mercoledì 15 dicembre 2021

L'Alta Langa Buttafuoco a Montalcino. Ovvero come festeggiare Natale e Capodanno con vini fuoriclasse. Dagli spumanti ai rossi importanti




Una cascata di bollicine dall'Alta Langa

Nell’anno in cui Umberto I diviene re d’Italia, il 1878, Enrico Serafino - piemontese di Romano Canavese - si trasferisce a Canale, nel Roero, dove inizia a produrre Barbaresco, Barolo e spumanti metodo classico. Costruisce le cantine sotterranee e crea una Cuvée Regina e un Moscato Champagne, con il metodo champenois, mutuato dai francesi, che in Italia oggi chiamiamo metodo classico. Da allora la casa vinicola che porta sempre il nome di Serafino, ha continuato a produrre bollicine fino a quando – e il salto è di oltre un secolo – nel 1990 nasce il progetto Spumante Piemonte, voluto da alcune case storiche della regione con l’intento di individuare i migliori cru in cui mettere a dimora barbatelle di Chardonnay e Pinot nero. Gianni Malerba, agronomo della Enrico Serafino, fra il 1991 e il 1994 viene chiamato a impiantare i primi vigneti sperimentali su 40 ettari di terreno. 

Vigna La Soprana di Serafino: 11,7 ha di Pinot nero e Chardonnay

Metodo classico o charmat? Si opta esclusivamente per il primo e alcune case vinicole, preoccupate per la difficoltà (vitigni nuovi mai sperimentati prima sul territorio) decidono di abbandonare il progetto. La Enrico Serafino invece ci crede sino in fondo, così i primi 20 ettari vanno in produzione e la casa vinicola è presente dalla prima vendemmia  per quello che sarà il futuro spumante Alta Langa, un nome evocativo che nel 2002 ottiene il riconoscimento della Doc e nel 2008 quello della Docg. Da allora questa Docg vanta regole più rigorose di ogni altro spumante al mondo. Prendendo in considerazione le varie zone produttrici a denominazione d’origine quali Champagne e Cava fra quelle estere, Oltrepò pavese, Trento, Franciacorta e anche i vari Metodo classico italiani, si nota che Alta Langa è il solo ad avere l’obbligo della menzione dell’annata di vendemmia; per quel che riguarda i brut e i rosé, contempla il numero minimo più elevato di mesi per la fermentazione in bottiglia (30, mentre per il millesimato è seconda solo allo Champagne, 30 contro 36). I vigneti attualmente sono disposti su 148 comuni, ma su una superficie complessiva di appena 350 ettari (per esempio, il Barbaresco include solo 3 comuni, ma con 750 ettari di vigneto). Vi sono insomma tutti i presupposti perché un Alta Langa sia davvero uno spumante di ottima qualità. Poi, certo, sempre decisiva la mano del produttore. E poiché in azienda ci tengono alla qualità massima possibile, per quanto riguarda gli spumanti si è deciso fin dall’inizio di produrre solo Alta Langa e solo con assemblaggio di diverse parcelle, per esprimere la complessità del territorio. Si tratta di 41 vigneti distribuiti su 16 comuni per 56 parcelle vinificate separatamente con vendemmie che si estendono su 29 giorni. Tutto questo si è tradotto in un impressionante volume di vini di riserva (necessari per ottenere le migliori cuvée) e in un assortimento che contempla una varietà di Alta Langa notevole: Blanc de noirs, Blanc de blancs, Rosé de saignée, Extra brut, Pas dosé e affinamenti sulle fecce fini fino addirittura a 140 mesi (pari a 11 anni e 8 mesi): come il Pas dosé Zero 140 Pianeta Marte 2008, sboccato nel 2021: sui 120 € la bottiglia). 

Sono sette gli spumanti Alta Langa attualmente prodotti dalla Enrico Serafino. Qui ne prendiamo in considerazione due in particolare, ambedue a base di Pinot nero in purezza.

