archivio Ricordi è una cattedrale della musica, un’opera unica al mondo”), è poco nota al grande pubblico.
Così Pierluigi Ledda, direttore dell’Archivio, alcuni mesi fa si è incontrato con Andrea Muzzi, amministratore delegato di Giovanni Cova & C., un’azienda dolciaria che affonda le sue origini nei primi anni del Novecento (da non confondere con il quasi omonimo marchio montenapoleonico, passato da tempo in mani francesi).
Muzzi voleva pervadere un’eccellenza dolciaria milanese di un afflato culturale, Ledda partecipare a un’iniziativa che, senza svilire il carattere erudito dell’Archivio, lo ponesse all’attenzione di un pubblico più vasto di quello specialistico. Detto e (quasi) fatto. Dopo uno studio mirato degli archivi e un progetto artistico, la soluzione è stata trovata. Per questo Natale i panettoni “di lusso”, fatti come Meneghino comanda, cioè con lievito madre, burro speciale del Nord Europa, canditi del Sud Italia, uva passa della Turchia e uova fresche, sono stati vestiti con le immagini storiche della Turandot pucciniana; altre specialità, con le riproduzioni delle opere dei maestri del melodramma, e anche di illustratori famosi, come le partiture autografe di Paganini del 1817, la copertina della Prima di Madame Butterfly (Puccini) e le illustrazioni di Marcello Dudovich.
Nelle confezioni, anche un libretto dell’Archivio Storico Ricordi, di grande suggestione.
Info. Archivio Storico Ricordi, Palazzo Brera, via Brera 28, Milano, www.archivioricordi.com .
Giovanni Cova & C.,  flagship store in via Cusani 10, Milano, tel. 800.013346, www.bistrot.giovannicovaec.it , www.giovannicovaec.it . Alcuni dolci della Linea Ricordi: (i prezzi diversi per lo stesso articolo dipendono dalla confezione: incarto, scatola o latta) Panettone classico, 20,30 €-21,70 €-24,50 €; Panettone pere e cioccolato, con pera semicandita, 20,90 €; Panettone farcito con crema al limoncello, all’ananas o Gran cioccolato, 20,90 €.

Hanno appena compiuti i 50 anni, quelli di Martesana Milano, ma sono sempre lì, sulla breccia, anzi al forno, a inventare nuovi dolci e nuove declinazione del panettone. Due le pasticcerie, due i laboratori, la guida sempre salda nelle mani  del fondatore Enzo Santoro, maestro Ampi (Associazione dei maestri pasticceri italiani), che però è così lungimirante da lasciare la briglia sciolta anche ai più giovani dei suoi collaboratori. Il segreto che rende orgoglioso Enzo è il lievito madre creato da lui stesso, dopo prove e riprove, per trovare il più adatto alla sue creazioni.  E poi
Enzo Santoro, a destra con la figlia
Manuela e i suoi pasticceri
la qualità delle materie prime, l’abilità, la serietà, la competenza…sembrano lodi sperticate, ma per  capire se si tratta di un eccesso o di realtà purtoppo (o per fortuna) c’è un solo metodo: provare i loro dolci. Chi scrive l’ha fatto e ne è rimasto colpito prima, entusiasta poi.
Panettone. Il tradizionale è…lui, cioè fatto come dio comanda, soffice, burroso, dai profumati canditi all’arancia, lievitato perfettamente. Uno di quelli che vanno per la maggiore, davvero squisito, è il Panetun de l’Enzo, creato appunto da Santoro, che in un primo tempo  tentò di chiamarlo Panetun-Sacher, incorrendo nelle ire dei pasticcieri viennesi che ne hanno il brevetto (del nome). Ridimensionato quindi a un più casalingo Panetun de l’Enzo, non per questo è diventato meno buono: contempla una farcitura al cioccolato  e confettura di albicocche con pezzetti dello stesso frutto candito e una copertura sempre di cioccolato amaro al 65%.
La novità dell’anno che sta per finire è però il Panettone Strudel (qui niente problemi di copyright): lo firma il 27enne Marco Battaglia, siciliano e responsabile del reparto forno. Semplice a dirsi, difficile a farsi: alla pasta lievitata si uniscono i dolci ingredienti dello strudel, mele, uvetta, pinoli e cannella. Una squisitezza.
Per Natale e il periodo invernale, due altre novità dolciarie. La prima è la Torta al caco (meglio sarebbe dire: al kaki, o, al cachi, in italiano diospiro), una limited edition (finiti i cachi…). Creata da Alessandro Comaschi, capo pasticcere, contempla una base di frolla con una mousse di mascarpone, una gelatina e una mousse al cachi e una decorazione finale di marshmallow (toffolette o cotone dolce).
