mercoledì 19 dicembre 2018

Caviale & Spumàn...lalala lalà. Tutto di casa nostra. Italia, Lombardia, Brescia. Ci pensano Agroittica (Calvisano) e Le Marchesine (Franciacorta)


Caviar & Champagne è una vecchia canzone di Peter Van Wood, pure plagiata dal gruppo dei Coldplay, cui lo stesso Van Wood fece (o minacciò di fare) causa per un milione di euro, nel 2009.
Per fortuna, non c’è pericolo di plagio se noi in Italia “imitiamo” moscoviti e parigini proponendo, al posto di Champagne e caviale russo, spumante classico e caviale italiano. Anzi. Sono loro che corrono qualche rischio. Che le “imitazioni” siano meglio degli originali. Certo meglio di quella tradizione ormai un po’ decrepita che vedeva abbinare vodka con le golose uova di storione del Mar Caspio.
Oggigiorno, ce la possiamo cavare da soli. E ottimamente. Lo deve aver pensato anche Loris Biatta (foto sotto), vulcanico patron de Le Marchesine, azienda agricolo-vinicola tutta dedita alla produzione di 
Franciacorta Docg in ben 9 espressioni diverse.  
Ed ecco unite insieme per una prova d’assaggio due fra le aziende del Wine&Food più prestigiose del panorama lombardo e italiano.  Già, perché se le bollicine pluripremiate sono di Passirano, Brescia, le palline di caviale vengono da Calvisano, sempre Brescia: non più di 44 km di distanza. 
Cenni di cronaca sui protagonisti. Le Marchesine è stata fondata dalla famiglia Biatta nel 1985. Il titolare è Loris Biatta (figlio di Giovanni, l’iniziatore), coadiuvato da tutta la famiglia e da un enologo francese, Jean-Pierre Valade, che opera anche in Champagne. Biatta si occupa di tutto, dalla vigna alla cantina, dal marketing all’esportazione e i figli Alice e Andrea sono ormai sulle sue orme. Le vigne sono allevate col metodo Guyot e Sylvot, con diverse densità di ceppi per ettaro. In generale si avverte la mano felice di uno “sciampagnista” in cantina, pur in guanto franciacortino. 450mila bottiglie la produzione annua, tra brut ed extra brut, dosage zero e rosé, satèn e blanc de noirs, Secolo Novo e Secolo Novo brut nature, due super riserve.
L’Agroittica Lombarda nasce nel 1977 a Calvisano dall’idea di Giovanni Tolettini e Gino Ravagnan di utilizzare, attraverso uno scambiatore termico, il calore eccedente della produzione di una fabbrica di acciaio per scaldare le affioranti acque di falda e realizzare così un impianto di acquacoltura. In breve tempo ci si converte dall’allevamento dell’anguilla a quello dello storione di varie specie, in particolare di quello bianco. Dagli anni Novanta si avviano le prime produzioni di caviale (appunto dalle uova degli storioni), in maniera ecologica e artigianale. Le restrizioni della fine degli anni Novanta alla pesca del grande pesce, si rivela una fortuna per l’azienda di Calvisano, che con i suoi allevamenti è in grado di sopperire alla grande, in termini quantitativi ma anche qualitativi, alla decrescita della pescato. Nel 2007 nasce Storione Ticino, grazie all’accordo con la famiglia Giovannini che per prima ha ottenuto la riproduzione dello storione codice (Acipenser naccarii,) specie tipica
dell’Adriatico, e con la famiglia Mandelli, allevatori storici del Parco del Ticino. E nel 2015 inizia la produzione del prestigioso Beluga. Oggi Agroittica produce, utilizzando 60 ettari di vasche per l’allevamento del pesce, 28 tonnellate di caviale all’anno, suddivise in tre marchi: Calvisius CaviarCavalier Caviar Club Ars Italica Caviar.
Particolarmente interessante quest’ultimo brand, la cui materia prima proviene dal Parco del Ticino: si tratta di tre tipologie di storione: russo, stellato e adriatico.
Ed ecco i matrimoni d’amore
Caviale Tradition Prestige Calvisius Ars Italica con Secolo Novo. Le uova sono quelle dello storione bianco, specie originaria del Pacifico americano, di grandi dimensioni (da 2,9 a 3,4 millimetri), colore dal grigio al nero. Occorre attendere circa 11 anni prima che le uova siano pronte per essere estratte e lavorate.  Caviale delicato, ma che conserva graditi sentori marini, sfumature di frutta secca (nocciola, in particolare) e persino un ricordo di cioccolato bianco. Due le scelte di abbinamento col Secolo Novo, il top delle bollicine delle Marchesine. Col Secolo Novo brut 2011, tutto Chardonnay di un vigneto-cru, il colle La Santissima, di Gussago, dal perlage fine e ininterrotto, complesso, con ricordi di arachidi tostate che ben s’incontrano con alcuni sentori del caviale, sapore rotondo, elegante e sapido. O con il più secco, ma imponente Secolo Novo Giovanni Biatta brut nature Riserva 2009, complesso, fine, di sapore asciutto ma di bel nerbo, con un bouquet complesso, dal pompelmo alla lavanda, al cardamomo. 
Con questi due Franciacorta e col caviale Tradition Prestige siamo ai vertici degli abbinamenti…natalizi. Ma si può festeggiare ugualmente con gusto, sposando con altri Franciacorta del salmone affumicato. Come il norvegese Fjord, salato a secco (ma non troppo, per fortuna) e affumicato con levità grazie al legno di faggio. Qui gli abbinamenti più interessanti ruotano intorno a due vini delle Marchesine, anch’essi a base di Chardonnay. Quello più easy e gratificante nella sua linearità sembra essere col Satèn 2014 (la tipologia di Franciacorta che, pur rientrando nella categoria dei brut, dona una sensazione di particolare morbidezza gustativa, per via della minor frizzantezza e della cremosità delle bollicine): perlage fine e cremoso (appunto), sentori floreali (ginestra, pesco) e poi di nocciola e orzo perlato; sapore fresco e di particolare morbidezza.  Per un abbinamento più deciso si può puntare invece sul Blanc de Blancs brut 2010, dal bel colore paglierino carico tendente al dorato, bollicine fini e persistenti, aromi floreali e fruttati e persino di caramella mou, sapido in bocca, con bel finale balsamico ed elegante. 
Buon Natale e Buon Anno. Saremo tutti più buoni? “Loro” lo sono già…

INFO. Qualche prezzo orientativo. Caviale Calvisius Ars Italica: Tradition Prestige sui 60-70 € la papalina da 30 gr. ; 77 € il Royal; 129 l’Elite. Agroittica Lombarda, Via Kennedy, Calvisano (Brescia),  www.agroittica.it, www.calvisius.it.  Fjord, via Cassano Magnago 120, Busto Arsizio (Varese), www.fjor.eu.
Franciacorta Secolo Novo brut 2011, 40 €; Franciacorta Secolo Novo Giovanni Biatta brut nature 2009, 45/50 €. Franciacorta Satèn 2014, 22 €; Franciacorta Blanc de blancs 2010, 28 €. 
Le Marchesine, via Vallosa 31, Passirano (Brescia), www.lemarchesine.com.

venerdì 14 dicembre 2018

Asti secco e Acqui Rosé: due nuovi spumanti brut anticrisi. E attorno ai neonati, solide realtà: Barbera d'Asti e Nizza, Moscato e Brachetto. Fra le colline Patrimonio dell'umanità

Langa Astigiana e Monferrato fanno parte delle Colline dell'Unesco, assieme alle Langhe albesi e al Roero

Chi descrive ancor oggi il mondo del vino piemontese come un po’ chiuso in se stesso, poco dedito all’innovazione (a parte qualche barrique qua e là) e appoggiato su vecchi allori, si dovrà ricredere. Prendiamo la zona dell’Astigiano (e Alessandrino), la più importante, insieme a quella di Alba. In un paio d’anni, i vignaioli, le cantine e i loro consorzi hanno tirato fuori dal cilindro, anzi dalla botte, tre tipologie nuove di vino. Con l’annata 2016 ha fatto la sua comparsa il Nizza Docg (che in verità già esisteva come sottozona della denominazione Barbera d’Asti). Nel 2017 è stata la volta dell’Asti spumante secco, che si affianca alle tipologie tradizionali dell’Asti dolce e del Moscato d’Asti (fermo, o meglio appena fremente quando lo si versa). Con la vendemmia 2018 anche quelli del Brachetto d’Acqui hanno tirato fuori un nuovo vino, che affianca i Brachetto dolci delle versioni spumante, fermo e passito. Non hanno osato, forse per timore di confondere le acque, chiamarlo Brachetto secco; hanno preferito farne uno spumante rosé, denominandolo Acqui Rosé brut, pur sempre Docg. Ma la base è quella, l’uva Brachetto. Una serie di degustazioni in loco, tra fine novembre e i primi di dicembre ha messo in luce i risultati e le potenzialità dei nuovi Moscati secchi, Acqui brut, ma anche delle vecchie, care Barbera d’Asti, nelle due tipologie, normale e superiore.