Zero Riserva 2015

È il primo pas dosé prodotto della Docg. Pas dosé (o dosage zero) significa  che dopo la sboccatura (o dégorgement, serve ad espellere i lieviti esausti) il rabbocco viene effettuato non con una liqueur che contiene distillati e/o zucchero ma solo con lo stesso vino secco). Primo spumante della Docg per il quale è stata effettuata la sboccatura tardiva (oltre i 5 anni). Pinot nero 100% da vigneti dei comuni di Mango, Loazzolo e Bubbio (450-550 m. s.l.m.), coltivati secondo i metodi dell’agricoltura sostenibile, certificati dall’ente ministeriale ViVa. 

Colore paglierino luminoso, perlage fitto e persistente; profumi complessi di fiori, poi frutta matura, agrumi e nel finale miele e crosta di pane. In bocca, elegante e sfaccettato, secco, sapido, agrumato, qualche
interessante sentore “gessoso”, misto a macchia mediterranea. 

Abbinamenti: aspic di gamberi, orata al cartoccio, scampi al forno e granella di nocciole, pesce spada in salmoriglio.

Prezzo: 30-38 € la bottiglia.

 

Oudeis Rosé de saignée 2017. 100% Pinot nero anche per queste bollicine, le cui uve provengono da appezzamenti di cinque comuni. Una complessità iniziale nella creazione del vino che viene sottolineata dal nome: Oudeis, dal greco Odysseus (nessuno), a significare che nessuno può vantare la paternità del vino, solo il terroir, cioè i vari terreni con le loro sfumature di composizione e di esposizione al sole, combinati sapientemente assieme. 

Dopo la vendemmia i grappoli vengono selezionati manualmente e raffreddati; quindi il mosto riposa per poche ore (fino a 4) in ambiente reso inerte dall’azoto. Al termine della breve macerazione per l’estrazione del colore rosato, ha luogo una pressatura soffice. Saignée in francese significa salasso. Per ottenere un vino rosato, secondo questo metodo, si preleva dal mosto durante la macerazione con le bucce una quantità (fra il 10 e il 30% normalmente) di liquido, che poi fermenterà senza più contatto con le bucce, mantenendo quindi la tinta rosa desiderata. L’Oudeis fermenta in acciaio a temperatura controllata e viene conservato sei mesi sulle fecce fini con periodici rimescolamenti. Presa di spuma secondo il metodo tradizionale in bottiglia e affinamento sui lieviti per circa tre anni. La liqueur aggiunta dopo la sboccatura comprende vini di riserva e zucchero (7 g/l, il range per gli spumanti brut, cioè secchi, spazia da 6 a 12 g). 
Bollicine fini, fontanella lunga e persistente. Colore rosato che ricorda la buccia di cipolla. Ampi profumi di fiori di campo, fragola e anche crosta di pane. In bocca sapido ma gentile, fruttato, con corrispondenza dei sentori tra naso e palato e un finale impreziosito da tocchi minerali.

Abbinamenti: lasagne al ragù, salmone alla griglia con erbette, salmerino alla griglia, piatto di salumi. 

Prezzo: sui 24 € la bottiglia.

Info. Azienda vitivinicola Enrico Serafino, corso Asti 5, Canale (Cuneo), tel. 0173.970474, www.enricoserafino.it

 

 

25 anni di Buttafuoco Storico in una bottiglia limited edition


Storico due volte, il Buttafuoco voluto dal Consorzio Club del Buttafuoco Storico. La prima, perché il vino deriva da uve della zona di produzione più ristretta e qualificata per la produzione di questo pregevole rosso dell’Oltrepò pavese. E la seconda volta perché la bottiglia è un unicum assoluto. Creata per festeggiare i 25 anni della nascita del Club, che riunisce oggi 16 produttori, è figlia della vendemmia 2016, un’ottima annata, ed è stata prodotta in sole 750 bottiglie. I 16 vignaioli associati hanno sviluppato con le migliori uve delle loro vigne i rispettivi Buttafuoco, poi prelevati dalle loro barrique e tonneau in cui hanno maturato per 24 mesi. Quindi i vini, frutto dell’uvaggio di un 50% di Croatina, 25% di Barbera, 15% di Uva rara e 10% di Ughetta di Canneto, sono stati assemblati, stabilizzati e sono rimasti ad affinarsi in bottiglia per altri due anni. Sono in vendita da febbraio 2021 per tutti gli appassionati che non temano di spendere una tantum per questa limeted edition 100 € tondi. Un bel, anzi un buon, regalo di Natale!


