mercoledì 28 novembre 2018

I Tre Moschettieri dello spumante italiano: Pizziol di Franciacorta, Rebollini d'Oltrepò, Gancia d'Alta Langa. La sfida delle bollicine classiche

La metafora dei Tre Moschettieri è strausata ed abusata. Eppure ha un senso...
Se non altro, ci diverte e ci mette allegria. Come le bollicine di un buon spumante classico
Et voila i Tre Moschettieri. Italiani, ma con un pur lontano DNA francese. Moschettieri del vino, si capisce, anzi dello spumante, di quel metodo classico che gli italiani hanno così ben saputo “copiare” Oltralpe, adattandolo ai diversi climi e terreni del Bel Paese. I tre Moschettieri non temono nessuno, né francesi né italiani e forse neanche sono così amici fra loro. Ma sono grandi. E pur diversamente, eleganti. Athos, Porthos e Aramis vengono da tre zone diverse, ma tutte dedite alla produzione dei migliori spumanti. Ma chi sono in realtà? Paolo Pizziol (Villa) è il nostro Athos, dalla nobile Franciacorta. Gabriele Rebollini, Porthos, rappresenta il sanguigno Oltrepò pavese. E Carlo Gancia (personaggio ottocentesco) è l’Aramis un po’ curiale, tutto astuzia e discrezione, in grado però di lanciare una stoccata fulminante. E da dove poteva provenire, se non dall’Alta Langa? Eccoli, fieri e combattivi, la bottiglia è la loro spada, le bollicine il frutto del lungo lavoro cavalleresco. Santé. Anzi Prosit.

Quarant’anni di Emozione. Anche gli spumanti compiono gli anni. Questo, poi, emozione lo è di nome e la suscita di fatto, appena si porta alle labbra il bicchiere e si assaggia. 
Nel 1978 Alessandro Bianchi aveva 46 anni e il percorso per recuperare dal declino il borgo di Villa, a Monticelli Brusati, in Franciacorta, era già ben avviato e così la cantina, dove maturavano Franciacorta (cioè lo spumante Docg metodo classico) e vini di pregio fermi, legati al territorio. Decise di produrre allora una riserva millesimata a base Chardonnay. Una degustazione verticale tenuta qualche mese fa ha decretato senza dubbi non solo la tenuta nel tempo, ma anche l’emozione vera che può suscitare un Franciacorta vendemmiato, sviluppato in cantina e conservato anche per lunghi anni. Compreso un “antico” 1983, di sorprendente – anche se relativa – freschezza, carico di sentori evoluti, “masticabili”, dal pane tostato alla torta salata, con un finale lungo e in qualche modo ancora fruttato, persino floreale.
Paolo Pizziol - Athos
Passati 40 anni - da tempo Alessandro Bianchi è affiancato nella conduzione dell’azienda vinicola dalla figlia Roberta e dal genero Paolo Pizziol (58 anni, direttore vendite e dunque uomo d'azione, che sa lavorare però di fioretto) – è venuto il momento di festeggiare. Come? Con una straordinaria bottiglia come l’Emozione 40 Anni Riserva Brut 2008. L’aggettivo non è abusato. Straordinaria la è per vari motivi. Intanto per la produzione limitata (2.920 pezzi numerati) e di conseguenza anche il prezzo (alto, ma non stratosferico, sui 130/140 € in enoteca). Poi per l’abbigliamento particolare: etichetta e collarino in tessuto, intreccio di trama e ordito con filo d’oro; infine anche un cofanetto che la contiene, molto particolare, da collezione. 
Infine?! E il contenuto? Certo, la cosa più importante. L’Emozione 40 Anni è un brut che deriva da una cuvée di Chardonnay all’85%, Pinot nero per il 10% e Pinot bianco per il restante 5%. Solo mosto fiore di oltre 20 vini-base, in parte affinati in barrique. L’affinamento sui lieviti è stato di 100 mesi, con sboccatura a fine novembre 2017.
Trattandosi di bollicine, si guarda per prima cosa ad esse: il perlage è molto fine e persistente; il colore, giallo paglierino con bei tocchi dorati; al naso, profumo di agrumi e note di frutta esotica, ma anche di pane grigliato, iodio marino e un po’ di sottobosco; per ultime, note balsamiche e persino di caffè. In bocca, appare cremoso, fresco, ancora agrumato, sapido e con finale appena minerale.
Rossini sbagliato
E qui entra in campo il gioco dell’abbinamento. Piatti “importanti”, verrebbe da dire, intendendo raffinati, non di gusto brutale, non importa poi molto se di pesce o carne (non da caccia, magari).  
Stefano Cerveni, chef stellato delle Due Colombe di Borgonato di Corte Franca (Brescia), ha preparato per una cena di presentazione del 40 Anni dei veramente eccellenti Fagottelli di pasta fresca “Milano-Bagolino”, caratterizzati nell’impasto dallo zafferano e nel ripieno dal formaggio Bagoss, assieme a salvia e limone. Poi…sempre più difficile. Questa volta insieme, Cerveni e Philippe Léveillé (chef del ristorante Miramonti l’altro, bistellato Michelin) hanno concepito una rivisitazione dei famosi tournedos alla Rossini (un pezzo di filetto con salsa demi-glace, foie gras e tartufi neri), chiamata Rossini sbagliato: come base non filetto ma il più umile e gustoso diaframma, con un paté di fegatini impreziosito dal tartufo in cima. Risultato? Matrimonio d’amorosi sensi fra le bollicine del quarantennale e il cibo.
Info.Villa Franciacorta, via Villa 12, Monticelli Brusati (Brescia), tel. 030.652329, www.villafranciacorta.it. La cantina è oggi totalmente biologica. Fra gli altri vini più interessanti, il Cuvette, il Diamant pas dosé, l’Rna 10 anni Riserva extrabrut e il Briolette Rosé demisec tra i Franciacorta; Gradoni e Quercus fra i rossi; lo Chardonnay Pian della Villa fra i bianchi.

