giovedì 20 giugno 2019

Che bottiglie al Parigi (di Milano). Ecco cinque produttori che hanno partecipato all'Arena del vino. Buone nuove da Laurent-Perrier, Le Pupille, Tavignano, Siddùra e...Marolo

Il logo dell'Arena del vino
A Parigi (città) tutt’alpiù c’è l’Arena di Lutezia. Ma al Parigi, Grand Hotel Palazzo (di Milano), c’è quella del buon bere, l’Arena del vino. O meglio c’è stata, lunedì 17, giorno che, a dispetto della data, ha portato bene ai produttori che hanno visto accalcarsi in un ampio salone centinaia di appassionati, esperti, sommelier e ristoratori. Qualche Champagne, qualche distillato e molti vini italiani ai banchetti degli espositori, secondo la formula 3 in 1: ogni produttore presentava 3 bottiglie diverse, da potere assaggiare liberamente nel proprio bicchiere. E così si conversava sul vino, si scoprivano le novità, si degustavano le nuove annate: tutto in nome di una sartorialità, di un “fatto a mano” con gran cura e quindi di una ricerca della qualità, che sostanzialmente ha avuto conferma nella gran maggioranza dei vini assaggiati. Una cinquantina le aziende presenti, selezionate dalla società promotrice dell’evento, la Arena Wines & Consulting, con la parte del leone rappresentata dalla “delegazione” toscana, seguita da quelle piemontesi, venete, siciliane e lombarde.
Ecco alcune delle novità più interessanti.

L'Ultra Brut
Laurent-Perrier. Fondata nel 1812 da André Michel Pierlot e passata alla sua morte al cantiniere Eugent Laurent e poi alla sua vedova Mathilde Perrier, la Maison di Champagne di Tours-sur-Marne ne assunse  quindi i cognomi nella ragione sociale. Solo nel 1939 subentrò una nuova proprietà con Marie-Louise de Nonancourt prima e col figlio Bernard, poi. Questi aveva partecipato alla Resistenza francese a fianco del famoso Abbé Pierre (poi deputato, fondatore di Emmaus - organizzazione di sostegno dei poveri e dei rifugiati -, che come sindaco di Digione instaurò il cocktail Kir - Bourgogne aligoté e Crème de cassis - come “vino d’onore” del Comune).
Grand Siècle n. 24
Fu Bernard de Nonancourt a ricreare lo stile contemporaneo di Laurent Perrier, che nella Maison amano riassumere in tre parole: freschezza, finezza ed eleganza. Parecchi sono i motivi d’interesse della gamma degli Champagne L-P. Per esempio, accanto alla classica cuvée di base brut, c’è dal 1981 una cuvée denominata Ultra Brut, priva dello zucchero che di solito si trova nella liqueur d’éxpedition utilizzata per il rabbocco finale dello Champagne, subito dopo il degorgement (sboccatura). La dizione Ultra Brut, che ormai non si vede quasi più in giro, ma corrisponde in pratica alla Brut Nature (o pas dosé), campeggia sull’etichetta dell’eccellente Blanc de blancs (100% Chardonnay). La tradizione della cantina di Tours-sur-Marne è di basarsi sulla quella medesima di tutto lo Champagne per fare i vini: pochi millesimati e solo in annate veramente speciali, tutto il resto cuvée, mixando quindi vini di terreni e annate diverse per ottenere il meglio possibile anno dopo anno. Ma alla L-P la media dei millesimati per decennio è molto più rada di quella del totale degli Champagne. Per cui il millesimato che sta per uscire in commercio è il Brut 2008, vendemmia ritenuta eccezionale, che ha trascorso 9 anni sui lieviti, perfetto assemblaggio di 11 vini da zone tutte Grand cru, ricco e di una freschezza inusitata, con bei sentori agrumati e una gradevolissima vena minerale. Da crostacei e pesci nobili. 