Il Tronchetto natalizio. In Martesana viene rivisitato utilizzando per la base di frolla anche
"Spaghettata" di marron glacé
arachidi salate e mandorle, poi tre strati di Pan di Spagna all’olio extravergine e nocciola, cremosi di cioccolato fondente e all’arancia e mousse di mandorle.
La prima pasticceria Martesana è stata aperta in via Cagliero nel 1967. Per festeggiare il cinquantenario Santoro&Company hanno deciso di produrre in successione, nel corso di una anno, cinque torte, ognuna delle quali simboleggi un decennio. La prima si chiama Spaghettata ai marron glacé: pan di Spagna al cacao e mandorle come base per una mousse di marroni (con pezzetti all’interno), sfere di cioccolato e wafer. Sopra ancora, altro pan di Spagna, glassa al cacao e decorazioni di “spaghetti” di marroni. Uuuuh!
Info. Martesana Milano, www.martesanamilano.com. Negozi: via Cagliero 14, tel. 0266986634. Orari: 7.30-20.30 (mai chiuso); via Sarpi 62, tel. 02.99265069. Orari: 7.30-20 (mai chiuso). Prezzi. Panettoni (al kg): tradizionale 34 €, de l’Enzo e Strudel, 38€; Torta al caco, 36 €; Tronchetto natalizio e Spaghettata ai marron glacé, 42 €.

sabato 2 dicembre 2017

Arriva il generale Inverno con i suoi vini rossi. 5 Eccellenze che non ci stanno affatto in cagnesco, dal maso trentino al trullo pugliese, via Valtellina, Piemonte e Toscana


Veduta di Caiarossa, tenuta toscana in Val di Cecina.
È inutile girarci intorno. Rosso tutte le stagioni, bianco strutturato anche con la carne, rosato sugli scudi, bollicine forever e così via, sperimentando e provando, non sempre con soddisfazione. Ma la stagione invernale – e ormai ci siamo – vuole cibi di carattere, carni importanti, pesci salsati e ricchi. Tutta roba che si sposa divinamente con i vini rossi, purché buoni e giusti. E ovviamente “puliti”, come aggiunge di solito il guru Carlin Petrini. Eccone allora cinque, scelti con cura e passione, dal Nord-est al Sud-ovest, che parlano altrettanti dialetti, ma una sola lingua: l'italiano dei vignaioli per bene.
Un’azienda vinicola da 70milioni di bottiglie annue, può fare anche vini d’eccellenza? Sì, se si chiama Cavit (cooperativa con10 cantine sociali e 4500 viticoltori associati) ed è in grado di fare seleziona su terreni e vitigni, di produrre vini con protocolli moderni ed efficaci e di distribuirli su tre linee di qualità crescente come sono la Mastri Vernacoli, Bottega Vinai e Il Maso. Per esempio, il vitigno principe del Trentino, il teroldego rotaliano, può divenire vino immediato quanto piacevole nella linea Mastri Vernacoli (ottimo per bolliti misti e polenta), si fa più complesso nella versione Bottega Vinai (più adatto quindi su grigliate di carne, spezzatino, lepre in salmì) e diventa opulento nella Linea Il Maso, che per altro contempla solo altri tre vini: il Marzemino Superiore Romani e i bianchi Torresella, splendido Chardonnay Riserva e Torresella Cuvée, uvaggio appunto di sauvignon, chardonnay, gewürztraminer e riesling renano.
Il Maso Cervara 2014 (solo 6mila bottiglie), è un Superiore Riserva. Le uve teroldego sono coltivate biologicamente, anche se non se ne fa cenno in etichetta, intorno al maso stesso, su terreno di natura alluvionale, poco profondo, su riporti ghiaiosi del torrente Noce. La resa non supera gli 80 q.li per ettaro. L’uva solitamente si vendemmia a fine settembre, poi il vino passa in barrique e botti grandi per circa due anni. Il 2014 è stato imbottigliato nel dicembre 2016 e si è affinato almeno sei mesi in bottiglia.  Un vino dal colore rosso rubino fitto, che conserva sfumature violacee. Al naso prevagono i sentori di piccoli frutti rossi e di violetta, con accenni balsamici e speziati. In bocca è caldo, equilibrato, ancora un po’ tannico, ma dolcemente, con echi speziati e un retrogusto di frutti rossi in cui prevale la mora.
Abbinamento classico con polenta carbonera, selvaggina, stinco di vitello al vino rosso, formaggi stagionati.