Que reste-t-il des nos amours? Que reste-t-il du ’68…Mescolando indebitamente Charles Trenet e la rivoluzione studentesca del secolo scorso e con un’ulteriore capriola arriviamo a chi il 1968 lo festeggia…brindando. Inevitabilmente. Si chiama Gabriele Rebollini (44 anni) è enologo e da tempo titolare dell’omonima azienda agricola, fondata dal nonno Bartolomeo, dal padre Bruno e dallo zio Franco proprio nel 1968. La sede e la cantina sono a Borgoratto Mormorolo, paese di 427 anime nella valle del torrente Ghiaia, tra le colline dell’Oltrepò pavese.
Ma con cosa brinda un produttore di Borgoratto? Ovviamente con le bollicine targate Oltrepò Pavese
Gabriele Rebollini - Porthos

Docg. Ne produce tre tipologie Rebollini. A cominciare dalla Cuvée Brut (70% Pinot nero, 30% Chardonnay), non millesimata (ossia frutto di un sapiente mix di annate diverse). Il colore è paglierino con sfumature dorate, le bollicine fini e continue; all’olfatto si presenta con sentori prevalenti di frutti gialli, come pesche e albicocche. In bocca, si ritrovano i sentori fruttati, grazia ed eleganza, buona sapidità e morbidezza. Da provare con torte salate, salame di Varzi e con il cotechino pavese (aromatizzato con Marsala, semi di anice e vaniglia). Poi il Cruasé (marchio collettivo del Consorzio di tutela che identifica un Metodo classico rosé), 100% Pinot nero, millesimato, dal tenue colore rosa, perlage persistente, profumi che richiamano piccoli frutti rossi di bosco, rosa e poi crosta di pane, lievito. Fresco, fine ma consistente, anche lungo al palato. Si abbina bene con il risotto alla granseola, branzino con bottarga, aragosta in bellavista. E il Brut Nature (con un dosaggio di zucchero bassissimo, non più di 3 grammi). Si tratta di un Pinot nero con 5% di Chardonnay, prodotto solo in annate particolari. Giallo paglierino vivace, ha bollicine fini e persistenti; al naso prevalgono i profumi di ginestra, poi di pain brioché. In bocca è fresco, cremoso, di buona sapidità, con finale lievemente ammandorlato. Ottimo con plateau di ostriche e frutti di mare, fritture di pesce. Ma anche sulla costoletta alla milanese (rigorosamente con l’osso, infarinata, passata nell’uovo, impanata e fritta nel burro fuso). Tutti e tre gli spumanti sono in vendita sui 15 € la bottiglia. 
Brut Nature
50° Anniv.
Per festeggiare il cinquantennale Rebollini ha tirato fuori dal cilindro una bottiglia di Classico Docg – annata 2011– composta da Pinot nero al 95% con un tocco di elegante Chardonnay (5%). Si tratta in pratica di un Brut Nature che si è affinata sui lieviti quasi 7 anni, acquisendo profumi tostati, persino burrosi. Edizione limitata a 1000 bottiglie, in vendita a 30 € l’una.
I vigneti dell’azienda agricola (35 ettari vitati) si trovano naturalmente attorno alla cantina di Borgoratto, ma si estendono anche sui terreni di altri comuni, da Casteggio a Mairano, da Calvignano a Borgo Priolo, con una produzione di circa 100mila bottiglie. Gabriele Rebollini non è solo nella guida dell’azienda. Dalla primavera scorsa, è affiancato dall’enologo 27enne Giulio Zanmarchi, come responsabile della produzione e del controllo qualità in cantina, già allievo di quel Leonardo Valenti (professore di Viticoltura ed enologia alla Facoltà di Agraria di Milano) che collabora da tempo appunto come enologo ed agronomo di grande esperienza.
La vendemmia da Rebollini prevede la raccolta manuale delle uve in vigna (dopo il controllo analitico di grado zuccherino e acidità) e trasporto in cassette, per poi lavorare separatamente le diverse partite. Gli spumanti classici utilizzano lieviti selezionati e rifermentazione controllata in bottiglia, poi riposo sui lieviti per almeno 3 anni.
Oltre ai Classici, la cantina produce anche un Pinot nero spumante vinificato in bianco col metodo Martinotti (o Charmat, che dir si voglia) lungo, che arriva a fare anche 9 mesi di autoclave.
E poi una serie di vini tipici dell’Oltrepò, dai vivaci Pinot nero in bianco e Bonarda, a Riesling e Barbera. Di questi tempi va molto il Novello di Francesco (ovviamente sviluppato con la tecnica della macerazione carbonica), che deve il suo nome al fatto di essere nato nello stesso anno dell’omonimo figlio di Gabriele Rebollini, 11 anni fa. Ma se il diavolo si nasconde nei particolari l’angelo si cela nella nicchia e bisogna saperlo scovare: in questo caso si tratta dell’Yttrio (dal nome di un minerale argenteo, abbastanza prezioso), Passito di Croatina Provincia di Pavia Igp, che dopo una lunga fermentazione riposa per tre mesi nelle piccole botti e si affina per almeno altri sei in bottiglia. È prodotto solo in annate eccezionali, l’ultima in commercio è il 2011. Per le sue eleganti note di cioccolato e tamarindo, supportate da oltre 16° d’alcol, si può abbinare con soddisfazione sia a formaggi stagionati sia a dolci come la crostata ai mirtilli e lamponi e persino al cioccolato puro. Costa 16 € la bottiglia da 0,5 lt e li vale tutti.
Info. Azienda agricola Rebollini, località Sbercia 1/a, Borgoratto Mormorolo (Pavia), tel. 0383.872295, www.rebollini.it. Tutti i vini sono in vendita anche sul sito internet.