L’altro Champagne d’eccezione della Maison è la sua cuvée de prestige, come amano chiamare queste tipologie i francesi. Quella di L-P si chiama Grand Siècle n. 24 (per distinguerla dalle precedenti cuvée, tutte numerate per il lavoro di cantina, ma che finora non esponevano in etichetta la numerazione). Il principio è quello di mettere insieme i migliori vini di riserva di tre annate ritenute eccellenti, una sorta di supermillesimo insomma. Nel caso della n. 24 sono statti utilizzate le annate 2007, 2006 e 2004, da 11 dei 17 Grand cru di Chardonnay e Pinot nero. Bollicine finissime, sentori di nocciola ma anche di miele, poi note tostate al naso; finezza, eleganza e persistenza in bocca con finale setoso e lievemente agrumato. Effettivamente un fuoriclasse, facile e complesso allo stesso tempo. Eccellente quasi su qualsiasi piatto che abbia qualcosa da dire al palato (135-150 € la bottiglia).

Fattoria Le Pupille. Elisabetta Geppetti è produttrice ben nota per i suoi pregevoli Morellino di Scansano e per aver dato vita a uno dei più famosi vini della Maremma, il Saffredi, un uvaggio di cabernet, merlot e petit verdot. Ora esce sul mercato con una novità assoluta, semplicemente ma orgogliosamente chiamata come la stessa cantina: Le Pupille
Le Pupille Syrah
L’hanno voluta Elisabetta stessa e la figlia Clara Gentili, che la affianca da otto anni nella conduzione, assieme all’enologo consulente Luca D’Attoma. È un Syrah in purezza, che deriva dalle uve di due appezzamenti, la Vigna del Palo e la Vigna di Pian di Fiora, rispettivamente di 1,5 e 0,5 ettari. Per le uve della prima, la vinificazione è stata fatta in tonneau aperti da 500 litri, con follature leggere e per 50 giorni complessivi tra fermentazione alcolica e macerazione ulteriore. Per l’altra, si è provveduto a vinificare in orci di argilla chiantigiana, sempre da 500 litri, con fermentazione spontanea, sia pur controllata e macerazione successiva per circa otto mesi. Poi si è proceduto all’assemblaggio con maturazione in botti da 300 litri per 10 mesi e all’imbottigliamento con ulteriore affinamento per 22 mesi. Prima annata il 2015, ma solo 3mila bottiglie. Chi l’ha assaggiato parla di profumi di frutti di bosco, spezie e tabacco, di giusta acidità in bocca, di complessità ed eleganza.
Molto interessante anche il bianco Poggio Argentato 2017, da uve sauvignon in prevalenza, poi traminer, petit manseng e sémillon, completamente fuori dagli schemi di tipicità regionale, ma sapido, sinuoso, con spunti fruttati, in particolare di agrumi ed erbe aromatiche (12-13 €).
Info: Fattoria Le Pupille, Piagge del Maiano 92 A, Grosseto, tel. 0564.409517, www.fattorialepupille.it

Il Misco Riserva
Tenuta di TavignanoCingoli, nelle Marche, è uno dei due soli comuni della provincia di Macerata che rientra nella menzione “Classico” del Verdicchio dei Castelli di Jesi. Qui ha sede la tenuta, 30 ettari vitati con le uve caratteristiche del territorio: oltre al Verdicchio, il Pecorino, la Passerina, il Montepulciano, il Sangiovese e il Lacrima di Morro d’Alba. La tenuta è proprietà da una ventina d’anni di Stefano Aymerich, di antica famiglia catalana e poi sarda, che la conduce ultimamente con il supporto della nipote Ondine de la Feld. La zona è ideale per la viticoltura, grazie al clima influenzato dai venti marini ma anche dalle correnti fresche del monte San Vicino che provocano le giuste escursioni termiche tra giorno e notte, adatte a ottenere vini profumati e longevi. 
