sabato 23 aprile 2016

Rosso Calabria alla riscossa / Il top dei vini e le migliori cantine, dal Moscato di Saracena alle Terre di Cosenza

Vigneti a Strongoli (Crotone)


La rinascita parte dal basso. Più precisamente dalla punta dell'italico Stivale. E dunque dalla Calabria. Se ci sono nella Penisola delle produzioni enologiche sottovalutate, sono quelle calabresi. Con qualche ragione, certo. Vini con eccessi alcolici a scapito dell'eleganza, identità annacquate, confusione nelle denominazioni. Nel passato. Da qualche tempo però è in atto un nuovo risorgimento. E se una delle regioni meno fortunate d'Italia, solleva le bottiglie in alto e comincia a farsi largo nell'enologia virtuosa, allora si può ben dire che tutta l'Italia del vino si sta muovendo sempre più avanti. C'è ancora da fare per consolidare la via maestra della qualità e della leggibilità di vini e vigneti, ma la strada è segnata.

Troppo ottimisti? Chi è stato all'ultimo Vinitaly ha potuto cogliere un segnale preciso da parte della Regione, che al suo stand ufficiale intitolato Rosso Calabria ha proposto degustazioni interessantissime dei suoi vini migliori, con uno spettro che comprende bianchi, rossi, rosati (di gran tradizione) e particolari vini da dessert o meditazione, dal più noto Greco di Bianco al semisconosciuto ma eccezionale Moscato di Saracena. Quasi superfluo aggiungere che la tradizione vitivinicola è qui antichissima. La si fa risalire all’8° secolo a.C.: non a caso i Greci chiamavano Enotria questa terra, lodando la generosità delle sue uve. E però è qui e ora che la Calabria è chiamata a dimostrare la bontà delle sue produzioni. Pur nell’esiguità dei suoi numeri, lo sta facendo.
Ecco le cifre. Solo 12mila ettari di vigneto

(circa il 2% della superficie nazionale), ma un patrimonio di circa 350 vitigni autoctoni, di cui si stanno studiando sinonimie e carattere, come spiega l’enologo Gennaro Convertini, presidente della Fis. La produzione non supera i 10 milioni di bottiglie, ma il 15% va all’estero, quasi tutta in Germania. Su 400mila ettolitri medi annui, il 70% è costituito da vino rosso (rosato compreso), il 30% da bianco. Le aree produttive sono concentrate sulla costa crotonese, con il Consorzio di tutela vini Doc di Cirò e Melissa; nel Cosentino, col Consorzio di tutela vini Doc Terre di Cosenza, ma altre produzioni  interessanti si trovano pure nelle zone di Catanzaro e Reggio Calabria, per cui in totale si contano 9 Dop, o Doc (fra esse, anche Savuto e Lamezia), e 9 Igp (o Igt). I vitigni principali? Il gaglioppo, che caratterizzza la produzione del Cirò Rosso e Rosato e del Melissa Rosso. Nel Cosentino, il magliocco, che dà luogo a vini strutturati. Fra i bianchi, il greco bianco, padre del Cirò Bianco, del Bivongi, del Greco di Bianco (vino dolce eccellente, ritenuto  insieme al Moscato di Siracusa, il più antico d’Italia). A Vinitaly, il presidente della regione Mario Oliverio ha snocciolato una serie di dati che riguardano i finanziamenti specifici messi in  atto per valorizzare il comparto del vino: 4milioni e 200mila euro, ripartiti sulla promozione sui mercati terzi, la riconversione o ristrutturazione dei vigneti, e così via. E incentivi per l’immissione di almeno mille nuovi giovani imprenditori, con premi di primo insediamento fino a 50mila euro.
Insomma, la  Calabria vitivinicola si muove.  E si muove bene, sulle orme delle sue eccellenze. Ma quali sono? Per individuarle, sia pure in maniera parziale, ci siamo affidati a delle antenne sensibili sul territorio, i sommelier. Quelli dell’Ais (Associazione italiana sommelier) e della Fis (Fondazione italiana sommelier), che editano due guide dei vini italiani. Abbiamo messo a confronto  i loro voti, per scoprire i vini e le cantine di vertice. Esempi per tutti, non solo in regione, ma anche nel resto d’Italia. Nella tabella in alto i 4 vini al top, qui sotto, la classifica dei 7 migliori produttori e i criteri adottati per incrociare i voti.