Vigne del Buttafuoco Storico

Il Club del Buttafuoco Storico è nato nel 1996 con l’intento di approfondire lo studio delle caratteristiche secolari, selezionare le vigne migliori, condividere le pratiche enologiche più azzeccate, oltre che promuovere collettivamente il vino. Ma perché “storico”? Perché è quello che nasce dalla zona primigenia, “classico” si potrebbe dire per altri vini. Non a caso il marchio adottato è composto da un ovale che rappresenta la botte tipica dell’Oltrepò con la scritta Buttafuoco e dal quale si dipartono due nastri rossi che rappresentano i torrenti Versa e Scuropasso, che delimitano la zona storica a est e a ovest. All’interno la sagoma di un veliero dalle vele infuocate a memento che nella seconda metà dell’Ottocento la marina austroungarica varò una nave chiamata Buttafuoco; forse nel ricordo leggendario di una battaglia perduta da marinai imperiali, impiegati come truppe di terra contro i franco-piemontesi, più dediti al locale vino Buttafuoco che alla pugna.

Più prosaiche le regole del Club-Consorzio, presupposti per l’alta qualità del vino. Le vigne per prima cosa devono essere storiche, cioè aver prodotto nel tempo vini di qualità; i quattro vitigni che compongono la cuvée, Croatina e Barbera seguiti da Uva rara e Ughetta di Canneto, devono essere allevati nella stessa vigna e raccolti insieme durante la vendemmia; la vinificazione deve avvenire in un unico vaso vinario. La maturazione minima è di tre anni con affinamento in botti di rovere per almeno un anno e in bottiglia per almeno 6 mesi. La classificazione delle annate viene decisa da un’apposita commissione e viene espressa con l’emblema dei “fuochi”, da tre a sei.

Venti25Cinque anni di Buttafuoco Storico, Collection Anniversary, annata 2016, prodotto a cura del Club-Consorzio del Buttafuoco Storico.

Colore rosso rubino tendente al granato; sentori di frutta rossa, ciliegia sotto spirito, prugna e spezie (chiodi di garofano, pepe) con un sottofondo balsamico; in bocca, pieno, corposo, equilibrato ed avvolgente, con sottili sfumature speziate. Un vino di gran classe.

Abbinamenti: tagliatelle al ragù d’oca, coniglio spadellato con verdure stagionali, filetto di manzo alla brace, brasato di cinghiale alle prugne.

Prezzo: 100 € la bottiglia (reperibile anche all’enoteca del consorzio).

Info. Consorzio Club del Buttafuoco Storico ed enoteca, fraz. Vigalone 106, Canneto Pavese (Pavia), tel. 0385.60154 www.buttafuocostorico.com (con l’elenco completo e info sui produttori).



Da San Gimignano a Montalcino 


Tutto iniziò nel Medio Evo con la Vernaccia di San Gimignano (vitigno e vino bianco), nelle campagne del borgo dalle 72 torri. Quel piccolo podere, chiamato Torre Terza, dove Antonio di Sebastiano Baroncini diede il via alla produzione del vino (ve n'è traccia nel Liber Aetatum del 1489) esiste tuttora e dà vita alle uve con cui i pronipoti producono la Vernaccia. Ma Bruna Baroncini, oggi titolare col nipote Samuele del gruppo Tenute Toscane, si sentiva un po’ stretta nella Torre. Qual è il grande vitigno toscano? Il Sangiovese. E quell’uva e quel vino i Baroncini hanno voluto produrli in tutte le loro poliedriche sfaccettature toscane. 

Detto e in meno di trent’anni fatto. Nel 1995 viene acquisito a Montepulciano (patria del Vino Nobile) Il Faggeto. Nel 1997, in Maremma, la Fattoria Querciarossa (Morellino di Scansano) e, sempre nello stesso anno, la Tenuta Poggio Il Castellare (Brunello di Montalcino), seguita nel 2003 dal Casuccio Tarletti nel Chianti Classico.