Gancia si rilancia. Coi magnifici 7. E se 120 mesi vi sembran pochi, provate voi a fare uno spumante metodo classico, che matura sui lieviti per almeno 10 anni. Non è da tutti. E comunque,
Carlo Gancia - Aramis
questo Alta Langa Riserva Docg brut gode di buona compagnia. Gliela fanno tre fratelli e tre cugini, minori di età ma non di cura e attenzioni. Ci sono gli Alta Langa Riserva: brut 60 mesi, brut 36 mesi e Pas dosé, sempre 36 mesi. Poi, uscendo dalla Docg Alta Langa, a sorpresa, troviamo con 24 mesi di maturazione sui lieviti un Asti Docg, dolce, sempre metodo classico; e, ancora, i due altri Brut 18 mesi, di cui uno Rosé. Insomma ce n’è un po’ per tutti i gusti e le tasche.
Diciamo la verità. L’azienda fondata da Carlo Gancia (e suo fratello Edoardo) nel 1850, che creò nel 1865 dopo un quindicennio di esperimenti il primo metodo champenois (classico) italiano, chiamato allora Moscato-Champagne, in tempi recenti aveva subito un appannamento d’immagine e di qualità. Poi, piano piano, la rinascita, dovuta anche all’ultima acquisizione dell’azienda di Canelli, passata interamente nel 2014 dai Vallarino Gancia alla Russian Standard Corporation di Roustam Tariko (noto ai mercati come il “re della vodka”). Il nuovo patron ha avuto l’intelligenza di non stravolgere l’azienda, la capacità di immettere abbondanti capitali e infine di passare all’azione di marketing, puntando però sulla qualità intrinseca di ogni vino. Così il brand, proprio a partire da quest’anno, ha conosciuto un’operazione di rinnovamento e restyling con il clam Drink Beauty, Bere la bellezza. 
Bisogna sapere che l’azienda produce oltre 28 milioni di bottiglie ogni anno (fra spumanti, vini e aperitivi), selezionando e vinificando 5 milioni di kg di uva, affinando vini bianchi per le cuvée degli spumanti in 250 barrique, con oltre 1 km di gallerie sotterranee che collegano le varie cantine a Canelli (visitabili su appuntamento nella parte storica: tel. 0141.830262/53; franco.ferrero@gancia.it).
Di questi 28 milioni, le bottiglie di spumante metodo classico Alta Langa, al momento, sono solo 60mila! Ma cresceranno, in quantità. Quanto alla qualità, già ci siamo. Ma come si estrinseca in concreto?  Con una cura estrema di tutte le fasi produttive. La vendemmia è svolta a mano, le uve vengono conferite in azienda, in cassette piccole, entro 12 ore, per evitare che si avviino fermentazioni nocive; i viticoltori sono indotti a migliorarne il più possibile la qualità con incentivi e premi. In cantina vengono utilizzate le presse Marmonnier, che in Italia non hanno gran diffusione, mentre in Champagne vengono usate da oltre metà delle maison. Siccome bisogna caricarle a mano, il lavoro è molto più lento e pesante e l’aggravio dei costi notevole. Il vantaggio è quello di ottenere
L'Alta Langa Riserva
10 anni di Gancia
un mosto più limpido e profumato, grazie  alla pressatura statica (solo pressione e non movimentazione e rotazione come succede con le presse pneumatiche). La resa del Marmonnier è però pari solo al 50% rispetto alle più utilizzate rotopresse. Durante ogni vendemmia si effettuano anche 50 pressature per ottenere basi di vino diverse, destinate alle cuvée delle differenti produzioni.