* Maso Cervara, Teroldego rotaliano Doc Superiore Riserva 2014, 25 € la bottiglia. Prodotto da Cavit, via del Ponte 31, Trento, tel. 0461.381711, www.cavit.it.
In campo letterario, La Spia è un nome fortunato. Vengono alla mente almeno due libri di successo, La spia di Paolo Coelho, protagonista Mata Hari e La spia romanzo ottocentesco di J. F. Cooper, sulle imprese dell’astuto Harvey Birch durante la guerra d’indipendenza americana. In campo enologico, La Spia è un piccolo vigneto a Castione Andevenno, in Valtellina (nella pregiata sottozona Sassella), che ha dato il nome alla cantina inaugurata otto anni fa da Michele Rigamonti. Probabilmente nome e impresa che faranno fortuna, anche loro. Già il padre di Michele e il nonno producevano lì vino per uso famigliare. Poi lui decise di farlo in maniera professionale quanto appassionata. Tre ettari di vigna corrispondono oggi a quattro vini, un bianco e un rosso Igt, un Valtellina Superiore e un Sassella Docg.
Rigamonti si avvale di un giovane enologo come Emil Galimberti, laureato a San Michele all’Adige e con titoli acquisiti in campo enologico e viticolturale a Trento, Udine, Torino, Montepellier e
Bordeaux e con esperienze in Francia, Nuova Zelanda e Inghilterra, oltre che nella stessa Valtellina. I vini sono per lo più invecchiati sapientemente e a lungo, sfruttando le doti dei contenitori in acciaio quanto quelle del legno di rovere francese e non lesinando sull’affinamento in bottiglia. Il PG 40 (PG sta per Paganoni Giovanna, la madre di Michele, nata nel 1940) Valtellina Superiore Sassella 2011 è stato premiato in ottobre alla 34a edizione del Grappolo d’oro di Chiuro, da una giuria stupita di trovarsi di fronte a un vino di così gran carattere, prodotto da un’azienda così giovane. Lo stesso vino, dell’ultima annata in commercio, il 2012, si dimostra all’altezza del fratello maggiore. Il vitigno è naturalmente il nebbiolo in purezza, chiamato in Valtellina chiavennasca, situato a 350-400 s.l.m., su terreno terrazzato con forte presenza di roccia madre affiorante, sabbioso con presenza di limo e buona dotazione di sostanze organiche. La resa per ha è sui 55-60 q.li. Dopo la vinificazione a temperatura controllata, il vino ha passato 6 mesi in vasche inox e tre anni in botti di rovere francese, quindi si è affinato per sei mesi in bottiglia. 2000 bottiglie (in totale la produzione attuale è di 20mila l’anno, ma aumenteranno).
Classico colore rosso rubino, profumi di rosa appassita e frutta matura, ma anche di viola e piccoli frutti rossi, con ricordi speziati. Asciutto in bocca, con bella presenza dei tannini, già in equilibrio, tendenti al velluto,  fresco e snello con bel finale sapido. Con che piatti sposarlo? L’abbinamento regionale suggerisce pizzoccheri e risotto al formaggio Bitto, ma anche una bella lepre in salmì e formaggi stagionati fanno matrimonio d’amore. Lo chef-patron Filippo La Mantia (omonimo ristorante a Milano), siciliano, che però ha in uggia aglio e cipolla, l’ha proposto con un originalissimo quanto gustoso primo di paccheri in “zuppa forte” di pesce e cime di rapa, piccantino e saporoso, quanto azzeccato.
PG 40, Valtellina Superiore Sassella Docg 2012, sui 28 € la bottiglia. Prodotto da Cantina La Spia, via Nazionale 68, Castione Andevenno (Sondrio), www.ribelwine.com .
L’accento è grave, ma il vino è soave. Il Ruchè (non Ruché) di Castagnole Monferrato, è un rosso Docg piemontese, dai numeri modesti (136 ettari di vigneto coltivati su 7 piccoli comuni, 776mila bottiglie prodotte nel 2016, divise fra 35 produttori), ma dalla storia quasi leggendaria. In realtà persino il suo nome ha avuto diverse grafie, prima che la Docg lo codificasse come Ruchè. Era scritto anche con l’accento acuto o addirittura con un francesizzante dittongo ou: Rouché o Rouchét. L’uva, coltivata sin dal Medioevo sulle colline del Monferrato, ha cominciato ad affermarsi come vino da tavola di una certa valenza con Luigi Veronelli, che ne scrisse sui suoi cataloghi dei vini degli anni Sessanta (Bolaffi) e poi del 1986 (Giorgio Mondadori). Veronelli lo definisce “rosso rubino, sottolineato da vivaci riflessi viola”; ne avverte un “bouquet ben dichiarato con sentori di frutta e rosa e, più marcato, di viola”; in bocca lo trova “asciutto, sapido, con sentore di spezie; duro al primo contatto, si apre in bocca per nerbo sano e stoffa consistente, che si prolunga in velluto; pieno carattere”. Lo consiglia in abbinamento a “piatti saporosi della cucina locale, in particolare sulla spalla di vitello brasata”. Cita e pubblica le etichette di quattro produttori: Scarpa, Rabezzana, Biletta e Cauda.