La sede di Poggio Il Castellare: cantina, agriturismo, ristorante

Poggio Il Castellare è forse il fiore all’occhiello delle Tenute. Ha la fortuna di insistere su un territorio del quadrante nord-est di Montalcino, a 350 metri circa d’altitudine, molto reputato anche perché più fresco di altri, una vera e propria atout in tempi  di mutamenti climatici. Si tratta di sette ettari di vigneto su 40 complessivi, compresi due ettari dedicati alla tartufaia, un bosco e prati seminati per la coltivazione di grani antichi. Al centro del terroir (per la maggior parte argilloso), in posizione dominante i vigneti, la cantina delle barrique, un agriturismo e il ristorante.

Qui si seguono con rigore i dettami dell’agricoltura biologica per ottenere vini sempre più vicini alla naturalità, evitando il più possibile i danni parassitari. In cantina, fermentazioni e affinamenti in acciaio o in barrique e tonneau di legno francese e botti da 15 a 25 hl. Se il Sangiovese, alias Brunello, è il protagonista, non sono certo disdegnati alcuni vitigni internazionali come Cabernet e Merlot. Molto interessanti i rossi Passo dei caprioli, Toscana Igt, blend di Sangiovese e Merlot, e Cervio, Sant’Antimo Doc, un Cabernet franc in purezza.

Tra i vini provati, però, da uno standard generale già elevato, emergono al vertice in due. Eccoli.


Castellare Rosso di Montalcino Doc 2019

Uve Sangiovese al 100%. Colore rosso rubino con riflessi granata; profumi di maggiorana e violetta, di mora e sottobosco (felce e castagne); in bocca, secco, sapido, armonico su note variegate di frutti rossi, pino e pepe.

Abbinamenti: prosciutto toscano, pici al sugo di cacciagione, pappardelle al ragù d'anatra, controfiletto di vitello.

Prezzo: sui 18 €.


 

Brunello di Montalcino Docg 2016

Uve Sangiovese al 100%. Colore rosso granata, al naso molto intenso, persistente, con note di frutti rossi, pepe e vaniglia; in bocca, secco, giustamente tannico, in evoluzione ma già armonioso, con note olfattive in corrispondenza con quelle nasali; buona persistenza aromatica. Ben presente a sé stesso, promette molto per l'immediato futuro.      

Abbinamenti: pappardelle al sugo di cinghiale, fagiano in casseruola, piccione al tartufo, agnello al forno.

Prezzo: 50 €.


Info. Poggio Il Castellare, strada privata Castel Verdelli, loc. Casella dell’Amastrone, Torrenieri-Montalcino (Siena), tel. 0577.832982, www.poggioilcastellare.com .

 

 

venerdì 3 dicembre 2021

15-18: l'evoluzione di un cru, il Gavi Pisé di La Raia. In competizione/simbiosi con i piatti di Tommaso Arrigoni. Niente di serioso, sono solo Innocenti Evasioni

 

In cantina a La Raia, azienda vitivinicola biodinamica ove si producono Gavi e Barbera


L’avevamo lasciato un paio d’anni fa di un bel colore paglierino dai riflessi verdognoli, un profumo intensamente floreale e fruttato; un sapore già ricco, di buona persistenza. Lo ritroviamo oggi, il Gavi Pisé 2015 di La Raia, con riflessi dorati, profumi di confettura, sapore pieno, variegato, un’esplosione di frutta matura, condita con qualche nota citrina, poi ancora miele d’acacia, biscotto, un accenno di mineralità.  Peccato che le 5 mila bottiglie prodotte allora siano pressoché esaurite. Ma, naturalmente e per fortuna, vi sono disponibili le due annate successive sempre prodotte in poche migliaia di bottiglie, essendo il Pisé il vino di punta di La Raia, frutto di vendemmie particolarmente buone; gli fanno da solido corollario il Gavi d’annata e la Riserva. 