Come è fatta la tabella e la classifica dei migliori produttori

Per la tabella in alto sono state utilizzate le guide dell’Ais (Associazione italiana sommelier, www.aisitalia.it) e della Fis, (Fondazione italiana sommelier, www.bibenda.it), edizioni 2016.
La prima si chiama Vitae (prezzo: 35 €), è alla seconda edizione, dopo quella del 2015 e nelle sue oltre 2000 pagine giudica i vini assegnando loro il simbolo della vite (da 1 a 4), derivato a sua volta da giudizi in centesimi: 1 vite: da 75 a 79 punti (vino discreto); 2 viti: da 80 a 84 (buono); 3 viti: da 85 a 89 (ottimo); 4 viti: almeno 90 punti (eccellente).
Bibenda è la guida della Fis, da quest’anno solo online. L’abbonamento annuale costa 19 €.
Il metodo è analogo a quello dell’Ais. Il giudizio è riassunto dal simbolo del grappolo d’uva; si parte da 2 fino a un massimo di 5. 2 grappoli: da 74 a 79 punti (vino medio e piacevole); 3 grappoli: da 80 a 84 (buono e fine); 4 grappoli: da 85 a 90 (grande e di pregio); 5 grappoli: da 91 a 100 (l’eccellenza). Come si vede i punteggi sono assolutamente analoghi, visto che i simboli per l’Ais vanno da un minimo di 1 a un massimo di 4, mentre per la Fis, da 2 a 5.
Per ottenere la tabella dei migliori vini abbiamo dunque incrociato o meglio sommato i voti delle bottiglie di vertice presenti in ambedue le guide. Il risultato della tabella più sopra contempla quindi i vini che hanno ottenuto il punteggio di 8. Nessuno ha conseguito il massimo, 9. Il voto 8 nei casi di Ippolito 1845, Librandi e Cantine Viola è il risultato di un 5 (Fis) +3 (Ais). Nella fattispecie di Serracavallo, di un 4+4.
Qui segnaliamo ancora le aziende vinicole che hanno ottenuto almeno 6 punti (risultato della somma dei giudizi delle due guide), per più di un vino. La classifica è quindi formata sommando i voti delle due guide su ogni vino di un’azienda, e poi sommando fra di loro il voto dei vini. Chiaro che chi ha più bottiglie ben votate dalle due guide ha più punti ed è al vertice. Da notare che la Fattoria San Francesco è stata acquisita da pochi anni dalla famiglia Iuzzolini.
Ma ecco I Magnifici Sette.

1° Librandi, Cirò Marina (Kr), www.librandi.it: 28 punti con 4 vini
2° Ippolito 1845, Cirò Marina (Kr), www.ippolito1845.it: 22 punti con 3 vini
3° Statti, Lamezia Terme (CZ), www.statti.com: 20 punti con 3 vini
4° Tenuta Iuzzolini, Cirò Marina (Kr), www.tenutaiuzzolini.it: 19 punti con 3 vini
5° Serracavallo, Bisignano (CS), www.viniserracavallo.com15 punti con 2 vini
6° Feudo dei Sanseverino, Saracena (CS), www.feudodeisanseverino.it: 13 punti con 2 vini
7° Fattoria San Francesco, Cirò (Kr), www.tenutaiuzzolini.it: 12 punti con 2 vini



sabato 9 aprile 2016

Chianti, Brunello o Vino Nobile? Tre piccoli produttori di gran classe, da scoprire anche al Vinitaly