Molto interessanti il Rosso Piceno Libenter (da sangiovese, montepulciano e cabernet) e il Lacrima di  Morro d’Alba Barbarossa (100% dall’omonimo vitigno), dai caratteristici sentori di visciole, viola e garrigue. Ma in questa terra la parte del leone la fa il Verdicchio dei Castelli di Jesi, in particolare il Misco (come era chiamato dai latini il vicino fiume Musone) nelle due versioni Classico Superiore 2017 (15 €) e Riserva 2015 (20 €). Ambedue si affinano solo in acciaio e successivamente in bottiglia, presentando bei sentori floreali e sfumature minerali. In particolare il Superiore matura per 6 mesi in vasca e 6 in bottiglia; la Riserva trascorre un anno sulle fecce fini e si affina un altro anno in bottiglia: dispensa profumi d’erbe aromatiche e mandorla, pesca e fiori di ginestra, con una particolare vena minerale. Ottima sui piatti di pesce e azzeccata anche su quelli speziati della cucina orientale.  
Info.Tenuta di Tavignano, loc. Tavignano, Cingoli (MC), tel. 0733.617303, www.tenutaditavignano.it

SiddùraLuogosanto è un villaggio di origine medievale nei pressi di Olbia. Qui, fra piccoli insediamenti nuragici e boschi, arbusti di mirto e piante di ginestra nel 2008 Nathan Gottesdiener e Massimo Ruggero hanno deciso di sviluppare la loro impresa vinicola. Oggi, su circa 38 ha, allevano Cannonau e Cagnulari, Cabernet e Sangiovese. Ma soprattutto la grande uva della zona, il Vermentino. Docg, il Vermentino di Gallura è uno dei più grandi bianchi italiani, profuma di macchia mediterranea, è intenso, sapido e può invecchiare molto bene, evolvendosi positivamente nel tempo. È anche piuttosto versatile come dimostrano le differenti versioni che ne propone
Siddùra: tre, dai nomi poetici. Spèra, che in gallurese vuol dire “fascio di luce”, ne è la versione più
I tre Vermentini di Gallura di Siddura
fresca, profumata, buona per l’aperitivo come per i piatti di pesce non troppo strutturati (12,50 €). Maìa in gallurese significa magia ed è un Superiore, le cui vigne d’origine sono collocate nel terroir migliore. Qui i profumi si fanno più intensi, la sapidità aumenta e come pure la corposità. Bene con i saporiti antipasti sardi, con primi piatti di pesce e con la bottarga. (sui 20 €).  Bèru è anch’esso un Vermentino Superiore, il cui nome deriva addirittura dall’estrusco, significa nobile e farebbe parte dell’etimologia della parola vermentino (Beru-Veru…). Questo vino fermenta in piccoli fusti di rovere per una decina di giorni, poi si affina per otto mesi in barrique nuove. Il colore è dorato, i profumi richiamano il burro e la crosta di pane, la vaniglia ma anche il timo; in bocca è elegante e armonico, il legno non gli fa perdere freschezza, la sapidità è preservata, anche se il finale è vanigliato e richiama pure il miele d’acacia. Ottimo con la fregula e i risotti di mare, crostacei e pesci in salsa e formaggi non troppo stagionati (30 € circa).
Info. Società agricola Siddùra, loc. Siddùra, Luogosanto (OT), tel. 079.6573027, www.siddura.com

MaroloParafrasando l’antico adagio…Grappa in fundo. E che grappa, anzi, che grappe! Dal 1977 Paolo Marolo (poi col figlio Lorenzo) si è specializzato nel proporre distillati di vinacce rigorosissimi quanto interessanti e…gustosi. Intanto le grappe sono solo di monovitigno, distillate in apparecchi discontinui (non quelli a colonna tipici degli impianti industriali), a bagnomaria; poi l’invecchiamento (meglio sarebbe dire la maturazione) avviene in fusti d’acacia e in barrique francesi selezionati con cura. 