Il Pisé 2017 è un buon vino, frutto di un’annata difficile, per produrre il quale si è dovuto rinunciare al 60% della produzione di uva, di giusta acidità e che promette un lungo sviluppo nel tempo ma che manca un poco dell’opulenza del 2015 e della già avvertibile grassezza e rotondità del 2018. 

E proprio sul Pisé 2018 si è concentrata l’attenzione di una degustazione/confronto alla tavola di Innocenti Evasioni, ristorante stellato di Milano, guidato dalla mano salda e creativa dello chef-patron Tommaso Arrigoni. Dopo una serie di piccole entrées appetitose, a tavola si sono gustati due piatti eccellenti, il Crudo di scampi e cavolfiore con maionese di foie gras, cachi e foglia di ostrica (foto a sxe i Ravioli di tonno, col suo suo fondo di cottura, broccolo e limone fermentato (foto sotto, a dx). Sapidi, di una complessità di sapori che ben si amalgamavano al palato senza perdere in identità,sono stati una degna prova per i tre Gavi de La Raia, in libera degustazione. (Piatto conclusivo, come dessert, il Foliage di castagne, mascarpone al rum, gelato di marroni e salsa di cachi: strepitoso ma adatto all’abbinamento con un dolce vino passito, non certo con un bianco secco).

La rivelazione della giornata, accanto a quella della felice maturazione del 2015, è stata l'epifania dell’annata 2018, di gusto assai gradevole, ricco, sapido, che mutava “continuamente” nel bicchiere, facendosi ogni dieci minuti più rotondo, senza perdere in nerbo e freschezza. Il produttore Piero Rossi Cairo e la giovane enologa Clara Milani sostengono che a bottiglia aperta il vino si conservi bene fino a 5 giorni e si evolva olfattivamente passando dalle più consuete noti florali e fruttate a quelle agrumate e minerali.

E, in effetti, c’è una novità in questo Pisé 2018 ed è costituita da un utilizzo attentissimo e “soffice” del legno durante la maturazione, per la prima volta dal 2005, prima annata di produzione del cru. Nasce infatti dal vigneto La Cascinetta, posto su un promontorio di circa 300 mt. slm., esposto a sud, sud-ovest e molto vocato alla coltivazione del Cortese, base del Gavi. Il suolo è costituito da terra rossa, sabbioso e sciolto, ben drenato, così la produzione per pianta è limitata e la qualità degli acini si eleva. Tutta l’azienda viticola  è in regime di agricoltura biodinamica (Vedere anche l’articolo, sempre su Il MoncalVini, del 2/2/2019 A La Raia il Gavi e la Barbera si sposano biodinamicamente sotto gli occhi del Santimpalo); il che significa tra l’altro utilizzo del sovescio tra i filari per un migliore equilibrio nutrizionale e trattamenti limitati a piccole dosi di rame e zolfo. I grappoli, selezionati e vendemmiati generalmente a fine settembre vengono poi pressati sofficemente e il loro mosto viene decantato staticamente a bassa temperatura. 

La fermentazione alcolica avviene in grandi botti di legno austriaco da 25 hl, nelle quali il vino poi rimane sui suoi lieviti (autoctoni, selezionati in cantina) per un anno. L’influenza del legno? “Un soffio”, la definisce

Arrigoni, Milani e Rossi Cairo

Rossi Cairo, che si concretizza in leggeri sentori vanigliati. Un altro anno il vino, travasato, lo trascorre in vasche d’acciaio, dove si affina a temperatura controllata per essere poi imbottigliato e quindi, dopo ulteriori sei mesi nel vetro, pronto per l’apprezzamento degli estimatori. Che può avvenire anche alle tavole della Locanda La Raia, elegante dimora di campagna con dieci camere e ristorante, la cui cucina propone piatti locali e ligure-piemontesi, con la giusta creatività suggerita dallo chef-consulente Tommaso Arrigoni.

 


Info. Società agricola La Raia, strada Monterotondo 79, Novi Ligure (Alessandria), tel. 0143.743685, www.la-raia.it Bottiglia Gavi Pisé 2018: sui 25 €. Locanda La Raia, loc. Lomellina, Gavi (Alessandria), tel. 0143.642860, www.locandalaraia.it (chiuso da metà gennaio a metà marzo e merc.). Prezzi: 40-70 € (ristorante); da 254 € (camera doppia b&b).