ASTI È una Docg basata interamente sull’uva Moscato bianco, coltivata in una zona che si estende su 52 comuni, anche delle confinanti provincie di Alessandria e Cuneo (10mila ettari di vigneto),   ma divisa in tre denominazioni. La prima è quella dell’Asti tout court, spumante dolce tipico delle feste e frizzante compagno dei classici panettone, pandoro e di un’altra infinità di dolci non troppo concentrati o caratterizzati da liquori. Si produce per lo più col metodo Martinotti (o Charmat) cioè nelle grandi autoclavi, dove prende la spuma nel corso della (breve) seconda fermentazione. Qualche produttore ha voluto riprendere l’antico Asti spumante metodo champenois, inventato da Carlo Gancia nell’800, facendo appunto un Asti dolce col metodo classico della lunga rifermentazione in bottiglia: fra i pochi, Gancia, col suo 24 mesi Cascina Fonda, col suo Driveri (5 anni sui lieviti). Fra i tantissimi Asti sul mercato, eccone alcuni che mi sembrano d’eccellenza (indicati i soli produttori, se il vino non ha un suo nome specifico): La Selvatica, dell’Azienda Caudrina (foto a sinistra), Vignaioli di S. StefanoGiulio Cocchi SpumantiRoberto Sarotto.
C’è poi il Moscato d’Asti, medesime uve non spumantizzate, un delizioso vino dolce di bassa gradazione, con una punta di pétillant appena versato nel bicchiere. Fra i produttori migliori segnalerei Bera (Su Reimond)Braida (Vigna senza nome)Cascina CastlètCoppo (Moncalvina)Gianni Doglia (Casa di Bianca)Anna Ghione (Piccole gioie)Scarpa (Taccododici, foto a destra)Olim Bauda (Centive).

Ultimo ma non ultimo, il nuovo Asti secco, spumante non così semplice da produrre perché il vino da uve Moscato, portato a completa fermentazione - eliminando quindi gli zuccheri naturali - tende a lasciare un retrogusto amaro, che si è riusciti ad annullare con una tecnica messa a punto dal laboratorio del Consorzio di tutela. È inutile comunque girarci intorno, l’Asti secco (già tacciato di concorrenza sleale dai consorzi del Prosecco per via dell’assonanza) è la risposta a una crisi dell’Asti spumante dolce in termini di vendite (che sembra essersi arrestata dall’anno scorso), che ha lasciato masse di uve inutilizzate. Però è anche un’opportunità: ovviamente per i produttori, ma anche per i consumatori, che possono provare
qualcosa di nuovo e inedito nel campo delle bollicine: pur essendo di sapore asciutto, questo Asti ha intensi sentori floreali ed erbacei (dalla lavanda alla salvia) e fruttati (dalla mela alla banana) con un inconfondibile richiamo all’uva, che ne rendono la beva molto piacevole sia all’aperitivo sia con piatti non complessi, dai formaggi freschi ai salumi, dai pesci non troppo salsati alle carni bianche. Per ora la produzione è molto limitata, si parla di qualche centinaio di migliaia di bottiglie, contro i 55milioni dell’Asti e i 33milioni del Moscato, ma ci sono tutte le potenzialità per una buona affermazione sul mercato. Fra gli Asti secchi assaggiati, ecco alcuni dei migliori prodotti(indicati i soli produttori, se il vino non ha un suo nome specifico): Acquesi (foto a sinistra), Bastieri, Umberto di Cascina Fonda, DuchessaLia delle Cantine Capetta, Up di Fontanafredda.

BRACHETTO D’ACQUI Vino rosso dolce Docg, prodotto nelle tipologie spumante e fermo (tappo raso), ma anche, in misura molto minore, frizzante e passito (appassimento in pianta). Si può dire che appartenga alla stessa famiglia anche il nuovissimo spumante rosato, che si avvale però di un’altra denominazione, quella dell’Acqui Docg Rosé.
Vini con l’uva Brachetto se ne fanno da sempre: in un tempo neanche troppo lontano era un rosso fermo, più o meno secco, in qualche modo simile a certe tipologie di Sherry o di Porto. Negli anni Cinquanta Arturo Bersano decise di spumantizzarlo, sfruttandone le doti aromatiche e facendone un vino dolce. Da allora, un successo crescente, anche se il territorio non è enorme, 1200 ettari di vigneto su 26 comuni fra Alessandria (la provincia di Acqui) e Asti; rese per ettaro basse (in teoria 80 q.li, ma si arriva anche a 40), produzione annua di circa 4,5 milioni di bottiglie. 

Rosso rubino luminoso, il Brachetto dolce al naso ha bouquet floreale (rosa) e fruttato (fragole), ha un perlage fine e persistente nella versione spumante (metodo Martinotti). Anche la versione ferma ha caratteristiche organolettiche analoghe, mentre quella passita aggiunge sentori di frutta cotta, confettura di ciliegie, note di mandorla. Abbinamenti: dolci in genere. In particolare: torta di fragole, pesca Melba con gelato alla crema e salsa di lamponi, bavarese alle fragole, bunet.
Produttori d’eccellenza (indicati i soli produttori, se il vino non ha un suo nome specifico): Araldica, Braida, Pian delle Canne di Alice Bel Colle (foto a fianco), Susbel di Dario Ivaldi, Passrì Pineto (passito) di Marenco

Acqui Spumante Rosé brut. Per la verità il disciplinare contempla anche versioni non secche, come il dry, ma è chiaro che si punta sul brut (o l’extradry) per il nuovissimo spumante da uve Brachetto 100%, primo rosato in Italia a essere riconosciuto con la Docg. Prima anche l’annata, il 2018, che vede una produzione di queste bollicine col metodo Martinotti (in autoclave, dopo poche ore di contatto delle bucce col mosto per estrarre il colore) in un numero di bottiglie ancora ridotto (circa 50mila) rispetto alle ambizioni. Che sono di proporre un piacevole spumante da aperitivo, da bere al bar come al ristorante, in accompagnamento a cibi saporosi e non troppo strutturati, per un consumo il più possibile easy e giovane.
Il colore è un rosa delicato, simile ai rosé provenzali; il sapore è secco, ma anche setoso, di una certa eleganza, floreale (rosa, violetta), con un lontano richiamo all’uva, a volte con sentori di lampone. Qualche abbinamento particolare: frutti di mare, salmone affumicato, pesce fritto, trancio di tonno al sesamo.
Ed ecco i produttori preferiti, fra i non molti che ho potuto provare: Acquesi, Bersano, Tre Secoli.

