venerdì 16 ottobre 2015

Il Taccuino dei Farfalloni e i tre giorni di Golosaria

Marco Gatti e Paolo Massobrio
Il duo Papillon colpisce ancora. No, non si tratta di Steve McQueen-Dustin Hoffman, né di Peter 
Sellers, ma dei farfalloni Gatti-Massobrio. Più lepidotteri di loro c’è solo Philippe Daverio e, negli anni 50-60, un certo Gianluigi Marianini, sorta di arbiter elegantiarum televisivo e vincitore del fatidico premio di 5.120.000 lire al Lascia o raddoppia? di Mike Bongiorno…

Philippe Daverio

L’attuale coppia del cravattino è quella formata da Paolo Massobrio e Marco Gatti, infaticabili creatori di eventi, siti, libri gastronomici. Le ultime fatiche dei due ercolini? Golosaria, che si apre domani per la sua X edizione milanese, al MiCo, e il Taccuino dei ristoranti d’Italia 2016. Per questa secondo lavoro, la novità è duplice. L’anno scorso, il Duo aveva dichiarato: “basta carta stampata”, per cui la Guida critica&golosa, il pilastro della loro editoria gastronomica, era stato fatto trasmigrare sul web (Il Golosario.it). Quest’anno siamo al “sì, ma”.  Si tenta l’integrazione fra le due piattaforme, uscendo – ohibò - con una guida di sola carta appunto il Taccuino, un vero e proprio baedeker di ristoranti, che entra così in competizione con le più anziane Michelin, Espresso, Veronelli, Osterie di Slow Food e probabilmente un’altra quindicina che non ricordo.
Gianluigi Marianini
Qui per giudicare non si usano stelle, cappelli o soli, ma “faccini”: da quello normale (un po’ smorto), al contento, al radioso (assomiglia stranamente a quelli veri di Gatti-Massobrio…), fino a giungere alla “corona radiosa”.  In questa guida, che, bisogna ammettere, azzecca, almeno a prima vista, non solo tutti i locali eccellenti, ma anche quelli buoni e poco noti in giro per l’Italia, poche classifiche, finalmente. E varie categorie, alcune un po’ nuove. Ristoranti, certo, ma anche agriturismo (veri, seri), trattorie e trattorie di lusso (confine labile), cantine con ristoro, negozi con ristoro, locali polifunzionali (per esempio, macelleria con ristorante e negozio gourmand), campioni d’accoglienza (vuol dire che non solo si mangia bene, ma che ti accolgono con un surplus di attenzioni e cordialità). Formato tascabile, 19,50 €, quasi un prezzo di lancio.
Per i curiosoni, ecco un accenno alle classifiche. Ristoranti: 1°) La Madia di Licata (Agrigento), 2° (ahi!) Vissani di Baschi (Terni), 3° Osteria La Francescana, di Modena. Trattorie di lusso: La Fefa di Finale Emilia (Modena) e Rosso di sera, di Castelletto sopra Ticino (Novara). Trattorie: Osteria di San Cesario, a S. Cesareo (Roma) e Violetta di Calamandrana (eccellenti, anche a parere di chi scrive). Pizzerie: I tigli, di San Bonifacio (Verona, ottima), Gusto divino a Saluzzo (Cuneo). Fra i 15 campioni d’accoglienza spiccano, a mio parere, Le Petit Restaurant dell’Hotel Bellevue di Cogne (Aosta), Cacciatori di Cartosio (Alessandria), L’Ambasciata di Quistello (Mantova), Pierino Penati di Viganò Brianza (Lecco), St. Hubertus-Hotel Rosa Alpina di San Cassiano in val Badia (Bolzano).
Golosaria. Si svolge al MICO, Milano Congressi – Fieramilanocity (MM5 Lilla, fermata Portello). Da domani, sabato 17 (14.30-22), poi domenica 18 (10-22), per terminare lunedì 19 (10-17). Ingresso: giornaliero 10 €, tre giorni, 21 €. Programma, info e prevendita su: www.golosaria.it. 
Tema: Cucina di strada & Beverage. Street food alternativo, sostengono gli organizzatori: non solo professionisti, ma artigiani storici e nuove tendenze, più una selezione – indovinate? - “originale”, di vini, birre artigianali e soft drinks (amanti dell’hard drinking, astenersi).
Comunque, 80 eventi, 150 espositori, 100 cantine, un’isola (Isola dell’olio), pasticceria, vasocottura e poi, spulciando qua e là, pane carasau nero, dalla Sardegna,  Coca, pardon, Cola italiana da Rivoli,
Gianfranco Lo Cascio
bacche di goji dalla Calabria, birre di sorgo e orzo, o riso, carne di fassona piemontese con valori nutrizionali “vicini a quelli del pesce”, pane lievitato al monococco, e chi più ne ha…
Ultima citazione, buona soprattutto per l’estate e comunque per i gourmet tifosi del plein air: corsi e dimostrazioni di cucina al barbecue alla Terrazza Area Grill Academy, con lo chef Gianfranco Lo Cascio, vero (e simpatico) specialista del BBQ. 