Il dosaggio della liqueur d’expédition è un momento fondamentale del metodo champenois o classico. Al termine della sua più o meno lunga sosta sui lieviti, il vino è ormai diventato spumante e vanno espulse le fecce, cioè i residui dei lieviti stessi, dalla bottiglia. Perciò si fa uscire dal collo la quantità di vino che li contiene e che è stata radunata sulla “punta”, presso il tappo corona: basta stappare e la pressione espelle la giusta quantità precongelata con le fecce. A questo punto la bottiglia va rabboccata. Con che cosa? Con lo stesso vino, se si vuole ottenere uno spumante assolutamente secco, quello che viene definito Nature, o Pas dosé o Dosage zéro. Altrimenti, ed è la maggior parte dei casi, si procede aggiungendo sempre il medesimo vino ma mescolato con una certa quantità di zucchero e persino, soprattutto in Francia, di vecchi Cognac. Queste presenze, attentamente calibrate, determinano la categoria dello spumante, da extrabrut e brut, piuttosto secchi, fino a demisec e sec, quasi o interamente dolci.
Da Gancia, il dosaggio è un po’ un segreto aziendale, ma si sa che è calibrato in modo da non modificare sostanzialmente la qualità intrinseca del vino, così da mantenerne le caratteristiche organolettiche originarie.
Ma Alta Langa cosa significa esattamente? È un marchio collettivo che identifica sia un territorio collinare delle provincie di Cuneo, Alessandria e Asti, alla destra del Tanaro e che include 146 comuni, sia gli spumanti classici Docg prodotti in questa zona solo da uve Pinot nero e Chardonnay. Tutte le bottiglie devono riportare l’anno della vendemmia e quello della sboccatura.
Vediamo meglio quindi le etichette dell’Alta Langa Docg metodo classico di Gancia. Con dolce sorpresa finale.
Riserva Brut 120 mesi. Il fiore all’occhiello della spumantistica Gancia. Ultima annata in commercio (ma quasi esaurita) il 2006: un migliaio di bottiglie, sui 60 € l’una. Perlage molto fine, colore giallo paglierino brillante; bouquet di fiori d’acacia, poi frutta secca e miele. In bocca: secco, ampio, avvolgente, sentori prevalenti di pane grigliato e lieviti. Straordinario. Con antipasti di pesce caldi, tartare di ricciola con capperi e mela verde; risotti, carni bianche salsate.
Riserva Brut 60 mesi 2009. Giallo paglierino con bei riflessi dorati. Al naso, ancora fruttato, con sentori di vaniglia e lieviti. Sapore asciutto, complesso, sapido. Da gustare, per esempio, su salmone agli agrumi e più in generale, con risotti e crostacei. Sui 30 €.
L'Asti spumante classico 24 mesi
Pas dosé 36 mesi 2014. Il più secco della compagnia. Colore paglierino intenso, profumo di fiori bianchi, accenni di miele e lievito. Sapore fresco, sapido, nettamente secco ma di ottimo equilibrio (non v’è traccia di amaritudine). Ottimo aperitivo, da accostare a frutti di mare (ostriche), primi piatti di pasta col pesce (in particolare con i saporiti lupini, in bianco). Sui 25 €.
Brut 36 mesi 2014. Giallo paglierino carico con riflessi verdi; perlage sottile; al naso, frutta matura, lieviti, mandorla, fette biscottate e vaniglia. In bocca, equilibrato, fragrante, ricco. Primi di pastasciutta, involtini di pesce spatola, scaloppine al vino bianco e capperi. Sui 25 €.
Asti Docg 24 mesi. Non è un Alta Langa, ma “solo” un Asti Docg. Ma anziché prendere la spuma in poche settimane di autoclave, l’acquisisce in bottiglia, ove matura secondo il metodo classico per 24 mesi. Nel segno di Carlo Gancia, che realizzò il primo spumante classico italiano rifermentato in bottiglia nel 1865, col vino Moscato. Ma che cosa dona in più il metodo champenois a uno spumante che è pur sempre dolce? Una complessità inusitata e una finezza che allontana i pericoli della stucchevolezza. Il profumo è comunque caratteristico, si distinguono ancora i sentori dell’uva, e se ne avvertono altri, dai fiori d’acacia all’albicocca. Abbinamenti elettivi: crostate di frutta, panettone, crèpes Suzette, Millefoglie. (Sui 25 €).
Info. Gancia, corso Libertà 66, Canelli (Asti), tel. 0141.8301, www.gancia.it