BARBERA D’ASTI L’hanno chiamata Barbera Revolution, il che, per una degustazione guidata alla presenza di un centinaio di giornalisti in maggioranza stranieri, era un clam invitante ma forse eccessivo. E infatti, nel corso della masterclass del 1° dicembre al Foto Boario di Nizza Monferrato, Filippo Mobrici, presidente del Consorzio di tutela Barbera d’Asti e vini del Monferrato, si è affrettato a precisare che si è trattata di un’evoluzione nel tempo, quella della Barbera d’Asti, partita nel 1970 e approdata…all’oggi. Il che è senz’altro più giusto. Vediamola brevemente. La Doc nel 1970, la Docg nel 2008 per le tipologie Asti e Superiore e la sottozona Nizza, poi divenuta autonoma Docg nel 2016. Sono date che segnano un’evoluzione qualitativa, con rese più basse del vino per ettaro, invecchiamenti più mirati e qualificati, studi puntuali sul vitigno, per centrare sempre più la collocazione sul mercato di un vino che viene da lontano, ma che doveva evolversi in versatilità, piacevolezza, precisione d’identità.
Ancora qualche dato (arrotondato). La superficie vitata della Barbera d’Asti è di oltre 4100 ha., su 169 comuni delle provincie di Asti e Alessandria. 21 milioni di bottiglie prodotte nel 2017 (con un incremento particolare della tipologia Superiore, + 16%, e del Nizza Docg, + 17%, pari a circa 370mila bottiglie. Da segnalare l'importante alloro conseguito da Michele Chiarlo con l'aggiudicazione del 1° posto nella lista dei Top 100 del mondo 2018, da parte di Wine Enthusiast al vino Cipressi Nizza Docg 2015). 
La differenza tra Barbera d’Asti normale e Superiore è semplice, ma importante per il risultato finale: la prima può essere venduta a partire dal 1° marzo dell’anno successivo alla vendemmia, la seconda, dal 1° gennaio del secondo anno successivo alla vendemmia e deve aver fatto almeno sei mesi in botti di rovere. Poi vi sono dati più tecnici, che riguardano l’alcol minimo (12° e 12,5°, rispettivamente) e l’estratto non riduttore minimo, 24 g/l per la prima, 25 g/l per la Superiore. Ambedue le tipologie possono utilizzare fino al 10% di altri vitigni rossi (mentre il Nizza è basato al 100% sul Barbera).
Qualche cenno sulle sensazioni sensoriali. La Barbera d’Asti ha colore rosso rubino, tendente al granato con l’invecchiamento; profumi intensamente vinosi, che si arricchiscono di note speziate nella versione Superiore, grazie al passaggio nel legno; sapore asciutto ma generoso, spesso rotondo, che acquisisce note più complesse e vellutate con l’invecchiamento, unite a un maggior vigore.
Il tasting del 1° dicembre ha riguardato 19 vini (tutti 100% Barbera), suddivisi in 4 serie di assaggi: 7 Barbera d’Asti Docg 2016 e 12 Barbera d’Asti Docg Superiore, sempre dell’annata 2016.
Tra le prime 7 (Ricossa; Garone Evasio; Viticoltori Associati di Vinchio & Vaglio Serra; La Solista, di Caudrina; Anno Domini, di Terre Astesane; Le Orme, di Michele Chiarlo; Camp du Rouss, di Coppo) le preferenze sono andate a La Solista di Caudrina (vinificato con macerazione a freddo di 24/36 ore, poi malolattica, affinata 4 mesi in bottiglia. 6mila bottiglie): intensamente fruttata (marasca, prugna), bella struttura, morbida, equilibrata ma anche vigorosa. E al Camp du Rouss di 
Coppo, una Barbera che forse poteva essere annoverata fra le Superiori, visto i 12 mesi trascorsi in barrique di rovere francese (70mila bottiglie). Molto strutturata e complessa nei profumi e al palato, ma di grande morbidezza e personalità.
Le altre 12 Barbera d’Asti, 2016, ma della tipologia Superiore: 175 Vendemmie, di Family Winery Berta Paolo; Cremosina, di Bersano; Rive Il Cascinone, di Araldica Castelvero; Alfiera, di Marchesi Alfieri; Ciresa, di Marenco; Epico, di Pico Maccario; RossoMora, di Tenuta Bricco San Giorgio; Le Rocchette, di Olim Bauda; Sichel, di Franco Roero; Bricco Paradiso, di Tenuta Il Falchetto; Genio, di Gianni Doglia; e Passum, di Cascina Castlèt.
Ecco i preferiti. Rive Tenuta Il Cascinone di Araldica Castelvero. Vinificata in acciaio, malolattica compresa, è stata affinata per un anno e più in tini di legno per 3/4  e per il resto in barrique, per poi restare 6 mesi in bottiglia. Prodotte 45mila bottiglie. Vino molto fresco, fruttato, che unisce ai consueti sentori di amarena e prugna, anche alcune note tostate e persino cioccolatose; in bocca, ricco, ancora fruttato ma con sfumature speziate, tannino fine ed equilibrata acidità.
Le Rocchette di Tenuta Olim Bauda. Vinificato in acciaio, fa 18 mesi in botti grandi e 6 mesi in bottiglia. Prodotto in 25mila bottiglie. Al profumo di prugna si aggiunge un lieve speziato e una spruzzata di cacao. In bocca: strutturato, potente ma equilibrato e morbido, finale lungo.
Passum di Cascina Castlèt. Dopo la vendemmia le uve in cassettine forate vengono fatte leggermente appassire nel fruttaio, ampio locale aerato. Vinificata con macerazione di 2/3 settimane, quindi maturazione per metà in grandi botti e per l’altra metà in barrique per circa 9 mesi. Affinamento in bottiglia per altri 6 mesi. 30mila bottiglie. Sempre i sentori di prugna al naso, integrati da quelli del ribes; in bocca, generoso, di buona morbidezza, caldo ed elegante, anche sapido. Bella l’etichetta serigrafata e cotta sul vetro, che simboleggia la lettera phi  (fi) greca o anche un mandala, simbolo del cosmo induista.
Tutti vini inconfondibili, nella tipologia Barbera d'Asti, che lasciano un'impronta indelebile nel ricordo organolettico di chi le assaggia, proprio come il nuovo logo del Consorzio: un'impronta digitale a forma di calice.

Info. Consorzio per la tutela dell'Asti, www.astidocg.com. 
Consorzio tutela Brachetto d'Acqui, www.brachettodacqui.com. 
Consorzio Barbera d'Asti e Vini del Monferrato, www.viniastimonferrato.it Associazione Produttori del Nizza, www.ilnizza.net

lunedì 10 dicembre 2018

Tra Pinot nero e Gewürztraminer, vigne di montagna e Riesling renani fanno capolino un Lagrein passito e un maso trentino...Hofstätter si ricorda di essere un Foradori

Il Castello di Rechtenthal, circondato da vigneti di Gewūrztraminer.