giovedì 1 ottobre 2015

Rosa, rosae, rosae, rosam...declinazione e degustazione di grandi vini rosa(ti): dal sud al nord Italia. E oltre confine



I rosati fanno solo estate? Le foglie cadenti dell’autunno li relegano in cantina? Manco per sogno. Tutto dipende da che rosati sono e che cibo vi si abbina. Il successo degli Champagne e spumanti classici rosé ha trascinato negli ultimi anni anche questi vini fermi fuori dalla nicchia estiva. Certo, la percentuale di produzione è nettamente più bassa di quella di bianchi e rossi, basta guardare le carte dei ristoranti per accorgersene, salvo essere in una zona vocata. Ma quali sono queste zone? La tradizione parla di ottimi vini rosa (così bisognerebbe chiamarli, diciamo vino rosso, non rossastro o rossato, bianco, non biancato) in Trentino Alto Adige (soprattutto il Lagrein Kretzer), in Lombardia-Veneto (Bardolino Chiaretto), Abruzzo (Montepulciano Cerasuolo) e in Puglia (Alezio, Castel del Monte, Salice Salentino). Me se ne trovano di ottimi anche in Toscana o in Calabria (Cirò) e, a sorpresa, un po’ in tutta Italia, persino al Nord: basta individuare il produttore giusto.
Ma come sono fatti i rosati? (Ci adeguiamo alla scrittura e dizione comune, anche perché le Doc parlano di “rosati”). Non certo mescolando vini rossi e bianchi, come in molti ancora credono.
Un metodo, il più moderno, consiste nel ricavare il mosto da uve rosse per mezzo di pigiatrici a pressione soffice, estraendo così subito il colore rosato che ci si prefigge di ottenere. Una fermentazione definita “in bianco”, in assenza delle vinacce.
L’altro, tradizionale, detto “a lacrima”, più arduo, si basa sulla macerazione breve (da 12 a 24 ore mediamente) delle uve diraspate e pigiate, per procedere poi allo svinamento del mosto, che prosegue la sua fermentazione separato da bucce e vinaccioli.  Per fare un rosato di qualità vanno bene tutt’e due le tecniche, purché le uve siano vocate (non banali e ottenute con rese per ettaro abbastanza basse). Il metodo a lacrima, però, permette grazie alla macerazione di estrarre dalle bucce gli antociani in maggior quantità: questi microelementi difendono il vino rosato dall’ossidazione, gli permettono una maturazione maggiore e una vita più lunga. E gli danno un colore più brillante.
Ecco alcuni vini fuoriclasse, diversissimi tra loro, ma ugualmente piacevoli e abbinabili tranquillamente a molti piatti autunnali. Non vini “né carne né pesce”, ma da carne e da pesce, purché non si estremizzi il concetto (molti rosati, sulla lepre in civet non reggono; però qualcuno, bevuto sui 14-16°…).
Dal Sud al Centro, al Nord Italia. E anche un po’ oltre…

Terre Lontane Val di Neto Rosato Igt 2014 – Librandi
Indirizzo: contrada S. Gennaro, Cirò Marina (KR), tel. 0962.31518, www.librandi.it. Prezzo: 6-7 €.
Siamo in Calabria, dove i rosati più noti e migliori (in generale) sono quelli di Cirò. E Librandi, uno dei più noti viticoltori della zona, produce infatti un classico Cirò Rosato Doc, di buona beva, 100% uve gaglioppo. Con il Terre Lontane, Librandi esce dalla Doc perché riduce al 70% il gaglioppo e aggiunge un 30% di cabernet franc; inoltre abbassa le rese per ettaro dell’uva da 90 a 80 q.li. La vinificazione
avviene in tini di acciaio termocondizionati, con salasso e breve macerazione.  La tecnica del salasso consiste nel prelevare una certa quantità di mosto dalla vasca di macerazione nella quale si sta preparando un vino rosso; il mosto prelevato viene vinificata in bianco (senza più il contato con le bucce) e quindi si otterrà un vino rosato.
Terre Lontane si affina alcuni mesi in bottiglia, poi è pronto per il consumo.
Colore: rosa ciliegia. Profumo: ancora ciliegia, lampone, leggere fragola e rosa. Sapore: fresco (lieve astringenza iniziale) e asciutto, di carattere e ottima struttura, si rivela vellutato e quasi setoso.
Abbinamento col cibo: antipasti calabresi, pesce in umido col pomodoro, zuppe di pesce.