Il Martin Pescatore
emblema della Grappa
di Barolo di Marolo
Ormai la produzione si dipana su quasi tutto il fronte nazionale, per quanto riguarda le vinacce d’origine. Si va dai vitigni piemontesi (Nebbiolo da Barolo, Arneis, Moscato, Barbera, Barbaresco ecc) al Brunello di Montalcino, dai Pigato e Vermentino liguri al Gewürztraminer altoatesino, dall’Amarone veronese al Verdicchio marchigiano. Ma il fiore all’occhiello è probabilmente la Grappa di Barolo. Anche qui in parecchie versioni. C’è quella dello specifico cru Bussia e la San Sebastian, affinata a lungo in barrique. La Doppio fusto (che riposa in due fusti dalle essenze legnose diverse, prima di essere assemblata) e quelle che riportano gli anni di invecchiamento; ora in commercio: la 9, la 12, la 15 e la 20 anni, tutte a 50° di forza tranquilla e profumi intensi che a volte sfociano, proprio come nei vini rossi di pregio, in vaniglia, tabacco e cuoio (40-90 € a seconda dell’invecchiamento). La più prestigiosa è senza dubbio la Barolo 1991, 27 anni di maturazione dopo la distillazione. È una vera fuoriclasse che si affina lentamente con un procedimento complesso. Dapprima trascorre 12 anni in botti di rovere che hanno contenuto Marsala Florio (solo il 20% in botti in cui si sono affinati vini bianchi piemontesi); poi dal 13° al 27° anno il distillato passa, sosta e poi passa ancora in diverse botti che hanno contenuto Sherry, Porto, rum, Scotch Wisky single malt, Cognac e Bas Armagnac. Infine l’imbottigliamento. In bocca, un’esplosione sia pur equilibrata di sensazioni, dalla noce alla vaniglia, dal velluto all’uva passa. 1421 bottiglie. Prezzo: sui 170/180 € l’una.
Info. Fratelli Marolo, Distilleria Santa Teresa, corso Canale 105/1, Alba (CN), tel. 0173.33144, www.marolo.com
            

sabato 1 giugno 2019

Alto Adige e Campania, lontani e sempre più vicini, in nome della qualità. E della riscoperta dei vini autoctoni. Come il vesuviano Caprettone o il casertano Casavecchia

Vigneti di Casa Setaro su suoli vulcanici (a sinistra) nel Parco del Vesuvio
e della Cantina di Lisandro (a destra) di Castel Campagnano (Caserta).
Campania Felix. Ma lo è ancora? Per quanto riguarda il vino sì. Per Campania Felix s’intendeva quella antica, dell’epoca romana, a cominciare dal territorio di Capua, estendendosi in realtà dalle pendici del monte Massico a nord, fin quasi ai Campi Flegrei e ai territori vesuviani a sud: comprendeva, oltre a Capua, centri abitati come Literno, Cuma, Nola, Napoli, Sorrento, Salerno. E Pompei, dove, dopo secoli, dagli ultimi anni del Novecento è di nuovo coltivata la vite: Mastroberardino con le uve di Aglianico, Piedirosso e Sciascinoso produce il Villa dei Misteri, Rosso pompeiano Igt (circa 2000 bottiglie in vendita sul sito www.mastroberardino.com a 100 € l’una). L’appellativo felix fu dato grazie alla fertilità dei terreni, dovuta in gran parte al fiume Volturno.
Oggi si può parlare di una Campania enoica felice grazie ai fermenti che la percorrono, ai nuovi produttori che si affacciano alla ribalta, alla crescita in qualità delle sue Doc, dal Greco di Tufo al Fiano d’Avellino, dal Taurasi ai vini del Cilento, dalla Costa d’Amalfi alla Falanghina del Sannio, dai Campi
La Vendemmia...sospesa da Scala Fenicia, a Capri
Flegrei al Falerno del Massico, dall’Ischia ai rari vini di Capri, dove si stanno facendo strada, dopo anni di assenza, un paio di produttori notevoli, Scala Fenicia e Masseria Frattasi. La prima produce uno squisito Capri Bianco in poche migliaia di bottiglie, in vendita, a seconda delle annate e delle rivendite, fra i 22 e i 26 € la bottiglia (per Capri e Ischia, vedere anche il post “Vacanze enoiche / I vini autoctoni di Ischia e quelli eroici di Capri, da Giardini Arimei a Scala Fenicia”, https://ilmoncalvini.blogspot.com/search/label/Capri).