Il Pinot nero della Borgogna è da sempre uno dei più grandi e tradizionali vitigni (e vini) del mondo. Non c’è da stupirsi perciò se anche in Italia lo si sia piantato e ripiantato a più riprese nel corso almeno degli ultimi 150 anni, nel tentativo di imitare quelli dei cugini francesi, adattando il vitigno al terroir per ricavarne comunque vini importanti. In Trentino e Oltrepò pavese è utilizzato soprattutto per vinificarlo in bianco come base di spumanti classici; in Val d’Aosta, Toscana, Marche e Umbria se ne ricava un vino fermo di buona, a volte anche ottima qualità. In Alto Adige viene coltivato sin dalla prima metà dell’Ottocento, dando luogo a vini strutturati, dai profumi intensi di bacche rosse e di violetta, e dal sapore asciutto e generoso. Uno dei produttori di punta del Sud Tirolo, che “ci punta” da tempo, è Hofstätter, che di Pinot nero, o Blauburgunder per dirlo alla tedesca,  ne produce ben quattro, uno più interessante dell’altro.
Quello di base si chiama Meczan ed è comunque un vino tipico, le cui uve sono selezionate dai vigneti dell’altopiano di Mazon, in terreni caratterizzati da un conglomerato di argilla, calcare e porfido. L’altopiano si trova di fronte a Termeno, sul versante orientale della vallata. I filari perciò guardano a ovest, verso il sole pomeridiano e serale, con il vento Ora che soffia fino a tardi: un clima perfetto per il Pinot nero. Per mantenere un certo carattere al vino, il 25% delle uve vengono versate senza dirasparle nelle botti di fermentazione, dove la massa rimane con le bucce a contatto diretto del mosto per una decina di giorni. Matura poi alcuni mesi in acciaio. Il vino che ne risulta è di un bel colore rubino vivace, con profumi freschi di ciliegie e piccoli frutti di bosco, equilibrato, fine. Adatto ai primi piatti con sughi di carne e a secondi a base di pollame, altre carni bianche e rosse arrostite. Prezzo annata 2017 (80mila bottiglie circa): sui 12-14 € la bottiglia.
Pinot nero
Riserva Mazon
Si sale di qualità col Pinot nero Riserva Mazon, uve ulteriormente selezionate rispetto a quelle del Meczan, sempre sullo stesso tipo di terreno dell’altopiano Mazon e medesima tipologia di vinificazione, ma con una maturazione di un anno in piccole botti, poi ulteriori 6 mesi in botte grande e un altro anno di affinamento in bottiglia. Il colore col tempo si è approfondito in un granato profondo, mentre rimangono i profumi di piccoli frutti e si aggiunge quello della marasca. Caldo e rotondo in bocca, complesso, si apre mano a mano e diviene morbido, quasi vellutato. Abbinamenti gastronomici quasi ovvi, ma non meno indovinati: formaggi stagionati, selvaggina, carni rosse. Prezzo annata 2015 (30mila bottiglie ca.): 25-28 € la bottiglia
Con il Barthenau Vigna S. Urbano siamo già ai vertici del Pinot nero di Hofstätter e dell’intero Alto Adige. È una delle migliori espressioni del terroir di Mazon, un cru (vigna) della tenuta Barthenau, le cui viti spesso hanno già raggiunto i 65 anni di età. La tecnica di vinificazione, dopo il raccolto in casse piccole, è la stessa dei fratelli minori, mentre la maturazione in legno si compie in due momenti distinti: dapprima 12 mesi in barrique di legno francese, poi l’assemblaggio dei vini delle piccole botti in una sola botte grande per altri 8 mesi. Ancora 8 mesi in bottiglia ed il vino si presenta affinato al punto giusto per il consumo. Colore rosso rubino tendente al granato, bouquet ampio, che ricorda i classici profumi borgognotti: lampone, amarena, vaniglia e spezie fini. In bocca, asciutto, concentrato, giustamente tannico, elegante. Adatto alle carni rosse, selvaggina, formaggi saporiti, fa matrimonio d’amore con cappelle di porcino alla bracePrezzo annata 2015 (15mila bottiglie ca.): 60/70 €.
Ed eccoci sulla punta della piramide “pinonerina” di Hofstätter, un vino che viene prodotto solo in annate  particolari e in un numero limitatissimo di bottiglie: Ludwig Barth von Barthenau Roccolo. Il nome è lungo e merita una spiegazione. Correva lil decennio 1860-70 quando il Cavalier Professor Barth von Barthenau decise di impiantare Pinot nero in una tenuta che portava il suo nome, sull’altopiano di Mazon. Il vigneto si trovava vicino a una postazione di caccia, un roccolo appunto, da dove venivano catturati gli uccelli migratori.
A partire dal 1942 il luogo è coltivato a pergola, ma è solo da sei anni che le uve della Vigna Roccolo vengono vinificate separatamente. Dopo la raccolta manuale, i grappoli vengono diraspati e gli acini vengono selezionati manualmente. Segue una breve macerazione a freddo (per esaltare i profumi) e una lenta fermentazione a temperatura costante per una decina di giorni. Poi la maturazione nel legno: 18 mesi nelle piccole botti di rovere francese, quindi l’assemblaggio in un’unica botte grande per 6 mesi e, dopo l’imbottigliamento, ancora un anno nel vetro.
Pinot nero
Roccolo
Una volta versato nel bicchiere, il Roccolo si presenta rosso granato; al naso si avverte subito una complessità di aromi: prevalgono mirtilli e amarene, poi vaniglia. In bocca: pur elegantemente tannico all’inizio, si fa quindi più vellutato, persistente, lungo, anche se un ulteriore affinamento in bottiglia sarebbe opportuno. Abbinamenti elettivi: petto di piccione con salsa al ribes nero, filetto al formaggio Bergkase. In generale, arrosti, selvaggina e formaggi saporiti. Prezzo annata 2012 (1200 bottiglie e 100 magnum): 190 € circa la bottiglia
Non è tutta qui (se vi par poco) la produzione di Hofstätter, che attualmente si aggira sulle 850mila bottiglie l’anno su tre linee di prodotto. Per rimanere fra i rossi, va almeno segnalato il Lagrein Vigna Steinraffler 2015, che fa 22 mesi di legno grande e piccolo (10mila bottiglie, 20-24 € la bottiglia); e una “pazzia” di Martin Foradori Hofstätter, l’attuale titolare (della quarta generazione di una famiglia di origine trentina per linea paterna): sta sperimentando (ma dovrebbe essere in vendita già dal 2019) un Lagrein 2015 da uve passite al 100% su graticci per 4 mesi, una sorta di Amarone altoatesino che, se sorprende al primo assaggio, si rivela poi in bocca di tale morbidezza e profondità da spiazzare; non sembra proprio un vino piacione, ma indubbiamente un vino molto diverso dalla sua normale tipologia e dalla tradizione sudtirolese. 
E i bianchi dell’Alto Adige? Gerwürztraminer e Sauvignon, Müller Thurgau e Pinot bianco, sono queste le eccellenze della regione, abbastanza conosciute anche nel resto d’Italia. Ai quali Martin Foradori ha aggiunto da qualche anno i Riesling…della Mosella, avendo acquistato in Austria la storica azienda vinicola Weingut Dr. Fischer , con vigneti lungo il fiume Saar. La produzione al momento si aggira sulle 50mila bottiglie, in gran parte di vini secchi, delle quali 8000 vanno negli Stati Uniti. Vini di gran classe, sapidi, unici quelli della Mosella e del Reno. Val la pena di cercare in enoteca il Kupp GG (la sigla indica il grado più alto di secchezza di questi vini) Saarburg Dr. Fischer, elegante e strutturato, di appetitosa mineralità (prezzo: sui 13-16 €. Vedere anche, sempre su Il MoncalVini, l’articolo del 12/7/2018 Riesling Renano, vini a confronto: dalla Mosella al Trentino, dall’Oltrepò pavese alla…Calabria)
Gewürztraminer
Vigna Kolbenhof
Con l’annata 2017 Martin Foradori è tornato a produrre – dopo dieci anni – un Sauvignon. Ha scelto le vigne di un maso d’alta montagna come l’Oberkerschbaum(in italiano: Cereseto Superiore), che si trova a sud di Mazon (all’altezza di Cortina/Roverè della Luna), sui 750/800 m. d’altitudine. Sarà il suo ottavo vino a denominazione Vigna. Affinato per un anno in botti da 500 litri, all’assaggio, in anteprima, rivela una bella verve acido-sapida, sentori fruttati e persino desueti ma non spiacevoli (pipì di gatto), con lievi note affumicate.
La sede di Hofstatter è a Termeno, Tramin in tedesco. Come dubitare che un produttore di lì produca il famoso Gewürztraminer (o Traminer aromatico)? La presenza dell’omonimo vitigno (chiamato anche Savagnin) è documantata sin dal 1145 sul territorio.
Hofstatter ne propone addirittura cinque: lo Joseph  e il Vendemmia Tardiva (acini stramaturi colti a novembre, invecchiato per 12 mesi in piccole botti) della Linea Selezione; e tre della categoria Esposizioni speciali: il Konrad Oberhofer Vigna Pirchschrait; il Vigna Kolbenhof e il Vigna Rechtenthaler Vendemmia Tardiva. Vediamo questi ultimi due.
Il Vigna Kolbenhof è frutto di una selezione nell’omonima Tenuta di Termeno, le cui vigne crescono su un terreno argilloso-calcareo. Le uve vengono pigiate in maniera soffice e il mosto rimane a contatto per qualche ora con le bucce rosate. Dopo la fermentazione, il vino matura 8 mesi sui lieviti, che vengono smossi settimanalmente. Lo distinguono gli aromi fruttati di albicocca mescolati a quelli di mango e passion-fruit; concentrato, sapido ed elegante in bocca, si avverte la rosa e un finale appena abboccato, sostenuto dalla giusta acidità. Da abbinare a fegato grasso, crostacei, cucina speziata orientale. In particolare: cocktail di scampi, riso e gamberi allo zafferano, pasta alla Faruk (con scampi e curry)Prezzo annata 2017 (35mila bottiglie): 23-26 € la bottiglia.
Dulcis in fundo è un adagio che funziona sempre. E i Gewürztraminer dolci si abbinano perfettamente con molti dessert. Così il Rechtenthaler Schlossleiten (adiacente al Kolbenhof, il nome significa Vigna del castello di Rechtenthal) Vendemmia Tardiva deriva da uve che godono di un riscaldamento dall’alto dal sole mattutino e dal basso dell’aria fresca che scenda a valle dal monte Roen: questa combinazione permette di mantenere una buona acidità, mentre gli zuccheri si concentrano prima della vendemmia tardiva. Selezione manuale dei grappoli prima e dei chicchi più maturi poi, mosto a contatto con le bucce per qualche ora, soffice pressatura e fermentazione a temperatura controllata. Maturazione finale per 8 mesi sui lieviti. Al naso i profumi sono netti, quasi opulenti. Pera, albicocca molto matura, miele. In bocca, elegante, aromatico, dolce; cremoso e mielato, ma sapido, non stucchevole. Abbinamenti: formaggi piccanti, dolci con cioccolato, cremoso al mascarpone e cachi vaniglia, apfelschmarren (frittata dolce di mele)Prezzo annata 2015 (1500 bottiglie): 80 € la bottiglia.
Martin Foradori Hofstätter
Ma quali sono i programmi futuri di Martin Foradori? Il patron sostiene che per valorizzare i cru dell’Alto Adige si debba disciplinare la zonazione per legge, ufficializzando il censimento di 77 microzone particolarmente vocate alla viticoltura per esposizione, altitudine e metodo di allevamento, con particolare rilievo per la pergola, che sta sparendo. A livello più aziendale, visto che ormai di terreni coltivabili a vigneto in Alto Adige non ce ne sono più, ha deciso di puntare sul Trentino, sviluppando il Maso Michei ad Ala, in proprietà da un anno (8 ettari, più altri 4,5 in acquisizione), vitati a Pinot nero e Chardonnay come basi spumante classico (ma forse anche per un rosso Pinot), Sauvignon e Müller Thurgau. Un ritorno agli avi, una sintesi fra Trentino e Alto Adige, già insita nel cognome di Martin: Foradori Hofstätter.
Info. Tenuta J. Hofstätter, piazza Municipio 7, Termeno (Bz), tel. 0471.860161, www.hofstatter.com