Toscana, paesaggio del Chianti
Nel mare magnum del Vinitaly incrociano arditi anche i piccoli navigli, non solo le possenti corazzate.
Chianti Classico, Montalcino, Montepulciano, rappresentano la Toscana famosa nel mondo per i suoi vini di tradizione.  Ma in queste zone ci sono grandi produttori (per fama e/o numero di bottiglie) e piccoli, magari ancora poco noti, ma di qualità sicura, che tendono spasmodicamente all’eccellenza. Senza indulgere troppo alla retorica del “piccolo è bello” o del veronelliano motto - o sbotto - : “Il peggior piccolo vignaiolo è sempre migliore del grande produttore”, ecco la vicenda e l’attualità di tre vignaioli, più e meno piccoli, ma di grandi territori, qualitativamente parlando. Uno per zona, ognuno con una storia autentica da raccontare, le sue buone, a volte anche eccellenti bottiglie, da proporre. Partendo da nord-ovest verso sud-est, dal Chianti Classico al terroir di Montepulciano.
La Sala. Francesco Rossi Ferrini già possedeva, tramite la sua famiglia, dal 1941, a San Casciano Val di Pesa (loc. Monteridolfi) Il Torriano, sede dell’omonimo agriturismo, dove si coltivano sangiovese e merlot su terreni argillosi di colore rossastro (a 250-300 m. s.l.m.), che danno luogo a vini strutturati e di colore intenso. Ma aveva messo gli occhi da tempo sulla tenuta La Sala, in loc. Sorripa, caratterizzata da pendii dolci, più bassi (da 130 a 200 m. s.l.m.) e terreni calcarei marnosi biancastri detti alberese. Finendo per acquistarla nel 2014. Anche i microclimi sono differenti, ma tutta questa diversità è benedetta. Mixandoli con sapienza, i vini in uvaggio si completano: il Torriano apporta struttura e colore, La Sala freschezza ed eleganza. Tuttavia nella considerazione di non pochi “esperti”, la zona di San Casciano viene ritenuta in qualche modo minore nella costruzione dei Chianti, perché per le sue caratteristiche difficilmente può dar luogo a vini muscolari (ipertrofici, li definisce l’enologo Stefano Di Biasi). Vini simili non li vogliono e del resto forse non li possono fare né Di Biasi né Rossi Ferrini, che hanno puntato piuttosto a prodotti identitari, di affermazione del territorio, un po’ meno strutturati quindi, puntando di più sulla tensione acida e la pulizia del fruttato.
I vini attualmente in produzione sono solo tre, per un totale di circa 22mila bottiglie, la crème: se ne fa di più, ma il resto viene venduto sfuso. Due i Chianti. Il Classico “base”, fermentato in acciaio e in parte in botti grandi: nel 2012 emergono le note della visciola, nel 2013 quelle agrumate, tutt’e due molto piacevoli e in evoluzione. Nella Riserva 2011 (1500 bottiglie, 85% sangiovese, 15%  cabernet sauvignon, con fermentazione malolattica in botte del primo, in barrique del secondo; e dopo il blend, maturazione al 50% nei due legni per 18 mesi, più 12 in bottiglia), si riconoscono ancora la visciola, lo zenzero candito, cannella, eucalipto e tannini ben amalgamati. Armonia e complessità. Molto buona.



Ciacci Piccolomini d’Aragona. La tenuta ha origini addirittura seicentesche, passa poi nel 1877 alla famiglia Ciacci, e quindi per matrimonio anche ai Piccolomini d’Aragona, nella prima metà del Novecento. Si trova vicino al borgo medievale di Castelnuovo dell’Abate e all’abbazia romanica di Sant’Antimo. Estinto il casato, la proprietà è acquistata nel 1985 da Giuseppe Bianchini, noto vignaiolo di Montalcino e, alla sua scomparsa, nel 2004, passa ai figli Paolo e Lucia. I vigneti sono nella zona sud-ovest di Montalcino, non lontano dal fiume Orcia, su terreni sassosi e galestro, a un’altitudine che varia da 240 a 360 m. A Montenero (Grosseto) c’è un’altra cantina, dove vengono vinificate le uve della Doc Montecucco Sangiovese. L’enologo è Paolo Vagaggini. A questo punto occorre dire che i vini di Ciacci Piccolomini e di La Sala sono stati presentati poche settimane fa a Milano, al Vun dell’Hotel Park Hyatt, sotto l’egida di Luca Gardini, noto e vulcanico sommelier. In particolare Gardini era presente alla degustazione di Ciacci Piccolomini, perciò ne riportiamo le impressioni.
Le bottiglie in produzione sono circa 250mila, ma una parte riguarda la Doc Montecucco, interessante, ma meno pregiata della più nota Montalcino. Che inizia con due vini della travagliata annata 2014, il Rosso e il cru Rosso Rossofonte. Già notevoli in assoluto, ancor più meritori, tenendo conto del millesimo. Lasciamo scatenare Gardini, che parla, per il Rosso normale, di “note di lampone giallo, di rosa, di florealità, pulizia, spezie pulite; acidità e tannino come punti di forza in bocca, sentori citrini e sapidi”, azzardando un abbinamento con zuppe di pesce. Il cru Rossofonte 2014, da una vigna più vecchia, è un’alternarsi di note acide e dolci, floreale, “polveroso”, quasi balsamico. In bocca, compatto, denso, tannino più croccante della versione normale (ammandorlato). Ben fatto, senza note vegetali (ma qualcuna chi scrive l’ha avvertita…). Brunello 2011: secondo Gardini, “annata dell’immediatezza”, dà il meglio di sé nei primi anni di maturazione. Pesca gialla “col pelo” (!), spezie dolci e piccanti: zenzero. Pulito e verticale. Brunello Vigna di Pianrosso Riserva S. Caterina d’oro 2010. Gran vino, perfetta sintesi del terroir e dell’annata, che ha portato piogge giuste ed escursioni termiche perfette. Pulito, elegante, note di visciola e freschezza donata dai sentori di alloro ed eucalipto; iodio.  Grande espressività. Come esempio di un’annata “vecchia”, ma soprattutto calda (ondate di calore, il peggio), si degusta il Brunello Vigna di Pianrosso 1999. Qui risaltano sia le note empireumatiche (caffè torrefatto), che il cacao, e poi olive in salamoia, salinità. L’annata calda omogeinizza il tannino in anticipo, sostiene Gardini, che non è fiancheggiato dall’acidità.