 

martedì 30 novembre 2021

Sul Chianti Classico arrivano le Unità geografiche aggiuntive. Ma solo per la Gran Selezione. 11 vasti "Cru" per capire meglio come il buon vino nasca dal territorio

 

Nella cartina del Chianti storico (ove si produce il Chianti Classico Docg) le nuove zone denominate Unità geografiche aggiuntive, presto in etichetta.


E perché meno ammiri la parola,

guarda il calor del sol, che si fa vino,

giunto a l’omor che de la vite cola

(Dante Alighieri, Purgatorio, Canto XXV; 76-78)

 

Che uga! – esclamavano i vecchi milanesi, in senso (a volte ambiguamente) ammirativo. Che bella uva, letteralmente, come complimento a qualcosa. Beh, ci siamo. Le Uga del Chianti Classico sono finalmente nate, grazie al lavoro del Consorzio omonimo e i grappoli c’entrano parecchio. Sono dunque le Uga le Unità geografiche aggiuntive, un nuovo progetto di suddivisione e valorizzazione  del territorio di produzione in aree più ristrette e omogenee. In pratica si arriverà a menzionare  in etichetta – volendo, non è un obbligo – il nome del villaggio o del borgo in cui vengono prodotti uva e vino. Ecco in poche parole le Uga del Chianti Classico, del resto già previste, sulla carta,  dalle norme italiane ed europee per i vini Dop (cioè Doc o Docg). Sulla carta, ma in parte realizzate in diverse forme e appellazioni nei territori del Barolo e del Barbaresco, e del Prosecco Superiore con le cosiddette “Rive”.


Il territorio dell'Uga Vagliagli in cartografia con l'indicazione della Vigna di Sessina


Ed ecco ora il Progetto Uga del Chianti Classico, già in fase avanzata di approvazione dai vari organi competenti. Detto che queste denominazioni territoriali si applicheranno per ora solo al vertice qualitativo della produzione e cioè ai Chianti Classico Gran Selezione (lasciando quindi a parte Riserva e Annata), occorre aggiungere che per arrivare alla definizione degli 11 territori si è dovuto procedere a un lungo lavoro di ricerca delle omogeneità di ciascuno in termini di storicità, notorietà e significatività (consistenza in volumi prodotti); e soprattutto di riconoscibilità enologica. Ma anche il fattore prettamente umano ha contato: cioè l’affiatamento delle comunità dei produttori, la loro memoria storica delle omogeneità territoriali, la volontà di riconoscersi in un progetto comune. Come pure fattori tecnici quali il microclima, il suolo, il range d’altitudine, l’orientamento delle vigne.

Naturalmente, i vini con l’Uga devono rappresentare l’eccellenza del territorio, anche per competere con i grandi vini internazionali nel mondo. Ma ecco le aree individuate e le Uga corrispondenti, che troveremo in etichetta nel prossimo futuro: San Casciano, Greve, Montefioralle, Lamole, Panzano, Radda, Gaiole, Castelnuovo Berardenga, Vagliagli, Castellina e San Donato in Poggio (che comprende i territori di Barberino Tavernelle e Poggibonsi).

 

C’è ancora, fra i non addetti ai lavori,  una certa confusione in Italia (Toscana a parte) e nel mondo sulle dizioni Chianti e Chianti Classico. Cerchiamo di chiarire le differenze essenziali. Il vino Chianti Docg viene prodotto in gran parte della Toscana, ma non nella zona geografica chiamata Chianti (8 comuni fra le province di Firenze e Siena), quella storica, delimitata già nel 1716, che dà vita ai vini Chianti Classico ed è associata al marchio del Gallo Nero. Negli uvaggi di ambedue i vini prevale il Sangiovese, ma nel Classico si possono aggiungere un 20% di altre uve a bacca rossa, nel Chianti il 30%; uve bianche vietate nel Classico, permesse (max 10%) nel Chianti. Le rese massime per ettaro sono inferiori nel Classico, il titolo alcolometrico minimo più alto (per la Gran Selezione, 13°). 