mercoledì 28 novembre 2018

I Tre Moschettieri dello spumante italiano: Pizziol di Franciacorta, Rebollini d'Oltrepò, Gancia d'Alta Langa. La sfida delle bollicine classiche

La metafora dei Tre Moschettieri è strausata ed abusata. Eppure ha un senso...
Se non altro, ci diverte e ci mette allegria. Come le bollicine di un buon spumante classico
Et voila i Tre Moschettieri. Italiani, ma con un pur lontano DNA francese. Moschettieri del vino, si capisce, anzi dello spumante, di quel metodo classico che gli italiani hanno così ben saputo “copiare” Oltralpe, adattandolo ai diversi climi e terreni del Bel Paese. I tre Moschettieri non temono nessuno, né francesi né italiani e forse neanche sono così amici fra loro. Ma sono grandi. E pur diversamente, eleganti. Athos, Porthos e Aramis vengono da tre zone diverse, ma tutte dedite alla produzione dei migliori spumanti. Ma chi sono in realtà? Paolo Pizziol (Villa) è il nostro Athos, dalla nobile Franciacorta. Gabriele Rebollini, Porthos, rappresenta il sanguigno Oltrepò pavese. E Carlo Gancia (personaggio ottocentesco) è l’Aramis un po’ curiale, tutto astuzia e discrezione, in grado però di lanciare una stoccata fulminante. E da dove poteva provenire, se non dall’Alta Langa? Eccoli, fieri e combattivi, la bottiglia è la loro spada, le bollicine il frutto del lungo lavoro cavalleresco. Santé. Anzi Prosit.

Quarant’anni di Emozione. Anche gli spumanti compiono gli anni. Questo, poi, emozione lo è di nome e la suscita di fatto, appena si porta alle labbra il bicchiere e si assaggia. 
Nel 1978 Alessandro Bianchi aveva 46 anni e il percorso per recuperare dal declino il borgo di Villa, a Monticelli Brusati, in Franciacorta, era già ben avviato e così la cantina, dove maturavano Franciacorta (cioè lo spumante Docg metodo classico) e vini di pregio fermi, legati al territorio. Decise di produrre allora una riserva millesimata a base Chardonnay. Una degustazione verticale tenuta qualche mese fa ha decretato senza dubbi non solo la tenuta nel tempo, ma anche l’emozione vera che può suscitare un Franciacorta vendemmiato, sviluppato in cantina e conservato anche per lunghi anni. Compreso un “antico” 1983, di sorprendente – anche se relativa – freschezza, carico di sentori evoluti, “masticabili”, dal pane tostato alla torta salata, con un finale lungo e in qualche modo ancora fruttato, persino floreale.
Paolo Pizziol - Athos
Passati 40 anni - da tempo Alessandro Bianchi è affiancato nella conduzione dell’azienda vinicola dalla figlia Roberta e dal genero Paolo Pizziol (58 anni, direttore vendite e dunque uomo d'azione, che sa lavorare però di fioretto) – è venuto il momento di festeggiare. Come? Con una straordinaria bottiglia come l’Emozione 40 Anni Riserva Brut 2008. L’aggettivo non è abusato. Straordinaria la è per vari motivi. Intanto per la produzione limitata (2.920 pezzi numerati) e di conseguenza anche il prezzo (alto, ma non stratosferico, sui 130/140 € in enoteca). Poi per l’abbigliamento particolare: etichetta e collarino in tessuto, intreccio di trama e ordito con filo d’oro; infine anche un cofanetto che la contiene, molto particolare, da collezione. 
Infine?! E il contenuto? Certo, la cosa più importante. L’Emozione 40 Anni è un brut che deriva da una cuvée di Chardonnay all’85%, Pinot nero per il 10% e Pinot bianco per il restante 5%. Solo mosto fiore di oltre 20 vini-base, in parte affinati in barrique. L’affinamento sui lieviti è stato di 100 mesi, con sboccatura a fine novembre 2017.
Trattandosi di bollicine, si guarda per prima cosa ad esse: il perlage è molto fine e persistente; il colore, giallo paglierino con bei tocchi dorati; al naso, profumo di agrumi e note di frutta esotica, ma anche di pane grigliato, iodio marino e un po’ di sottobosco; per ultime, note balsamiche e persino di caffè. In bocca, appare cremoso, fresco, ancora agrumato, sapido e con finale appena minerale.
Rossini sbagliato
E qui entra in campo il gioco dell’abbinamento. Piatti “importanti”, verrebbe da dire, intendendo raffinati, non di gusto brutale, non importa poi molto se di pesce o carne (non da caccia, magari).  
Stefano Cerveni, chef stellato delle Due Colombe di Borgonato di Corte Franca (Brescia), ha preparato per una cena di presentazione del 40 Anni dei veramente eccellenti Fagottelli di pasta fresca “Milano-Bagolino”, caratterizzati nell’impasto dallo zafferano e nel ripieno dal formaggio Bagoss, assieme a salvia e limone. Poi…sempre più difficile. Questa volta insieme, Cerveni e Philippe Léveillé (chef del ristorante Miramonti l’altro, bistellato Michelin) hanno concepito una rivisitazione dei famosi tournedos alla Rossini (un pezzo di filetto con salsa demi-glace, foie gras e tartufi neri), chiamata Rossini sbagliato: come base non filetto ma il più umile e gustoso diaframma, con un paté di fegatini impreziosito dal tartufo in cima. Risultato? Matrimonio d’amorosi sensi fra le bollicine del quarantennale e il cibo.
Info.Villa Franciacorta, via Villa 12, Monticelli Brusati (Brescia), tel. 030.652329, www.villafranciacorta.it. La cantina è oggi totalmente biologica. Fra gli altri vini più interessanti, il Cuvette, il Diamant pas dosé, l’Rna 10 anni Riserva extrabrut e il Briolette Rosé demisec tra i Franciacorta; Gradoni e Quercus fra i rossi; lo Chardonnay Pian della Villa fra i bianchi.