Gracciano della Seta. La famiglia Svetoni, autoctona di Montepulciano, possedeva la tenuta di Gracciano fin dai primi anni dell’Ottocento, compresa la villa con giardino all’italiana. 400 ettari e 22 poderi in regime di mezzadria, che producevano uva, vino e altri prodotti agricoli. Il Nobile delle cantine Svetoni vinse un premio alla Fiera di Torino già nel 1864 e sussistono tuttora nelle vecchie cantine della villa bottiglie di annate storiche. Per via ereditaria la proprietà è passata nel Novecento a Giorgio della Seta Ferrari Corbelli Greco e ai suoi tre figli Marco, Vannozza e Galdina. I vigneti sono stati rinnovati (oggi 20 ha su 70 totali), alla cantina storica che ospita le botti per la maturazione dei vini (grandi, da 25-50 hl, e tonneaux, da 500 litri) se ne è affiancata nel 2013 un’altra per la vinificazione. Mattoni all’esterno, tecnologie di ultima generazione all’interno, con i vinificatori in acciaio da 50 a 120 hl, con dispositivi per il rimontaggio e la follatura, pompe peristaltiche (pompe pulsanti a rulli), presse pneumatiche…
I vini di Montepulciano, come è noto, sono fatti con le uve prugnolo gentile (denominazione del sangiovese, in zona), eventualmente canaiolo nero, malvasia del Chianti e, fino al 10-20%, altri vitigni ammessi in provincia di Siena. I Della Seta utilizzano solo prugnolo e merlot, coltivati su suoli limosi-argillosi a 300-350 m. s.l.m, anche con vigneti risalenti al 1970, e rese fra i 30 e i 40 hl per ettaro. Distinguono quattro cru, Casale, Maramai, Rovisci, Torraia, ma non producono i vini da un solo appezzamento. Dal 2015 l’azienda è in conversione biologica e utilizza in gran parte prodotti a base di rame e zolfo per combattere i parassiti, evitando da tempo le concimazioni e intervenendo semmai con trasemine di leguminose. La zona ventilata favorisce la sanità delle uve. La raccolta è manuale e i grappoli vengono posati su carrelli vibranti con piano inclinabile che li porta nella diraspatrice. Le bottiglie prodotte sono circa 100mila in totale, divise fra un Rosso, due Nobile e un Rosato Toscana Igt. Il Rosso di Montepulciano (30mila bottiglie) nasce dai cru di Casale e Maramai, da 90% di prugnolo gentile e un 10% di merlot; fermenta e macera in acciaio con lieviti indigeni. Se ne producono circa 30mila bottiglie. Al naso ha il classico profumo di frutti rossi, in bocca risulta secco e un po’ tannico, ma setoso. Il Vino Nobile (40mila bottiglie) nasce nei cru di Rovisci, Maramai e Toraia, sempre da prugnolo gentile e 10% di merlot e subisce due tipi di maturazione: il 40% in tonneau da 3,5 e 5 hl, il 60% in grandi botti da 25 hl, per 18 mesi. Il vino risulta evidentemente più complesso del Rosso, ai sentori di ciliegia si aggiungono la prugna, anche la viola, un accenno di spezie; in bocca è sapido, i tannini sono ben integrati grazie anche alla spalla giustamente acida, risulta equilibrato ed elegante. 