I Chianti sono immessi al consumo dal marzo successivo alla vendemmia e i Chianti Riserva devono avere almeno 24 mesi di invecchiamento; mentre per i Gallo Nero bisogna attendere ottobre per la versione normale, mentre nei 2 anni di invecchiamento la Riserva deve passare almeno 3 mesi di affinamento in bottiglia. La Gran Selezione Chianti Classico, poi, contempla 30 mesi di maturazione, di cui almeno 3 in bottiglia (non esiste la Gran Selezione per il Chianti normale).

 

Nel corso di una recente degustazione di 11 Chianti Classico Gran Selezione di varie annate (dal 2015 al 2018), uno per ciascuna delle Uga, si sono potute apprezzare affinità e differenze fra i diversi vini.

Vale la pena di citarli a mo’ di esempio, come in qualche modo rappresentativi delle loro zone vinicole (tra parentesi l’uvaggio).

Per l’Uga San Casciano: Belvedere Campoli – Conti Guicciardini, Il Tabernacolo 2015 (95% Sangiovese, 5% Merlot).

Per l’Uga Greve: Castello Vichiomaggio, Le Bolle 2016 (100% Sangiovese).

Per l’Uga Montefioralle: Castello di Verrazzano, Sassello 2015 (100% Sangiovese).

Per l’Uga Lamole: Lamole di Lamole, Vigneto di Campolungo 2016 (95% Sangiovese, 5% Cabernet sauvignon).

Per l’Uga Panzano: Fontodi, Vigna del Sorbo 2018 (100% Sangiovese).

Per l’Uga Radda: Castello di Albola, Santa Caterina 2017 (100% Sangiovese).

Per l’Uga Gaiole: Rocca di Montegrossi, San Marcellino 2016 (92% Sangiovese, 8% Pugnitello).

Per l’Uga Castelnuovo Berardenga: San Felice, Poggio Russo 2016 (100% Sangiovese).

Per l’Uga Vagliagli: Dievole, Vigna di Sessina 2016 (100% Sangiovese).

Per l’Uga Castellina: Castello di Fonterutoli 2018 (100% Sangiovese).

Per l’Uga San Donato in Poggio: Antinori, Badia a Passignano 2018 (100% Sangiovese).

 

Ed eccoci al giudizio soggettivo. Prima di tutto quello generale, espresso con uno slogan lapidario cui credo profondamente: Gran Selezione = Grandi Vini

Poi le preferenze. Al vertice 3, a pari merito. Costosi, forse. Ma valgono ampiamente la spesa.


 

Chianti Classico Gran Selezione Il Tabernacolo 2015,  Belvedere Campóli – Conti Guicciardini.

Unità geografica aggiuntiva: San Casciano. Terreno caratterizzato da alberese e altre sequenze calcalcareo-argillose, con pietrosità grossa e frequente, calcare elevato e ph (acidità) dei suoli superiore a 8.

Vigneto a 420 m. slm. Uve: 95% Sangiovese, 5% Merlot.

Matura in botti di rovere 30 mesi e si affina in bottiglia per altri sei mesi.

Colore: rosso rubino profondo. Al naso: violetta, ciliegia e ribes nero, erba, anice, infine cuoio. In bocca: secco, equilibrato, setoso, finale speziato e lungo. Abbinamenti: piccione ripieno, stufato di manzo o cinghiale, carne rossa alla griglia.

3mila bottiglie. Prezzo: 32-40 € la bottiglia.


Chianti Classico Gran Selezione Vigneto di Campolungo 2016, Lamole di Lamole

Unità geografica aggiuntiva: Lamole. Terreno caratterizzato da macigno e altre arenarie non calcaree, tessitura sabbiosa con pietrosità grossa e frequente. Calcare basso e ph dei suoli superiore a 8.

Vigneto a 550 m. slm. Uve: 95% Sangiovese, 5%Cabernet Sauvignon.