Que reste-t-il des nos amours? Que reste-t-il du ’68…Mescolando indebitamente Charles Trenet e la rivoluzione studentesca del secolo scorso e con un’ulteriore capriola arriviamo a chi il 1968 lo festeggia…brindando. Inevitabilmente. Si chiama Gabriele Rebollini (44 anni) è enologo e da tempo titolare dell’omonima azienda agricola, fondata dal nonno Bartolomeo, dal padre Bruno e dallo zio Franco proprio nel 1968. La sede e la cantina sono a Borgoratto Mormorolo, paese di 427 anime nella valle del torrente Ghiaia, tra le colline dell’Oltrepò pavese.
Ma con cosa brinda un produttore di Borgoratto? Ovviamente con le bollicine targate Oltrepò Pavese
Gabriele Rebollini - Porthos

Docg. Ne produce tre tipologie Rebollini. A cominciare dalla Cuvée Brut (70% Pinot nero, 30% Chardonnay), non millesimata (ossia frutto di un sapiente mix di annate diverse). Il colore è paglierino con sfumature dorate, le bollicine fini e continue; all’olfatto si presenta con sentori prevalenti di frutti gialli, come pesche e albicocche. In bocca, si ritrovano i sentori fruttati, grazia ed eleganza, buona sapidità e morbidezza. Da provare con torte salate, salame di Varzi e con il cotechino pavese (aromatizzato con Marsala, semi di anice e vaniglia). Poi il Cruasé (marchio collettivo del Consorzio di tutela che identifica un Metodo classico rosé), 100% Pinot nero, millesimato, dal tenue colore rosa, perlage persistente, profumi che richiamano piccoli frutti rossi di bosco, rosa e poi crosta di pane, lievito. Fresco, fine ma consistente, anche lungo al palato. Si abbina bene con il risotto alla granseola, branzino con bottarga, aragosta in bellavista. E il Brut Nature (con un dosaggio di zucchero bassissimo, non più di 3 grammi). Si tratta di un Pinot nero con 5% di Chardonnay, prodotto solo in annate particolari. Giallo paglierino vivace, ha bollicine fini e persistenti; al naso prevalgono i profumi di ginestra, poi di pain brioché. In bocca è fresco, cremoso, di buona sapidità, con finale lievemente ammandorlato. Ottimo con plateau di ostriche e frutti di mare, fritture di pesce. Ma anche sulla costoletta alla milanese (rigorosamente con l’osso, infarinata, passata nell’uovo, impanata e fritta nel burro fuso). Tutti e tre gli spumanti sono in vendita sui 15 € la bottiglia. 
Brut Nature
50° Anniv.
Per festeggiare il cinquantennale Rebollini ha tirato fuori dal cilindro una bottiglia di Classico Docg – annata 2011– composta da Pinot nero al 95% con un tocco di elegante Chardonnay (5%). Si tratta in pratica di un Brut Nature che si è affinata sui lieviti quasi 7 anni, acquisendo profumi tostati, persino burrosi. Edizione limitata a 1000 bottiglie, in vendita a 30 € l’una.
I vigneti dell’azienda agricola (35 ettari vitati) si trovano naturalmente attorno alla cantina di Borgoratto, ma si estendono anche sui terreni di altri comuni, da Casteggio a Mairano, da Calvignano a Borgo Priolo, con una produzione di circa 100mila bottiglie. Gabriele Rebollini non è solo nella guida dell’azienda. Dalla primavera scorsa, è affiancato dall’enologo 27enne Giulio Zanmarchi, come responsabile della produzione e del controllo qualità in cantina, già allievo di quel Leonardo Valenti (professore di Viticoltura ed enologia alla Facoltà di Agraria di Milano) che collabora da tempo appunto come enologo ed agronomo di grande esperienza.
La vendemmia da Rebollini prevede la raccolta manuale delle uve in vigna (dopo il controllo analitico di grado zuccherino e acidità) e trasporto in cassette, per poi lavorare separatamente le diverse partite. Gli spumanti classici utilizzano lieviti selezionati e rifermentazione controllata in bottiglia, poi riposo sui lieviti per almeno 3 anni.
Oltre ai Classici, la cantina produce anche un Pinot nero spumante vinificato in bianco col metodo Martinotti (o Charmat, che dir si voglia) lungo, che arriva a fare anche 9 mesi di autoclave.
E poi una serie di vini tipici dell’Oltrepò, dai vivaci Pinot nero in bianco e Bonarda, a Riesling e Barbera. Di questi tempi va molto il Novello di Francesco (ovviamente sviluppato con la tecnica della macerazione carbonica), che deve il suo nome al fatto di essere nato nello stesso anno dell’omonimo figlio di Gabriele Rebollini, 11 anni fa. Ma se il diavolo si nasconde nei particolari l’angelo si cela nella nicchia e bisogna saperlo scovare: in questo caso si tratta dell’Yttrio (dal nome di un minerale argenteo, abbastanza prezioso), Passito di Croatina Provincia di Pavia Igp, che dopo una lunga fermentazione riposa per tre mesi nelle piccole botti e si affina per almeno altri sei in bottiglia. È prodotto solo in annate eccezionali, l’ultima in commercio è il 2011. Per le sue eleganti note di cioccolato e tamarindo, supportate da oltre 16° d’alcol, si può abbinare con soddisfazione sia a formaggi stagionati sia a dolci come la crostata ai mirtilli e lamponi e persino al cioccolato puro. Costa 16 € la bottiglia da 0,5 lt e li vale tutti.
Info. Azienda agricola Rebollini, località Sbercia 1/a, Borgoratto Mormorolo (Pavia), tel. 0383.872295, www.rebollini.it. Tutti i vini sono in vendita anche sul sito internet.