Masseria Frattasi, che però ha la cantina a Montesarchio, nel Beneventano, produce un Capri rosso di buona fattura, venduto a un prezzo molto alto, anche se in effetti si tratta di poche centinaia di bottiglie: 180 € (sul loro sito Internet). E non è un caso che un altoatesino come Helmuth Köcher, il patron del Merano Wine Festival (MWF), abbia scelto a Milano per presentare le anticipazioni della 28ª edizione (dall’8 al 12 novembre) lo Spazio Campania di piazza Fontana. Le ragioni? Una collaborazione sempre più stretta con la regione, con l’obiettivo di ricercare anche vini nuovi, meno noti, da scoprire o riscoprire in zone vinicole che ormai non hanno più granché da invidiare a quelle più blasonate del Centro-Nord.
Köcher, che qualche anno fa si è inventato l’appellativo di The Wine Hunter, cacciatore di vino, facendone un marchio sul quale ha costruito le classifiche dei vini ospitati al MWF, ha presentato, oltre a una selezione di vini campani in degustazione, anche alcune delle novità della kermesse di Merano. Fra le quali una selezione internazionale di vini e produttori particolari, come lo Château Ksara col suo rosso Le Souverain 2013; l’argentino Altura Máxima 2016, di Colomé, Malbec in purezza, da vigneti che arrivano anche oltre i 3000 m. d’altitudine; il Pinot noir 2016 della neozelandese  Luna; ancora, il
Conferenza stampa allo Spazio Campania di Milano
sul Merano Wine Festival. Al centro Köcher
canadese Reserve Meritage 2016 della Tenuta Jackson-Triggs Estate Wines; il cileno Montes Alpha M 2016 di Montes; il Pinot noir 2016 di Penner-Ash Wine Cellars, “particolare e straordinario”, dell’Oregon statunitense. 
Ma in questa rassegna di eccellenze internazionali Köchner non si è limitato al vino: ha inserito anche un sake definito “peculiare”, il Nigori (significa: poco nuvoloso, cioè poco filtrato) Sake di Gekkeikan, della categoria Sake Futsu-shu dry, “dalla consistenza cremosa, morbido, con sentori che richiamano il riso fresco e aromatico”. In verità, i Sake futsu-shu sono quelli considerati “normali”, anche se ve ne sono di ottimi; i migliori sono chiamati Tokutei meishoshu, “per le occasioni speciali”, con tanto di certificazione del grado di macinatura e sulla purezza (con restrizioni sulla quantità di alcol distillato aggiungibile). È un mondo variegato e complesso quasi quanto quello del vino. Chi avesse voglia di conoscerlo meglio, a Milano può andare in un locale dedicato, il Sakeya, The house of sake, bar, bistrot e negozio in un ambiente scenografico che presenta una selezione di circa 180 etichette (fra cui 30 dalle diverse Prefetture, che hanno tradizioni differenti nella produzione), tutte acquistabili, miscelabili in cocktail o servite al calice, magari con un piatto di tre assaggi o pescando dalla carta i vari obenzai (antipastini). Ma ci sono anche piatti veri e propri, come le varie ricette alla brace dello chef Masaki Inoguchi e altre proposte golose, dal polpo in tre cotture allo yaki don con foie gras. Si beve e si mangia molto bene e in maniera diversa da molti altri locali cittadini, più o meno autenticamente giapponesi (conto sui 50-100 € il pranzo completo; via Cesare da Sesto 1, tel. 02.94387836, www.sakeya.it).