sabato 17 novembre 2018

Lumache a spron battuto: dalla calabrese Scalea alla conquista del Nord Italia. Il segreto? Giovinezza, qualità e buona volontà

Una veduta dell'allevamento di chiocciole dell'Az. Lumache & Derivati di Scalea, in Calabria
Secondo Sergio Lovrinovich, direttore della guida Michelin, l’ingrediente principe nei ristoranti, quest’anno 2018 è stato …la lumaca.  “Le ho assaggiate in diversi ristoranti”, ha dichiarato al sito Scattidigusto, “e mi ha colpito in particolare la Baguette di Philippe Léveillé, di cui ho avuto anche la ricetta, ma che è molto difficile da preparare in casa…” Léveillé è lo chef del ristorante Miramonti l’altro di Concesio (Brescia, 2 stelle) e per la sua Baguette inserisce nell’incavo ottenuto eliminando
La baguette di lumache di Philippe Léveillé
la mollica una marinière di pomodoro calda, mozzarella e a cubetti e lumache precotte in un soffritto di verdurine, sfumate col vino Savagnin del Jura, e rifinite con erba cipollina, prezzemolo e burro. Una volta rinchiuso il prezioso scrigno con la calotta della baguette, la accompagna con altre 4 lumache adagiate su gocce di purè all’acetosella, completando il piatto con una julienne, sempre di acetosella, terra di olive taggiasche e polvere di prezzemolo. Ecco un ottimo esempio di come si possano preparare le lumache sfuggendo alla banalità di ricette, pur buone, della tradizione francese, come quelle “alla bourguignonne”, o le trifolate. 
In Italia, certo, le ricette che vedono protagoniste le chiocciole, sono millanta, molte di più di quelle d’Oltralpe, essendovi una consolidata tradizione in tutte le regioni italiane, dal che deriva una quantità inusitata di piatti. Fra le più note, almeno localmente, le lumache all’uso di Bobbio (della zona appenninica del Piacentino), con pomodori e vino rosso, da servire con la polenta. Quelle fritte alla ligure; le romane “di San Giovanni”(piatto della ricorrenza, il 24 giugno), caratterizzate da mentuccia, acciughe e peperoncino; e la zuppa di maruzze, campana. 
Le lumache ormai si trovano solo di allevamento (quelle selvatiche sono ridotte ai minimi termini e comunque quasi nessuno lo cerca) e una delle zone più note è Cherasco, nel Cuneese, dove ha la sua sede anche l’Istituto internazionale di elicicoltura (www.istitutodielicicoltura.it).
Helix Aspersa Muller e Maxima, lumache di qualità, da cui
si ricava anche un rinomato quanto raro caviale
Bisognerebbe fare però attenzione alla provenienza dei piccoli gosteropodi: infatti il mercato è costituito solo per il 50% da allevamenti italiani, mentre il restante 50% proviene dai paesi del Maghreb e dell’Europa dell’Est.
La produzione nazionale è concentrata nel Centro-nord e stupisce quindi trovare un produttore di gran qualità nell’estremo Sud, in Calabria. Che per di più non si limita a vendere i suoi prodotti nel Meridione, ma tenta la conquista del vasto mercato settentrionale, piantando le sue bandierine già in alcuni locali rinomati di Liguria, Piemonte e Lombardia. Si chiama Lumache & Derivati la società agricola fondata nel 2014 da due trentenni, Francesco Di Deco, laureato in Giurisprudenza e Giuseppe Maisto, con studi economici, figlio di un imprenditore del turismo. E ha la sua sede a Scalea, in provincia di Cosenza, nella parte settentrionale della cosiddetta Riviera dei cedri e a pochi chilometri dal Parco nazionale del Pollino, il più grande d’Italia.
Qui, su 3 ettari di terreno (con un potenziale di altri 10) vengono allevati i gasteropodi delle speci Helix Aspersa Muller ed Helix Aspersa Maxima, da cui si ricava, non senza fatica, il prodotto più pregiato, raro e ancora poco noto che fa capo alla lumaca e cioè il suo caviale. Dalla Muller si ottengono delle perle chiare, piccole, dal sapore delicato, mentre la Maxima dà luogo a uova un po’ più grandi, quasi grigie, dal gusto più intenso. Sono prodotti paragonabili, sia nel sapore che nel prezzo, a quelli dei migliori caviali di storione. Ma si tratta di un prodotto assolutamente di nicchia. Mentre il core business è concentrato sulla carne delle due specie di lumache, che al momento giusto finirà nei locali dalla medio-alta ristorazione: almeno questo è il proposito dei due soci, che per entrare nelle cucine degli chef si fanno consigliare dal giornalista  Marcello Coronini, ideatore e curatore, con Lucia Comuzzi, di Gusto in Scenae de La Cucina del Senza.