Gancia si rilancia. Coi magnifici 7. E se 120 mesi vi sembran pochi, provate voi a fare uno spumante metodo classico, che matura sui lieviti per almeno 10 anni. Non è da tutti. E comunque,
Carlo Gancia - Aramis
questo Alta Langa Riserva Docg brut gode di buona compagnia. Gliela fanno tre fratelli e tre cugini, minori di età ma non di cura e attenzioni. Ci sono gli Alta Langa Riserva: brut 60 mesi, brut 36 mesi e Pas dosé, sempre 36 mesi. Poi, uscendo dalla Docg Alta Langa, a sorpresa, troviamo con 24 mesi di maturazione sui lieviti un Asti Docg, dolce, sempre metodo classico; e, ancora, i due altri Brut 18 mesi, di cui uno Rosé. Insomma ce n’è un po’ per tutti i gusti e le tasche.
Diciamo la verità. L’azienda fondata da Carlo Gancia (e suo fratello Edoardo) nel 1850, che creò nel 1865 dopo un quindicennio di esperimenti il primo metodo champenois (classico) italiano, chiamato allora Moscato-Champagne, in tempi recenti aveva subito un appannamento d’immagine e di qualità. Poi, piano piano, la rinascita, dovuta anche all’ultima acquisizione dell’azienda di Canelli, passata interamente nel 2014 dai Vallarino Gancia alla Russian Standard Corporation di Roustam Tariko (noto ai mercati come il “re della vodka”). Il nuovo patron ha avuto l’intelligenza di non stravolgere l’azienda, la capacità di immettere abbondanti capitali e infine di passare all’azione di marketing, puntando però sulla qualità intrinseca di ogni vino. Così il brand, proprio a partire da quest’anno, ha conosciuto un’operazione di rinnovamento e restyling con il clam Drink Beauty, Bere la bellezza. 
Bisogna sapere che l’azienda produce oltre 28 milioni di bottiglie ogni anno (fra spumanti, vini e aperitivi), selezionando e vinificando 5 milioni di kg di uva, affinando vini bianchi per le cuvée degli spumanti in 250 barrique, con oltre 1 km di gallerie sotterranee che collegano le varie cantine a Canelli (visitabili su appuntamento nella parte storica: tel. 0141.830262/53; franco.ferrero@gancia.it).
Di questi 28 milioni, le bottiglie di spumante metodo classico Alta Langa, al momento, sono solo 60mila! Ma cresceranno, in quantità. Quanto alla qualità, già ci siamo. Ma come si estrinseca in concreto?  Con una cura estrema di tutte le fasi produttive. La vendemmia è svolta a mano, le uve vengono conferite in azienda, in cassette piccole, entro 12 ore, per evitare che si avviino fermentazioni nocive; i viticoltori sono indotti a migliorarne il più possibile la qualità con incentivi e premi. In cantina vengono utilizzate le presse Marmonnier, che in Italia non hanno gran diffusione, mentre in Champagne vengono usate da oltre metà delle maison. Siccome bisogna caricarle a mano, il lavoro è molto più lento e pesante e l’aggravio dei costi notevole. Il vantaggio è quello di ottenere
L'Alta Langa Riserva
10 anni di Gancia
un mosto più limpido e profumato, grazie  alla pressatura statica (solo pressione e non movimentazione e rotazione come succede con le presse pneumatiche). La resa del Marmonnier è però pari solo al 50% rispetto alle più utilizzate rotopresse. Durante ogni vendemmia si effettuano anche 50 pressature per ottenere basi di vino diverse, destinate alle cuvée delle differenti produzioni.
Il dosaggio della liqueur d’expédition è un momento fondamentale del metodo champenois o classico. Al termine della sua più o meno lunga sosta sui lieviti, il vino è ormai diventato spumante e vanno espulse le fecce, cioè i residui dei lieviti stessi, dalla bottiglia. Perciò si fa uscire dal collo la quantità di vino che li contiene e che è stata radunata sulla “punta”, presso il tappo corona: basta stappare e la pressione espelle la giusta quantità precongelata con le fecce. A questo punto la bottiglia va rabboccata. Con che cosa? Con lo stesso vino, se si vuole ottenere uno spumante assolutamente secco, quello che viene definito Nature, o Pas dosé o Dosage zéro. Altrimenti, ed è la maggior parte dei casi, si procede aggiungendo sempre il medesimo vino ma mescolato con una certa quantità di zucchero e persino, soprattutto in Francia, di vecchi Cognac. Queste presenze, attentamente calibrate, determinano la categoria dello spumante, da extrabrut e brut, piuttosto secchi, fino a demisec e sec, quasi o interamente dolci.
Da Gancia, il dosaggio è un po’ un segreto aziendale, ma si sa che è calibrato in modo da non modificare sostanzialmente la qualità intrinseca del vino, così da mantenerne le caratteristiche organolettiche originarie.
Ma Alta Langa cosa significa esattamente? È un marchio collettivo che identifica sia un territorio collinare delle provincie di Cuneo, Alessandria e Asti, alla destra del Tanaro e che include 146 comuni, sia gli spumanti classici Docg prodotti in questa zona solo da uve Pinot nero e Chardonnay. Tutte le bottiglie devono riportare l’anno della vendemmia e quello della sboccatura.
Vediamo meglio quindi le etichette dell’Alta Langa Docg metodo classico di Gancia. Con dolce sorpresa finale.
Riserva Brut 120 mesi. Il fiore all’occhiello della spumantistica Gancia. Ultima annata in commercio (ma quasi esaurita) il 2006: un migliaio di bottiglie, sui 60 € l’una. Perlage molto fine, colore giallo paglierino brillante; bouquet di fiori d’acacia, poi frutta secca e miele. In bocca: secco, ampio, avvolgente, sentori prevalenti di pane grigliato e lieviti. Straordinario. Con antipasti di pesce caldi, tartare di ricciola con capperi e mela verde; risotti, carni bianche salsate.
Riserva Brut 60 mesi 2009. Giallo paglierino con bei riflessi dorati. Al naso, ancora fruttato, con sentori di vaniglia e lieviti. Sapore asciutto, complesso, sapido. Da gustare, per esempio, su salmone agli agrumi e più in generale, con risotti e crostacei. Sui 30 €.
L'Asti spumante classico 24 mesi
Pas dosé 36 mesi 2014. Il più secco della compagnia. Colore paglierino intenso, profumo di fiori bianchi, accenni di miele e lievito. Sapore fresco, sapido, nettamente secco ma di ottimo equilibrio (non v’è traccia di amaritudine). Ottimo aperitivo, da accostare a frutti di mare (ostriche), primi piatti di pasta col pesce (in particolare con i saporiti lupini, in bianco). Sui 25 €.
Brut 36 mesi 2014. Giallo paglierino carico con riflessi verdi; perlage sottile; al naso, frutta matura, lieviti, mandorla, fette biscottate e vaniglia. In bocca, equilibrato, fragrante, ricco. Primi di pastasciutta, involtini di pesce spatola, scaloppine al vino bianco e capperi. Sui 25 €.
Asti Docg 24 mesi. Non è un Alta Langa, ma “solo” un Asti Docg. Ma anziché prendere la spuma in poche settimane di autoclave, l’acquisisce in bottiglia, ove matura secondo il metodo classico per 24 mesi. Nel segno di Carlo Gancia, che realizzò il primo spumante classico italiano rifermentato in bottiglia nel 1865, col vino Moscato. Ma che cosa dona in più il metodo champenois a uno spumante che è pur sempre dolce? Una complessità inusitata e una finezza che allontana i pericoli della stucchevolezza. Il profumo è comunque caratteristico, si distinguono ancora i sentori dell’uva, e se ne avvertono altri, dai fiori d’acacia all’albicocca. Abbinamenti elettivi: crostate di frutta, panettone, crèpes Suzette, Millefoglie. (Sui 25 €).
Info. Gancia, corso Libertà 66, Canelli (Asti), tel. 0141.8301, www.gancia.it

sabato 17 novembre 2018

Lumache a spron battuto: dalla calabrese Scalea alla conquista del Nord Italia. Il segreto? Giovinezza, qualità e buona volontà