Ed era stato proprio Don Giacomo Cauda, parroco di campagna, a (ri)vinificare per primo, in epoca
recente, quelle uve scontrose con l’obiettivo di ottenerne un vino di qualità. Negli anni Sessanta creò l’etichetta Ruchè del parroco, con un angelo dalle ali aperte come emblema e nei lustri successivi il Ruchè verrà identificato con quel nome e quell’etichetta. Il vino era buono, particolare e piano piano anche altri vignaioli si fecero avanti, recuperando magari una tradizione familiare caduta in oblio, a favore dei più produttivi barbera e grignolino. Arriva anche la Doc (e negli anni Duemila, la Docg) e il Ruché diventa un vino di un certo successo.
Don Cauda nel 1993 per ordini superiori però deve alienare le proprietà fondiarie, vigne comprese, all’istituto diocesano per il sostentamento del clero, che le rivende. Il parroco del Ruchè morirà 79enne nel 2008. Le vigne erano intanto passate al produttore locale Francesco Borgognone, il quale nel 2016 le rivende a Luca Ferraris, un giovane agronomo entusiasta del vino del territorio, legato a Castagnole da 4 generazioni familiari e ben deciso a volorizzarlo al massimo.
Già l’Agricola Ferraris produceva Ruchè in tre versioni,  l’Opera prima, un Ruchè d’invecchiamento,  fiore all’occhiello della produzione, Clàsic, una selezione, e Bric d’Bianc, di più facile beva. Con la Vigna del parroco Ferraris vuole riportare in auge il tradizionale rosso di Don Cauda, vuole farne un marchio a parte, esaltare l’unico cru riconosciuto sul territorio, quasi come un prodotto eterno, punto di riferimento storico e attuale del vino.  Così, il nuovo, antico Ruchè, è appena uscito in veste rinnovata, con quel nome e quell’emblema, ma ripensati secondo uno stile contemporaneo. Come lo stesso vino, che mantiene intatte le migliori caratteristiche di piacevolezza, carattere ed estrema eleganza.
Ruchè di Castagnole Monferrato Docg, Vigna del parroco 2014, 15 € la bottiglia. Prodotto da Agricola Ferraris, S. P. 14, loc. Rivi 7, Castagnole Monferrato (At), tel. 0141.292202, www.ferrarisagricola.com.
Tutto risulta piuttosto anomalo quando si parla di Caiarossa. Il nome. Che vuol dire? È un richiamo al rosso intenso dei terreni, caratterizzati dalla presenza di diaspro, rocce e ghiaia; e a Gaia, madre degli dei dell’Olimpo e dea della fertilità. Il luogo. La Val di Cecina, non esattamente rinomata per i suoi vini. I metodi. Biodinamico per l’agricoltura; geodinamico e Feng Shui per il progetto della cantina. La proprietà. Toscana? No francese, con un olandese, Eric Albada Jelgersma alla guida, forte anche dell’esperienza proprietaria di due châteaux nel Margaux, i Grands Crus Classés Château Giscours e Château du Tertre. I vitigni. Sangiovese? Poco, qui trionfano gli internazionali, in prevalenza quelli d’Oltralpe: cabernet franc e sauvignon, merlot, petit verdot, syrah, alicante per i rossi; chardonnay, viognier e petit manseng per i bianchi.
La cantina, circondata dai vigneti, è appoggiata sul versante sud-ovest di una collina. Il clima non è mai eccessivamente caldo, grazie all’altura e alla brezza marina che vi spira. Vendemmia rigorosamente manuale, in cassette: da settembre a novembre, quando l’ultima uva, quella del petit manseng, viene raccolta dopo l’appassimento in pianta; darà luogo a un vino da vendemmia tardiva straordinario, chiamato Oro di Caiarossa: perfetto con Gorgonzola a due paste (piccante) e Roquefort. Ma è l’unico vino manovarietale, gli altri sono quasi tutti un mosaico di vitigni, vinificati parcella per parcella e ricomposti in assemblaggi difficili, ma ben studiati per risultare armonici.