Rosato di Aleatico Costa Toscana Igt 2014 – Fattoria delle Ripalte
Indirizzo: loc. Ripalte, Capoliveri, Isola d’Elba (LI), tel. 0535.94211, www.fattoriadelleripalte.it. Prezzo: 13 €.
Con questo rosato, Piermario Meletti Cavallari, già noto vitivinicoltore a Grattamacco, sulla costa toscana e da oltre dieci anni all’Elba, ha compiuto un piccolo capolavoro. Ha utilizzato le uve dell’aleatico (con cui, peraltro, produce un signor passito) per realizzare un rosato diverso dagli altri prodotti sull’isola ma anche differente dal resto degli italiani. La fattoria delle Ripalte è parte di una tenuta turistica, che si è dotata da qualche anno di una grande cantina progettata dall’architetto Tobia Scarpa. Nell’ambito della proprietà, rientra anche il ristorante sul mare Calanova (www.ristorantecalanova.it), altamente raccomandabile per la sua raffinata cucina di pesce e i tavoli
“pied-dans-l’eau”, con gran vista sulla baietta di Calanova e le sue acque.
La resa per ettaro delle uve per il rosato è di 60 hl, a maturazione perfetta i grappoli vengono pigiati e poi pressati sofficemente. Il mosto fermenta a temperatura controllata, sui 15-18°.
Colore: un bel rosa carico, con barlumi dorati. Profumo: deciso, floreale (marasca, rosa canina, viola, come nel passito) e poi fruttato intenso, quasi caramellato. Sapore: morbido, di grande equilibrio, fruttato, richiama il sentore dell’uva appassita.
Abbinamento col cibo: antipasti di pesce crudo (anche coquillage), verdure, nervetti in insalata; risotti ai frutti di mare, ai 4 formaggi, agli asparagi e altre verdure; carni bianche, pollo in fricassea, coniglio alla cacciatora, formaggi non troppo invecchiati o piccanti.

Barlàn, Colline Novaresi Rosato Doc 2014 – Torraccia del Piantavigna
Indirizzo: Soc. Agr. Torraccia del Piantavigna, via Romagnano 20, Ghemme (NO), tel. 0163.840040, www.torracciadelpiantavigna.it.
Ecco un ottimo rosato che parla piemontese, e del nord, per giunta. Sulle Colline novaresi, Alessandro Francoli, forse più noto per la distilleria di famiglia, la Luigi Francoli (elegante e morbida la sua Grappa di Erbaluce),  produce ottime uve nebbiolo per il Ghemme e, sempre con nebbiolo 100%, anche il rosato. Il piantavigna del nome aziendale richiama il nome di un nonno materno, Pierino Piantavigna, che negli anni Cinquanta collocò un nuovo vigneto sulle colline di Ghemme. Mentre la
torraccia è sia il nome di un vigneto di eccellente esposizione alla luce solare sia quello di una torre diroccata del Castello di Cavenago (seicentesco).
Il vigneto dedicato al Barlàn (o re Berlan, una maschera del paese) è in loc. Maretta, sempre a Ghemme, e non produce più di 60 q.li per ettaro di nebbiolo. Nella prima settimana di ottobre l’uva viene spremuta in atmosfera ridotta, poi il mosto fermenta lentamente a freddo (14-15°). Il vino si affina in acciaio e poi in bottiglia per circa 6 mesi.
Colore: rosa antico. Profumo: lampone e fragole di bosco, fragrante. Sapore: secco, fresco e sapido, molto elegante con finale morbido.
Abbinamento col cibo: salamino della duja, risotto alla pescatora, pizza ai funghi, triglie alla livornese (in guazzetto), soufflé di zucchine, trota salmonata al forno.

CON QUELL’OCCHIO DA STRANIERO…

Oeil de perdrix du Valais Aoc 2013 – Provins 

Indirizzo: rue de l’Industrie 22, Sion, Cantone Vallese, Svizzera,  tel. 0041.840.666112, www.provins.ch. Prezzo: 11 franchi svizzeri (11 €). 

L’oeil de perdrix del Vallese, in Svizzera, è il rosato elvetico più tradizionale e d’eccellenza. Il nome è d’origine francese: in Borgogna e in Champagne iniziò ad essere utilizzato a metà Ottocento per indicare vini clarets cioè dei rossi scarichi. E il pinot nero è un’uva che stenta a dare colore. Il Vallese e il cantone di Neuchatel sono specialisti nella produzione di questo rosato che, secondo alcuni, s’ispira alla tonalità che assumerebbe l’occhio della pernice morente. In realtà oggi si tratta di uve pinot nero, vinificate in un rosa più o meno accentuato, ma frequentemente tenue. Come questa bottiglia, acquistata in un supermercato di Losanna e prodotta da una cooperativa fondata nel 1930, la Provins, che ha centri di raccolta delle uve in tutto il Vallese. L’uva viene torchiata sofficemente e macera per circa 6 ore, per estrarre un colore rosa quasi pallido e migliorare l’aroma. Soggiorna alcune settimane in tini acciaio e poi in bottiglia. 

Colore: rosa tenue con sfumature ramate. Profumo: fine, anche complesso, floreale e fruttato. Sapore: fresco, rotondo, fruttato con punta acidula che equilibra la morbidezza. 

Abbinamento col cibo: piatti leggermente speziati (pollo al curry), pollame, carne bianca, cucina cinese all’europea, ma anche salumi e crostacei.