Una veduta dell'allevamento di chiocciole dell'Az. Lumache & Derivati di Scalea, in Calabria
Secondo Sergio Lovrinovich, direttore della guida Michelin, l’ingrediente principe nei ristoranti, quest’anno 2018 è stato …la lumaca.  “Le ho assaggiate in diversi ristoranti”, ha dichiarato al sito Scattidigusto, “e mi ha colpito in particolare la Baguette di Philippe Léveillé, di cui ho avuto anche la ricetta, ma che è molto difficile da preparare in casa…” Léveillé è lo chef del ristorante Miramonti l’altro di Concesio (Brescia, 2 stelle) e per la sua Baguette inserisce nell’incavo ottenuto eliminando
La baguette di lumache di Philippe Léveillé
la mollica una marinière di pomodoro calda, mozzarella e a cubetti e lumache precotte in un soffritto di verdurine, sfumate col vino Savagnin del Jura, e rifinite con erba cipollina, prezzemolo e burro. Una volta rinchiuso il prezioso scrigno con la calotta della baguette, la accompagna con altre 4 lumache adagiate su gocce di purè all’acetosella, completando il piatto con una julienne, sempre di acetosella, terra di olive taggiasche e polvere di prezzemolo. Ecco un ottimo esempio di come si possano preparare le lumache sfuggendo alla banalità di ricette, pur buone, della tradizione francese, come quelle “alla bourguignonne”, o le trifolate. 
In Italia, certo, le ricette che vedono protagoniste le chiocciole, sono millanta, molte di più di quelle d’Oltralpe, essendovi una consolidata tradizione in tutte le regioni italiane, dal che deriva una quantità inusitata di piatti. Fra le più note, almeno localmente, le lumache all’uso di Bobbio (della zona appenninica del Piacentino), con pomodori e vino rosso, da servire con la polenta. Quelle fritte alla ligure; le romane “di San Giovanni”(piatto della ricorrenza, il 24 giugno), caratterizzate da mentuccia, acciughe e peperoncino; e la zuppa di maruzze, campana. 
Le lumache ormai si trovano solo di allevamento (quelle selvatiche sono ridotte ai minimi termini e comunque quasi nessuno lo cerca) e una delle zone più note è Cherasco, nel Cuneese, dove ha la sua sede anche l’Istituto internazionale di elicicoltura (www.istitutodielicicoltura.it).
Helix Aspersa Muller e Maxima, lumache di qualità, da cui
si ricava anche un rinomato quanto raro caviale
Bisognerebbe fare però attenzione alla provenienza dei piccoli gosteropodi: infatti il mercato è costituito solo per il 50% da allevamenti italiani, mentre il restante 50% proviene dai paesi del Maghreb e dell’Europa dell’Est.
La produzione nazionale è concentrata nel Centro-nord e stupisce quindi trovare un produttore di gran qualità nell’estremo Sud, in Calabria. Che per di più non si limita a vendere i suoi prodotti nel Meridione, ma tenta la conquista del vasto mercato settentrionale, piantando le sue bandierine già in alcuni locali rinomati di Liguria, Piemonte e Lombardia. Si chiama Lumache & Derivati la società agricola fondata nel 2014 da due trentenni, Francesco Di Deco, laureato in Giurisprudenza e Giuseppe Maisto, con studi economici, figlio di un imprenditore del turismo. E ha la sua sede a Scalea, in provincia di Cosenza, nella parte settentrionale della cosiddetta Riviera dei cedri e a pochi chilometri dal Parco nazionale del Pollino, il più grande d’Italia.
Qui, su 3 ettari di terreno (con un potenziale di altri 10) vengono allevati i gasteropodi delle speci Helix Aspersa Muller ed Helix Aspersa Maxima, da cui si ricava, non senza fatica, il prodotto più pregiato, raro e ancora poco noto che fa capo alla lumaca e cioè il suo caviale. Dalla Muller si ottengono delle perle chiare, piccole, dal sapore delicato, mentre la Maxima dà luogo a uova un po’ più grandi, quasi grigie, dal gusto più intenso. Sono prodotti paragonabili, sia nel sapore che nel prezzo, a quelli dei migliori caviali di storione. Ma si tratta di un prodotto assolutamente di nicchia. Mentre il core business è concentrato sulla carne delle due specie di lumache, che al momento giusto finirà nei locali dalla medio-alta ristorazione: almeno questo è il proposito dei due soci, che per entrare nelle cucine degli chef si fanno consigliare dal giornalista  Marcello Coronini, ideatore e curatore, con Lucia Comuzzi, di Gusto in Scenae de La Cucina del Senza.
Francesco Di Deco e Giuseppe Maisto
Perché il prodotto lumaca di Di Deco e Maisto è considerato così pregiato? Tutto si basa sulla tipologia di lumaca e soprattutto di allevamento. Le chiocciole sono allevate all’aperto sin dalla nascita, ma in serre di rete sottile a copertura dei campi, per favorire al massimo l’ossigenazione. All’interno, l’habitat è del tutto naturale, in modo che gli animaletti crescano e si riproducano senza stress di sorta.  Vengono nutriti con ortaggi rigorosamente biologici, coltivati in azienda, quali biete, insalate e trifoglio nano. Il clima mite della Riviera dei cedri favorisce la fase della riproduzione per quasi tutto il corso dell’anno. Il raccolto viene fatto quando le chiocciole hanno raggiunto un guscio duro e ben formato, che garantisce così contro ogni rottura che possa intervenire durante la spurgatura e la successiva conservazione e segnala altresì la giusta consistenza e il sapore eccellente delle carni.
Prima di essere vendute le lumache subiscono vari processi igienici, dalla spurgatura attraverso casse forate in cui vengono risciacquate con acqua microbiologicamente filtratata, alla debatterizzazione ai
 raggi UV. Confezionate in sacchi a rete e mantenute in celle frigorifere fra i 4° e i 6°, vanno poi in letargo, fino al momento della spedizione ai clienti.
Una recente degustazione di queste lumache a La Cucina dei Frigoriferi milanesi di Marco Tronconi, già chef alla Trattoria del Nuovo Macello, ne ha evidenziato la gustosità priva di viscidezza eccessiva e di quella “gnucchezza”, che talvolta capita di incontrare in piatti fatti con esemplari poco curati nella fase dell’allevamento. Protagoniste nell’antipasto, le Lumache dorate (cioè fritte) con chutney di finocchio, degne comprimarie nella Pasta e ceci con funghi e lumache trifolate e, ancora, nella Lingua di vitello arrostita con purea di patate e sedano rapa e lumache saltate.
...e Lingua di vitello arrostita con purea
di sedano rapa/patate e lumache
I Piatti di Tronconi: Pasta e ceci
con funghi e lumache trifolate...
La conquista di una buona ristorazione, anche stellata, per ora, almeno al nord è ai primi passi, ma pare significativa. Tanto più se si pensa che in Piemonte, dove parecchi chef hanno scelto queste lumache cosentine, ci sono alcuni dei più rilevanti allevamenti nazionali, nella zona di Cherasco (Cuneo). All’Enoteca di Canale d’Alba (1 stella Michelin), Davide Palluda, nella categoria della carta Piatti decisi ed eleganti (tra Antipasti e Primi) propone attualmente un’Insalata di lumache al burro nocciola e prezzemolo (a 25 €), che sta avendo ottimo riscontro fra i clienti. Mentre Al Garamond di Torino (una cucina sicura, che realizza un riuscito connubio di tradizione siciliana e piemontese), lo chef-patron Santino Nicosia, con le lumache calabresi realizza Una “Gricia” tra Nord e Sud (lumache di terra e caviale di riccio), primo piatto che contempla paccheri ripassati leggermente al nero di seppia e gli abituali ingredienti della gricia, il guanciale e un Pecorino particolare come il siciliano Piacentinu, in prima battuta; a pasta condita e impiattata, lo chef aggiunge le lumache cotte separatamente e il caviale di riccio, per un piatto che lui stesso ama definire un po’ “bavoso”, cioè succulento. Apprezza la lumaca calabrese anche Davide Cannavino, chef de La Meridiana di Genova, che ha proposto di recente una rivisitazione della classica ricetta à la bourguignonne e che si ripropone di metterle in carta in primavera: lumache stufate con prezzemolo, cosparse con  una royale di aglio cotto nel latte e a vapore, e poi frullato con un tocco di peperoncino e qualche altro piccolo segreto. Non è un mistero invece da dove arrivano le lumache di qualità utilizzate da questi cuochi di vaglia: dalla piccola Scalea, in una delle regioni più problematiche d’Italia. Eppur qualcosa si muove…
* Info. Società agricola Lumache & Derivati, via del Mulino, Scalea (Cosenza), www.lumacheederivati.com, tel. 0985.920385, cell. 345.2150400.