Ma si è divagato sul sake mentre il fermentato di riso giapponese non è che una chicca dell’offerta che vi sarà novembre a Merano e che è ancora in fase di costruzione. Le novità annunciate per ora, oltre a quelle della selezione internazionale, riguardano la pubblicazione sulla guida online The Wine Hunter Award (https://award.winehunter.it/della classifica dei 100 migliori vini italiani, (delle varie categorie: spumanti, bianchi, rosati, rossi e dolci), dei 5 migliori per ogni regione e delle aziende vinicole “fedeli” alla manifestazione quasi trentennale. Val la pena di ricordare che queste ultime possono partecipare al MWF dopo aver inviato i vini alle commissioni di assaggio, che si riuniscono più volte a partire da giugno. Sono ammessi solo le bottiglie cui siano stati riconosciuti l’Award rosso (corrispondente a un punteggio in centesimi tra 88 e 89,9), l’Award Gold (da 90 a 94,9) e, con una ulteriore selezione, l’Award Platinum (da 95 a 100 punti), non più di 34 fra cui 9 di annate “vecchie”.  Nel 2018 sono state valutate oltre 5mila etichette di cui 2500 premiate con l’Award Rosso, 450 con il Gold e appunto 34 con il Platinum.
Dall’Alto Adige di nuovo alla Campania Felix, che ha avuto modo di manifestarsi in maggio, ancora una volta a Milano, con la presentazione alla Winedrops Meeting Room di via Piatrasanta di vitigni rari e recuparati da parte di due piccole aziende vitivinicole del Casertano e del Napoletano, Cantina di Lisandro Casa Setaro.
Rosa Fusco e Almerigo Bosco hanno fondato nel 2006 la società Poderi Bosco, impiantando a Castel Campagnano (Caserta) 10 ettari (oggi 14) di vigneto affacciati su un’ansa del Volturno. Il logo della nuova cantina fu presto trovato, richiamando quello di don Lisandro, bisnonno di Rosa che nel 1907 in occasione del suo matrimonio ebbe in dote sei botti di vino, grazie alle quali aprì a Casolla una vineria dotata di una profonda cantina scavata nel tufo, tuttora esistente.
Nel vigneto vengono coltivati i vitigni Pallagrello bianco nero, il cui nome deriverebbe dalla forma perfettamente sferica degli acini (piccole palle, in dialetto pallarelle). Nell’Ottocento il Pallagrello era molto diffuso e stimato, persino dal re Ferdinando IV di Borbone, poi a inizio Novecento fu semidistrutto dalla fillossera, per essere in seguito utilizzato sono come uva da taglio. Finalmente verso la fine del secolo si è ricominciato a valorizzarlo. Si tratta di due vitigni strettamente imparentati, vigorosi ma poco produttivi, dagli acini piccoli e leggeri. Il bianco è alato, il nero invece è senza ali e spargolo.
I vini della Cantina di Lisandro
La Cantina di Lisandro produce il Lancella 2017, Pallagrello bianco al 100%, giallo brillante tendente all’oro, dai profumi poco floreali ma invece intensi di frutta gialla (pesca, pompelmo), fresco e sapido al palato, in chiusura nespola e leggera mandorla (sui 16 € la bottiglia). Il Nero di Rena 2015 (Pallagrello nero) nasce su suoli sabbiosi e una volta vinificato matura parte in tini d’acciaio parte in botti di legno e in anfore. Elegante, fruttato (more e ciliegie), succoso e sapido (circa 25 € la bottiglia). Blend autoctono, anzi proprio “casalingo” è il Terzarulo 2017 da Pallagrello nero e Casavecchia, che matura 6 mesi in acciaio e in parte in tonneau, dai sentori speziati, sapido e ricco (sui 15 € la bottiglia). 