Chianti Classico, Montalcino e Montepulciano.

La Riserva del Nobile (6-7mila bottiglie) si avvale delle uve dei cru Maramai e Rovisci. La produzione per ha si abbassa  da 40 a 30 hl, i mesi di maturazione diventano 24, metà nei tonneau e metà nelle botti grandi. Si aggiunge un affinamento di almeno sei mesi in bottiglia. Il vino si fa più intenso e complesso, si aggiungono sentori più marcati di spezie, cuoio, equilibrio e sapidità in bocca, eleganza e lunghezza del sorso. Infine, nel Rosato Igt Toscana (100% prugnolo gentile, 4mila bottiglie), ottenuto per criomacerazione sulle bucce per 4-5 ore, s’intuiscono sentori e note fruttate, dalla ciliegia al lampone e anche, sottili, di rosa, una freschezza e sapidità adeguate. Peccato che al campione degustato facesse velo un leggero, ma evidente sentore di tappo…


martedì 5 aprile 2016

Quattro Dame, un Palazzo e due Champagne


Aurora Mazzucchelli, Fabrizia Meroi, Marianna Vitale e Isa Mazzocchi
a Palazzo Clerici di Milano, vestite da Altalen
Quante sono le donne-chef che vantano almeno una stella Michelin in Italia? 42. A contarle ci ha pensato Francesca Terragni, direttore comunicazione dei brand di Champagne, vini e superalcolici di Moët Hennessy. “Quasi un terzo del totale mondiale (di stelle)”, ha osservato, “ma senza un’associazione femminile che le rappresenti”, come, per esempio, Le Donne del Vino nel più vasto mondo enologico italiano.
Così ci ha pensato lei, a nome della Vedova, alias lo Champagne Veuve Clicquot, uno dei più famosi, reinventato nell’Ottocento da una donna straordinaria come Barbe-Nicole Ponsardin, sposa di François Clicquot, produttore di Champagne, e poi sua vedova a 27 anni (sulla sua vita e le sue invenzioni vedi il post del 31/10/2014 Vita effervescente di Madame Clicquot, che inventò pupitre e remuage, amò un cosacco e divenne famosa da vedova, http://ilmoncalvini.blogspot.it/2014/10/vita-effervescente-di-madame-clicquot.html). Il nuovo network non poteva che fare riferimento alla cuvée de prestige di Veuve Clicquot, La Grande Dame e infatti si chiama Atelier des Grandes Dames. Le pioniere entrate a farne parte sono quattro. Eccole, con il relativo racconto della guida Michelin.
Aurora Mazzucchelli del ristorante Marconi di Sasso Marconi (Bologna, www.ristorantemarconi.it): “Ottime materie prime, selezionate con cura, nonché una capacità di programmare e pensare che va oltre il piatto: un menu per abbracciare terra e mare, in maniera creativa e mai scontata”.
Isa Mazzocchi del ristorante La Palta di Borgonovo Val Tidone (Piacenza, www.lapalta.it): “In una sperduta frazione nella campagna piacentina, per una volta la retorica della finta trattoria cede il passo a un locale moderno, dove la cucina aspira a preparazioni creative - ben presentate - con qualche richiamo alla tradizione locale: in particolare, i salumi rigorosamente stagionati in casa”.
Fabrizia Meroi del ristorante Laite di Sappada (Belluno, www.ristorantelaite.com): “Tra fienili e case d'epoca, si mangia in due romantiche, secolari stube. Una coppia al timone: Roberto in sala, competente ed ospitale, molto bravo nella gestione dei vini (anche al bicchiere), Fabrizia in cucina ad esaltare i prodotti e le ricette locali. Si punta ai sapori, più che ai virtuosismi tecnici”.
Sol Levante di Marianna Vitale
Marianna Vitale del SUD Ristorante di Quarto (Napoli, www.sudristorante.it): “Superato un contesto ambientale non brillante, apprezzerete ancor di più gli sforzi di una delle cucine più interessanti del napoletano. Il nome del ristorante è un lapidario, ma eloquente, manifesto gastronomico che vi conduce attraverso appetiti meridionali”.
Network di talenti femminili, l’Atelier des Grandes Dames vuole essere il punto di riferimento per donne imprenditrici dell’enoristorazione, in uno spirito di collaborazione fra il singolo e il team. E per festeggiarlo, durante una serata a Palazzo Clerici di Milano, sono stati presentati nuovi piatti delle 4 chef, abbinati agli Champagne Brut e Rosé La Grande Dame 2006.
La Grande Dame Brut 2006. Polvere di stelle, ovvero un baccalà con le sue trippe su vellutata di mais e curcuma, con caviale e nespole, di Isa Mazzocchi. Sol Levante, tagliolini ai tre pomodori, pesce azzurro marinato, polvere di olive e capperi in japan-style, di Marianna Vitale.
La Grand Dame Rosé 2006. Dolce e salato su Saturno, guancette di maialino, tartufo, spugnole, di Aurora Mazzucchelli. Black Star, cervo marinato e leggermente affumicato, saurnschotte (formaggio al dragoncello), caviale, carbone e spuma di pane nero, di Fabrizia Meroi.