Francesco Di Deco e Giuseppe Maisto
Perché il prodotto lumaca di Di Deco e Maisto è considerato così pregiato? Tutto si basa sulla tipologia di lumaca e soprattutto di allevamento. Le chiocciole sono allevate all’aperto sin dalla nascita, ma in serre di rete sottile a copertura dei campi, per favorire al massimo l’ossigenazione. All’interno, l’habitat è del tutto naturale, in modo che gli animaletti crescano e si riproducano senza stress di sorta.  Vengono nutriti con ortaggi rigorosamente biologici, coltivati in azienda, quali biete, insalate e trifoglio nano. Il clima mite della Riviera dei cedri favorisce la fase della riproduzione per quasi tutto il corso dell’anno. Il raccolto viene fatto quando le chiocciole hanno raggiunto un guscio duro e ben formato, che garantisce così contro ogni rottura che possa intervenire durante la spurgatura e la successiva conservazione e segnala altresì la giusta consistenza e il sapore eccellente delle carni.
Prima di essere vendute le lumache subiscono vari processi igienici, dalla spurgatura attraverso casse forate in cui vengono risciacquate con acqua microbiologicamente filtratata, alla debatterizzazione ai
 raggi UV. Confezionate in sacchi a rete e mantenute in celle frigorifere fra i 4° e i 6°, vanno poi in letargo, fino al momento della spedizione ai clienti.
Una recente degustazione di queste lumache a La Cucina dei Frigoriferi milanesi di Marco Tronconi, già chef alla Trattoria del Nuovo Macello, ne ha evidenziato la gustosità priva di viscidezza eccessiva e di quella “gnucchezza”, che talvolta capita di incontrare in piatti fatti con esemplari poco curati nella fase dell’allevamento. Protagoniste nell’antipasto, le Lumache dorate (cioè fritte) con chutney di finocchio, degne comprimarie nella Pasta e ceci con funghi e lumache trifolate e, ancora, nella Lingua di vitello arrostita con purea di patate e sedano rapa e lumache saltate.
...e Lingua di vitello arrostita con purea
di sedano rapa/patate e lumache
I Piatti di Tronconi: Pasta e ceci
con funghi e lumache trifolate...
La conquista di una buona ristorazione, anche stellata, per ora, almeno al nord è ai primi passi, ma pare significativa. Tanto più se si pensa che in Piemonte, dove parecchi chef hanno scelto queste lumache cosentine, ci sono alcuni dei più rilevanti allevamenti nazionali, nella zona di Cherasco (Cuneo). All’Enoteca di Canale d’Alba (1 stella Michelin), Davide Palluda, nella categoria della carta Piatti decisi ed eleganti (tra Antipasti e Primi) propone attualmente un’Insalata di lumache al burro nocciola e prezzemolo (a 25 €), che sta avendo ottimo riscontro fra i clienti. Mentre Al Garamond di Torino (una cucina sicura, che realizza un riuscito connubio di tradizione siciliana e piemontese), lo chef-patron Santino Nicosia, con le lumache calabresi realizza Una “Gricia” tra Nord e Sud (lumache di terra e caviale di riccio), primo piatto che contempla paccheri ripassati leggermente al nero di seppia e gli abituali ingredienti della gricia, il guanciale e un Pecorino particolare come il siciliano Piacentinu, in prima battuta; a pasta condita e impiattata, lo chef aggiunge le lumache cotte separatamente e il caviale di riccio, per un piatto che lui stesso ama definire un po’ “bavoso”, cioè succulento. Apprezza la lumaca calabrese anche Davide Cannavino, chef de La Meridiana di Genova, che ha proposto di recente una rivisitazione della classica ricetta à la bourguignonne e che si ripropone di metterle in carta in primavera: lumache stufate con prezzemolo, cosparse con  una royale di aglio cotto nel latte e a vapore, e poi frullato con un tocco di peperoncino e qualche altro piccolo segreto. Non è un mistero invece da dove arrivano le lumache di qualità utilizzate da questi cuochi di vaglia: dalla piccola Scalea, in una delle regioni più problematiche d’Italia. Eppur qualcosa si muove…
* Info. Società agricola Lumache & Derivati, via del Mulino, Scalea (Cosenza), www.lumacheederivati.com, tel. 0985.920385, cell. 345.2150400.