Il vitigno Casavecchia, tipico del Casertano, ha una storia particolare. A quanto si dice fu riscoperto ’a casa vecchia, cioè in un rudere agli inizi del Novecento, ove fu rinvenuto un ceppo sopravvissuto alla fillossera e all’oidio. Potrebbe coincidere con l’uva del vino Trebulanum, dell’insediamento romano di Treglia, frazione di Pontelatone, citato da Plinio il Vecchio nel suo Naturalis Historia. Quale che sia l’origine il Casavecchia ha un grappolo grosso e lungo, spargolo (cioè a chicchi radi), con acini dalla buccia scura. Ce ne vuole almeno l’85% (per il resto altre uve rosse approvate) per ottenere il vino Casavecchia di Pontelatone Doc. Il Rosso matura almeno 2 anni, di cui uno in botti di legno, la Riserva 3 anni, di cui la metà in legno. Alla Cantina di Lisandro ritengono però che un anno e oltre di legno siano eccessivi e pregiudichino la natura agreste del vino. Perciò preferiscono, svicolando dalla Doc e rifugiandosi sotto l’ombrello della Igp Terre del Volturno, affinare il loro Cimmarino Casavecchia 2017 solamente in acciaio con la microossigenazione e poi in bottiglia, per preservarne i profumi tipici, dalla violetta al sottobosco e una certa tannicità piacevolmente rustica (sui 17 € la bottiglia).
È all’interno del Parco nazionale del Vesuvio Casa Setaro, fondata nel 2005 da Massimo e Mariarosa Setaro a Trecase, paese della città metropolitana di Napoli e luogo di villeggiatura delle famiglie nobili partenopee nel Sette-Ottocento, di cui restano numerose “ville di delizie”. I locali aziendali sono ricavati nella roccia vulcanica e così usufruiscono di temperatura e umidità costanti per tutto l’anno. Circa 15 ettari di vigneto affacciati a meridione, sul mare di Capri, tra i 150 e i 400 metri d’altitudine. Qui si coltivano a piede franco (cioè non innestate su radici americane, la “trovata” che salvò i vitigni europei dalla fillossera) varietà autoctone come Aglianico, Falanghina, Piedirosso Caprettone, mai attaccati dal pernicioso insetto, che si trova male nell’affrontare i terreni lavici in cui affondano le radici, i quali, essendo ricchi di minerali e molto fertili e grazie anche al particolare microclima,
I vini di Casa Setaro. A dx lo spumante classico Pietrafumante
favoriscono vendemmie di qualità.
Il Caprettone è il vitigno meno conosciuto e forse più interessante. Prenderebbe il nome dalla forma del grappolo che ricorda la barbetta della capra. L’uva è bianca e per molto tempo è stata confusa con il più noto vitigno Coda di Volpe. Fino al 2014, quando dopo approfondite analisi ne è stata scientificamente riconosciuta la specificità. Si è ancora agli inizi della conoscenza e dello sfruttamento di questa uva bianca dalla foglia grande, grappolo spargolo con acini piccoli e regolari, vendemmiata nelle prime settimane di settembre con un grado zuccherino giusto e acidità ottimale, che garantiscono nerbo non disgiunto da un buon bagaglio aromatico. A Casa Setaro il Caprettone è utilizzato in purezza in tre vini. Nel Pietrafumante, fragrante e floreale spumante metodo classico (30 mesi sui lieviti), di buona struttura con un gradevole finale minerale (sui 25 € la bottiglia). Ancora, nell’AryeteVesuvio Caprettone Doc 2017 Alto(circa 16 € la bottiglia) fermentato e affinato per sei mesi in anfore e tonneau e poi per altri due in bottiglia: bel colore giallo tendente all’oro, note di ginestra e agrumi al naso, sapido e in perfetto equilibrio sul palato tra vena acida e morbidezza. Infine, nel Munazei Lacryma Christi del Vesuvio Doc (sui 16 € la bottiglia), fermentato per tre settimane a temperatura controllata, maturato e affinato in acciaio per 6 mesi e per altri due in bottiglia. Fruttato, con note balsamiche, in bocca è fresco, sapido, persistente, di sorso piuttosto lungo.
Jamme bell jà (a berci nu’ bicchièr)…

INFO. Merano Wine Festival 2019: 8-12 nov; https://meranowinefestival.com  Scala Fenicia: www.scalafenicia.com  Masseria Frattasi: www.masseriafrattasi.it  Cantina di Lisandro:  www.cantinadilisandro.com  Casa Setaro: www.casasetaro.it (sito in costruzione).