Il Caiarossa bianco è fatto con viognier e chardonnay, con un passaggio di poche settimane in legno piccolo. I rossi sono tutti vini “da taglio” (nel significato bordolese). L’unico che parla toscano è il Pergolaia, basato su sangiovese, con piccole aggiunte dei due cabernet e di merlot. Già si respira Aria di Caiarossa (e cioè anche di bottiglie più importanti) con l’omonimo Igt Toscana, composto da cabernet franc, merlot, syrah e cabernet sauvignon, fresco, morbido, dopo la maturazione in barrique e tenneau. Ma il vino portabandiera dell’azienda è il Caiarossa, uvaggio di ben sette vitigni: merlot, cabernet franc e sauvignon, syrah, sangiovese, petit verdot e alicante. Vigne di 17 e 18 anni, di oltre 9mila piante per ha. E 40 q.li d’uva, sempre per ha. Barrique e tonneaux francesi, nuove e usate, per circa 18 mesi in media e 6 mesi di vasca in cemento prima dell’imbottigliamento. In annate particolari viene prodotto anche l’Essenzia di Caiarossa, superselezione imbottigliata solo in magnum.
Attualmente è in vendita il Caiarossa 2013, ma annate più vecchie, degustate nel corso di una presentazione al Park Hyatt di Milano, hanno dato risultati molto apprezzabili, in particolare la 2006, ricca ed elegante. Freddo d’inverno, una primavera piovosa e un agosto più freddo della media hanno prodotto condizioni avverse per la crescita dell’uva, nel 2013. Ma i preparati biodinamici utilizzati al momento giusto e le perfette condizioni di settembre hanno fatto ritrovare equilibrio al vigneto, con giusta maturazione dei tannini, senza zuccheri in eccesso. Il colore è un bel rosso rubino fitto, i profumi prevalenti sono di piccoli frutti rossi e prugna e già si avverte un poco di tabacco e pelliccia bagnata. In bocca appare ricco, elegante e sapido, con tannini in evoluzione. Il neo bistellato Michelin Andrea Aprea, chef del ristorante Vun del Park Hyatt,  l’ha proposto in abbinamento a una spalla d’agnello con rape e malto d’orzo. Perfetto.
*  Caiarossa, Toscana Igt 2013, sui 45  la bottiglia. Produttore: Caiarossa, Podere Serra all’Olio 59, Riparbella (Pisa), tel. 0586.699016, www.caiarossa.com .
Era il sogno di Mino Calò, gran patron di Rosa del Golfo, prematuramente scomparso a 55 anni, nel 1998. Dopo aver realizzato un grande rosato come il Rosa del Golfo, che dà il nome all’azienda, voleva produrre anche un grande rosso con i vitigni autoctoni del Salento. Ci sono riusciti i figli, Damiano e Pamela, con la mano sapiente dell’enologo Angelo Solci. Quarantale è il nome del vino, che in dialetto salentino significa solco, quello che si scava nel terreno per poi piantarvi una vigna nuova. Il vino viene prodotto solo nelle annate ritenute migliori e così, dopo il 2010, è ora la volta del 2013, cui seguirà il 2015, che sta ancora maturando in botte.
Il rosso attualmente in commercio, è  il frutto del meditato assemblaggio di negroamaro (70%), primitivo (20%) e malvasia nera (10%). I vigneti ad alberello, di 50 anni, si trovano a pochi km dal mare e fanno tesoro della brezza salina e di un’escursione termica notevole, che aiuta a conferire al vino toni lievemente balsamici. Le tre uve sono vinificate separatamente e quindi assemblate per trascorrere un anno a maturare nelle piccole botti da 228 litri. Riposano poi ancora un anno in bottiglia. Il 2013 è stata un’annata buona per gran parte dei vini italiani. Non diversamente per Quarantale che, dopo l’opportuno invecchiamento, è risultato all’assaggio strutturato ma elegante, con profumi di macchia mediterraneo (elicriso, pino) e spezie, e un tocco balsamico. Bel finale, lungo e coerente.
Da provare sui piatti locali, come gli involtini con le cento pezze (parti della trippa), pezzetti di cavallo e anche altri piatti della cucina italiana, come costolette d’agnello, selvaggina e formaggi saporiti.
*  Quarantale, Salento Rosso Igp 2013, 25 la bottiglia. Prodotto da Rosa del Golfo, via Garibaldi 56, Alezio (Lecce), tel. 0833.281045, www.rosadelgolfo.com