mercoledì 7 novembre 2018

I vini di San Colombano, dal Lambro a Milano. Una settimana di degustazioni alla Porta del Vino di piazza Cinque Giornate. Senza pagare il dazio


Un vigneto di San Colombano al Lambro 
Non si paga dazio, alla Porta del Vino, ex casello daziario di piazza Cinque Giornate, a Milano. Semmai un contributo di 15 € per assaggiare una sfilza di vini, quasi sempre lombardi, nel corso di giornate tematiche, accompagnati da piattini di salumi e formaggi. Il questo modo il Movimento Turismo del Vino della Lombardia, porta le bottiglie dei suoi associati direttamente nella vetrina più grande della regione. 
Ristrutturati gli interni, l’ex casello si presenta con due locali, piuttosto sobri negli arredi e con
Carlo Pietrasanta,
produttore e "anima"
del San Colombano
qualche progetto di abbellimento futuro, per ora top secret. Intanto le iniziative partono. Per prima quella che questa settimana, da martedì 6 e fino a sabato 10 novembre mette a disposizione di appassionati e degustatori professionali i vini…milanesi. E cioè dell’unica zona a denominazione d’origine in provincia di Milano: i San Colombano Doc e i Collina del Milanese Igt. 
La collina di San Colombano, alta non più di 144 metri, lunga 7 km e larga 1, a 40’ d’auto da Milano, ha una tradizione antica in fatto di produzione enologica, tant’è che la sua uva più caratteristica, la Verdea, che dà luogo all’omonimo vino bianco, fu per così dire esportata da San Colombano e altri in varie zone d’Italia: in Toscana, per esempio, dove era molto apprezzata da Galileo Galilei e ancor oggi si ritrova sotto un altro nome, non casule: colombana.
Piccola produzione, quella di San Colombano al Lambro, ma solida: circa 1,5 milioni di bottiglie, vendute per lo più nella zona (che s’inoltra anche nelle provincie di Lodi e Pavia), abbastanza poco a Milano, nonostante che qualche decennio fa una famosa enotecara milanese, Maria Luisa Ronchi, avesse lanciato nel suo locale la Verdea della Tonsa frizzante, prodotta da Riccardi, come “lo Sciampagnín de Milàn”. Non c’è solo l’uva Verdea naturalmente, anche se è la più peculiare, visto che con essa si fanno anche bianchi fermi e addirittura passiti. I vitigni più diffusi sono Barbera e Croatina che, assieme all’Uva rara danno luogo al Rosso, cui è possibile aggiungere in piccole percentuali, rispettando la Doc, anche Cabernet, Merlot e Pinot nero. Mentre fra i bianchi oltre alla Verdea, si annoverano Malvasia, Sauvignon, Chardonnay e Riesling.
Vini “sinceri”, verrebbe da dire, se la parola non fosse un po’ abusata,  ma fatti con tutte le tecnologie, più o meno moderne, dai tini d’acciaio termoregolati alle barrique e botti medio grandi di legno, quando si tratta di far maturare un rosso che ne ha le potenzialità. Merita una gita fuori porta, San Colombano al Lambro, con il suo bel castello del VI-X secolo, distrutto e riedificato successivamente dal Barbarossa e ritrasformato da Galeazzo II, Bianca di Savoia, i Belgioioso…Altri luoghi notevoli,
I vini Banino dell'Az. agricola. Panigada
alcune chiese cinquecentesche, il cosiddetto Portone, la casa che diede i natali a don Carlo Gnocchi e naturalmente le colline amene ricoperte di vigneti.
Ma chi non ha tempo o aspetta una stagione migliore per andare a San Colombano, può consolarsi in questa settimana con le degustazioni in corso alla Porta del Vino di Milano. 
I cinque produttori che hanno voluto l’iniziativa, hanno programmato un tema al giorno. Così, mentre martedì 6 la degustazione ha riguardato “Le bollicine che non ti aspetti” e cioè spumanti sia metodo classico che charmat, mercoledì 7 il tema è: “Un vino nato qui, solo nostro”, intendendo appunto la Verdea, nelle sua varie declinazioni. Giovedì 8, il banco d’assaggio s’intitola “Vivace tutti i giorni”. E’ cioè il classico vino rosso mosso di San Colombano (simile, in qualche modo, al Rosso vivace dell’Oltrepò). Venerdì 9: “Superato l’esame di maturità”, vini rossi più complessi, magari maturati in piccole botti di rovere. Sabato 10, gran finale: "Dolce con dolce". Si abbineranno ad alcuni dessert  i vini amabili, passiti, prevalentemente da uve Malvasia o Verdea.
Sono presenti con i loro vini i produttori Stefano Bossi, Nettare dei Santi, Antonio Panigada, Angelo Panizzari e Pietrasanta.
Segnalo qui, a mio sindacabile giudizio, alcuni dei loro vini migliori. Bossi: Contessa Alessia (Chardonnay e Riesling renano), bianco leggermente frizzante. Nettare dei Santi: Roverone, San Colombano Riserva, rosso, e Il Solitaire, Passito di Verdea. Panigada: Banino Rosso Vigna La
I vini Nettare dei Santi (Riccardi)
Merla
e Banino Aureum, da uve Malvasia appassite in cassette. Panizzari: Verdea, San Colombano Riserva, RossoMilano e i simpatici spumanti Milano dry Rosé e Bianco. Pietrasanta: San Colombano Riserva e Rebelot Podere Costa Regina.
* Info. "Alla scoperta del vino di Milano", fino al 10 novembre, organizzato dal Movimento Turismo del Vino-Lombardia (http://www.movimentoturismovino.it/it/lombardia/), in collaborazione con ABS Wine&Spirits (Bottiglie Aperte), presso La Porta del Vino (ex-casello daziario di piazza 5 Giornate). Orari: 15.30-18, banco d’assaggio riservato al settore Horeca; 18.30-21.30 Banco d’assaggio aperto a tutti, con degustazione guidata per i primi 15 prenotati. Prezzi per il pubblico: 
15 € (compreso piattino di salumi e formaggi o dolci; associazioni del mondo del vino, 10 €).

lunedì 5 novembre 2018

Il Merano WineFestival si tinge di rosa con i vini di cinque consorzi, dal Valtenesi Chiaretto al Cerasuolo d'Abruzzo. E si autoprovoca: "Vino, veleno o alimento?"