E gli Champagne, come sono? Ecco l’analisi e le considerazioni di uno che se ne intende, Dominique Demarville, attuale e 10° chef de cave di Veuve Clicquot dal 1792.
La Grande Dame Brut 2006
53% Pinot Noir, 47% Chardonnay
Il colore è intenso, con bagliori dorati. Il perlage molto fine ed esuberante. Lo Champagne rivela al naso un sottofondo salino e minerale, seguito da aromi floreali (acacia, peonia), note di frutta fresca (pesca, pera) e, infine, note più abbrustolite di nocciola e mandorle tostate. Agitando il
bicchiere, il bouquet diventa ricco e voluttuoso, con sentori di brioche, torrone, zenzero e conserva di limoni. Al palato, il vino è rotondo e corposo, con una struttura fresca e setosa. La mineralità del gesso risuona con vivacità nella struttura carnosa e contribuisce a creare un lungo finale. La nota finale è fresca e generosa; suggerisce un dosaggio discreto, seguito da un lungo periodo di invecchiamento dopo la sboccatura, che non disturba l’equilibrio naturale del vino.

La Grande Dame rosé 2006
60% Pinot Noir, 40% Chardonnay
Aggiunta del 15% di vino rosso prodotto dall’uva Pinot Noir del Clos Colin, uno dei nostri migliori vigneti, situato nel cuore del Grand Cru di Bouzy. Il colore è intenso, con riflessi ramati. Il perlage molto fine ed esuberante. Lo Champagne rivela al naso un sottofondo salino e minerale, seguito da note di frutti rossi (ciliegie marasche, fragole di bosco, ribes rosso) e ancora aromi tostati di nocciole, fave di cacao e spezie dolci. Agitando il bicchiere, queste caratteristiche empireumatiche si accentuano, mentre la complessità aromatica dei grandi Pinot Noir è sempre presente. Al palato, il vino è rotondo e corposo, con una struttura fresca e setosa. I tannini sono ancora presenti e invitano all’abbinamento con piatti ricchi di consistenza, per farlo risaltare al meglio. Il finale è lungo e avvolge il palato. I tannini sono già molto ben integrati e prevediamo che si amalgameranno ancora di più negli anni a venire.

Chapeau Grande Dame…o meglio Prosit.

sabato 2 aprile 2016

Il 10 Vinitaly compie 50 anni. L'inaugura Mattarella, forse ricordando Saragat...



L’alzaBarbera alla 50ma edizione del Vinitaly lo farà nientepopodimeno che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La inaugurerà domenica 10 a Veronafiere. La manifestazione enoica più importante d’Italia e forse d’Europa andrà avanti fino a mercoledì 13. Pare che Mattarella ami bere moderatamente, per esempio lo spumante classico Trento Doc Ferrari (o almeno è ripreso in una foto mentre brinda, nel 2015, con una flute di bollicine insieme ai presidenti di Camera e Senato).
Alzabarbera era il nomigliolo malevolo con cui si criticava il presidente Saragat negli anni Sessanta del secolo scorso, perché si diceva alzasse un po’ troppo il gomito.
Mattarella brinda con Boldrini e Grasso
Lunedì 11 verrà anche Renzi e, insomma, la pompa magna è garantita. Il presidente di Veronafiere Maurizio Danese e il direttore generale Giovanni Mantovani hanno annunciato numeri da record: 4100 espositori, 100mila metri quadrati di area espositiva, forte presenza estera, grazie anche all’investimento di 8 milioni di euro per incentivarla.  55mila gli operatori stranieri da oltre 140 nazioni e 1000 buyer selezionati in più. Il Vinitaly del 50° sarà sempre più dedicato agli operatori professionali, ma i wine lover avranno i loro spazi dedicati (dall’8 all’11 aprile) nel centro storico di Verona, con un ricco programma di eventi e degustazioni. In contemporanea a Vinitaly, sempre in Fiera, si svolgono anche Sol&Agrifood (www.solagrifood.com ) ed Enolitech. In un programma fittissimo, da segnalare le tre grandi degustazioni dell’Associazione delle Donne del Vino (etichette dal 1967 a oggi, di dieci aziende); dell’Ais, I 50 anni di Vinitaly in 5 vini e, la terza, sui vini-icona di Francia e Italia. Fra le altre, quella del Gambero Rosso (i Tre Bicchieri 2016); della Sicilia (vini dell’Etna); di Doctor Wine by Cernilli; Young to Young, dedicato ai giovani blogger e ancora altri tasting di Ais, Fisar e Onav. (www.vinitaly.com/it/eventi/calendario/ , applicare il filtro Degustazioni).
Biglietti: 1 giorno 80 € (75 € online); 4 giorni 120 € (115 € on line). www.vinitaly.com.

La Lombardia
La maggiore regione del Nord Italia si presenta al Vinitaly forte di alcuni numeri che significano qualità: + 11,7% di produzione di vini Docg, +9% di vini Doc. Il padiglione sarà come di consueto ospitato al secondo piano del PalaExpo, presenti 200 aziende e oltre mille etichette in degustazione. Se nell’ambito delle bottiglie di qualità si considerano anche quelle Igt (ad Indicazione geografica tipica, o Igp, protetta) la quota della qualità sfiora il 90% (la media italiana è del 75%). Interessante il ruolo dei giovani: un’impresa vinicola su sette è guidata da loro. Fra essi, Diletta Cavalleri, produttrice di
Claudia Crippa, La Costa
Franciacorta, Claudia Crippa de La Costa (Igt Terre Lariane) e Cristina Cerri di Travaglino (Oltrepò pavese) rappresentano alcune eccellenze, portate ad esempio dall’assessore regionale all’Agricoltura. A Vinitaly il Padiglione Lombardia avrà a disposizione una nuova sala degustazione di oltre 30 posti riservata agli ospiti stranieri. Esponenti politici e consorzi lombardi, tutti concordi, una volta tanto, nel puntare alla qualità e all’espansione del mercato estero, con le 5 Docg, le 22 Doc e le 15 Igt regionali.

I dati del vino italiano
310mila aziende, 1milione e 250mila addetti
47milioni gli hl di vino prodotti nel 2015 (+12% sul 2014),
 637.634 gli ettari vitati di cui 334mila (52%) a vini Docg e Doc, 156mila (24%) a Igt, il resto vini da tavola
73 le Docg, 332 le Doc e 118 le Igt

3,9 miliardi di euro il valore totale della produzione all’origine (anno 2014), di cui 1,9 mld di euro per i vini Docg e Doc, 0,8 mld per Igt e 1,2 mld per vini da tavola)

12,4 miliardi di euro il fatturato complessivo delle aziende vinicole (anno 2014), pari al 9,4% del fatturato dell’industria agroalimentare e al 7,2% del fatturato agricolo

20,1 milioni di hl di vini esportati nel 2015 (-1,8% rispetto al 2014)

5,4 miliardi di euro  il valore dell’export nel 2015 (+5,4%): nuovo record