Una veduta del Kurhaus di Merano, con le montagne del Gruppo Tessa sullo sfondo
Pur amando la cacciagione a tavola, il cacciatore che preferiamo non è quello con doppietta e stivali, ma un altro signore, che si fa chiamare The Wine Hunter, al secolo Helmut Köcher. Gran patron del Merano WineFestival, Köcher batte non le brughiere ma le cantine di tutta Italia e di non poche all’estero, per scovare non solo i vini “migliori”, ma quelli più intriganti, che hanno molto da raccontare e non sempre sono noti, quelli di una tendenza magari minoritaria o di nicchia, ma che
Stefania Mafalda, pr,
ed Helmut Köcher
promettono di avere un futuro brillante o comunque interessante. Lui li valorizza (anche attraverso degustazioni di esperti suoi collaboratori) assegnando dei riconoscimenti (sorta di medaglie virtuali, dai colori
  - a salire nel merito - Rosso, Oro e Platino), e li invita a quella grande kermesse internazionale che è ormai da tempo il Merano WineFestival, quest’anno alla 27ª edizione (dal 9 al 13 novembre).
Ogni salone del vino che si rispetti, si sa, deve proporre delle novità e il MWF non ha fatto e non fa eccezione: ogni anno si è aggiunto qualcosa, tanto che, pur se la manifestazione principale ha luogo al Kurhaus (un bell’edificio in stile Liberty, il cui cuore è il magnifico salone Kursaal), le vie e spazi all’intorno sono stati progressivamente conquistati ai nuovi progetti voluti dal patron. Così, da quest’anno, in piazza della Rena sarà impiantato The Circle-People, Lands, Experiences, un palcoscenico di 450 mq dedicato a degustazioni di vino e cibo, show-cooking, incontri con piccoli produttori e chef, vignaioli ma anche pizzaioli di vaglia. La sera, dopo la chiusura del Kurhaus e della Gourmet Arena (chicche gastronomiche, spesso difficili da reperire nelle grandi città), Il Circolo diventa uno spazio lounge per rilassarsi bevendo un drink. Ma a proposito di Gourmet Arena, da quest’anno viene affiancata da una nuova area espositiva, chiamata Spirits Experience: distillati di qualità, vermouth e liquori protagonisti in degustazioni e seminari a tema, esibizioni di barman e cocktail nuovi o di antiche origini. 
Il “Futuro del Vino”? È affidato (anche) alle idee che alcuni esperti e personalità prevederanno nel corso di una tavola rotonda che si terrà all’eclettico Teatro Puccini (ispirato allo Jugendstill internazionale ed aperto nel 1900).
Chiaretto della Valtenesi
Ma quali sono i vini presenti nel Kurhaus? Quelli che hanno ottenuto almeno un The Wine Hunter Award (cioè conseguito un punteggio, su 100, fra 88 e 89,99 punti per l’Award Rosso, da 90 a 94,99 per il Gold e da 95 a 100 per il Platinum): bianchi, rossi, dolci, secchi, spumanti…E i rosati? Presenti finora in piccolo numero e singolarmente negli stand delle varie aziende vinicole, quest’anno vengono celebrati in pompa magna, con un’area apposita,“Rosé-Vino in Futuro”, allestita in sala Czerny (dal nome del pianista e compositore viennese dell’Ottocento). Protagonisti i vini dei territori storicamente vocati, i cui consorzi hanno siglato pochi mesi fa il cosiddetto Patto del Rosé, per promuovere insieme la cultura di questa tipologia, ancora poco considerata in Italia. Si tratterà di un centinaio di etichette che fanno capo alle Doc Chiaretto di Bardolino, Valtenesi Chiaretto, Cerasuolo d’Abruzzo, Salice Salentino Rosato e Castel del Monte Rosato. Sabato 10 alle 11, all’Hotel Therme, Costantino Gabardi, degustatore e scrittore di vino, guiderà una masterclass con i rosati delle cinque Doc.
Ci sarà spazio anche per appuntamenti insoliti per un festival del vino e del cibo di qualità, ma in realtà del tutto coerenti, come il Premio Emergente Sala (ideato dai giornalisti Luigi Cremona e Lorenza Vitali), che celebra così un mestiere poco appetito dai giovani interessati al mondo della gastronomia, come il professionista dell’ospitalità (in maniera più prosaica: camerieri, maitre) under 30: esami, prove pratiche e premiazione dei tre migliori emergenti del Nord Italia, che parteciperanno fra un anno alla finale nazionale. 
E poi, che altro? Tanto, che qui elenchiamo solo di passaggio, rimandando al programma completo del festival, sul sito (vedi sotto). Stimolante il convegno dell’8 ottobre Naturae et purae – bio&dynamica (manifestazione con espositori che si tiene al Kurhaus, ma solo il 9) dal titolo provocatorio “Vino veleno o vino alimento? Alle radici del bere”. Sempre il 9, in piazza della Rena, Wild Cooking, mentre nelle Terme Storiche e al Kurhaus, oltre ai vini bio ci saranno anche i c
Lo chef Karl Baumgartner
osiddetti PIWI (derivati da uve naturalmente resistenti alle crittogame, malattie fungine). 
Gran finale con Catwalk Champagne, il 13, nella Kursaal del Kurhaus. Dalle 9.30 alle 16.30, degustazione delle bollicine di 34 note e meno note maison, in abbinamento alle specialità gastronomiche di dieci aziende d’élite. Con un grande show-cooking, alle 12.30, tenuto da Karl Baumgartner, chef del ristorante Schöneck di Falzes (1 stella Michelin dal 1998): piccoli assaggi di qualità in abbinamento allo Champagne Marguerite Guyot. 
* Merano WineFestival 2018, dal 9 al 13 novembre, c/o Kurhaus, corso Libertà 33, Merano (Bz), www.meranowinefestival.com. Ticket giornalieri, abbonamento e relativi prezzi, sul sito o in cassa.