Inizia a maturare 6 mesi in acciaio, poi altri 30 in botti grandi da 30 hl.

Colore: Rosso rubino luminoso. Al naso: viola, frutta matura, cuoio, tabacco. In bocca: secco, energico, di
corpo, molto sapido, chiusura lunghissima. Abbinamenti: terrina di fagiano al tartufo nero, pappardelle al cinghiale, ribollita, capriolo in umido, stinco al ginepro, Pecorino.

20mila bottiglie. Prezzo. Sui 30 € la bottiglia.

 

Chianti Classico Gran Selezione Vigna di Sessina 2016, Dievole

Unità geografica aggiuntiva: Vagliagli. Il terreno ricco di scheletro  è caratterizzato anche da macigno, su tessitura sabbiosa e pietrosità frequente, con presenza di calcare bassa e acidità dei suoli non inferiore a 8.

Vigneto a 420 m. slm. Uve: 100% Sangiovese.

Matura 17 mesi in botti grandi di rovere francese (41 hl), più 12 mesi in bottiglia. 

Colore: rubino intenso con sfumature granate. Al naso: frutta rossa (mora in particolare), viola mammola, spezie fini. In bocca: tannini morbidi ma vibranti, ricco ed equilibrato, finale lungo,  persistente.
Abbinamenti: tagliatelle al ragù di lepre, risotto alle quaglie lardellate, filetto con salsa ai funghi porcini, stracotto di manzo.

9mila bottiglie. Prezzo: sui 40 € la bottiglia.


Info. Consorzio Vino Chianti Classico, via Sangallo 41, loc. Sambuca, Barberino Tavernelle (Firenze), tel. 055.8228522, www.chianticlassico.com .

 

mercoledì 29 settembre 2021

Doppio "PiacereDistillato": gustato in purezza o abbinato al cioccolato. Le grappe autoriali di Mirko Scarabello (Segnana) e i sorprendenti cioccolatini di Ernst Knam

 

Botti disposte secondo il sistema Solera per invecchiare la Grappa Segnana

Qualcuno ricorderà un vecchio film, Marcellino pane e vino (1955), che metteva insieme i due umili nutrimenti, solido e liquido; come del resto fa la Chiesa nella transustanziazione (per chi non avesse fatto il catechismo o non lo ricordasse più: il pane (l’ostia) e il vino “diventano” corpo e sangue di Cristo durante la messa).

Ma allora, lasciando stare l’afflato religioso e virando su quello godereccio, perché non favorire il matrimonio d'amore tra cioccolato e grappa? E infatti, sulle orme dell’abbinamento di altri distillati come rum, cognac ecc, anche la Grappa (che è una Igp, Indicazione geografica protetta spendibile solo in Italia

Alambicco
a vapore

in quanto denominazione tutelata) può esibire i suoi quarti di nobiltà sposandosi col cioccolato. Ma quale e trattato come? A svelarlo in una degustazione inusuale hanno provveduto i patron di una Grappa trentina, la Segnana, e lo chef-patron pasticciere tedesco, ma naturalizzato italiano (anzi milanese) Ernst Knam

PiacereDistillato era il titolo del confronto (senza scontro) che si è svolto pochi giorni fa nella Sala Gialla di Identità Golose Milano 2021, al MiCo. Marcello Lunelli, uno dei titolari del Gruppo omonimo (quello del famoso spumante Ferrari di Trento, di cui è parte anche Segnana) non si è limitato ad acquistare qualche tavoletta di cioccolato, più o meno fondente per abbinarlo alle “sue” grappe, ma ha chiesto a Ernst Knam di creare, con la massima libertà, dei cioccolati adatti al confronto con ciascuna di esse.

Come si è proceduto? Semplicemente abbinando sorsi di distillato alle creazioni di Knam. Parafrasando un vecchio film western, potremmo parlare (a degustazione avvenuta) delle Magnifiche 7 e dei Magnifici 7, di abbinamenti qualche volta discutibili ma sempre interessanti. E in generale sorprendenti quanto azzeccati.

Si è iniziato con una Grappa Segnana di Chardonnay 42° (foto a destra). Knam ha creato per questo distillato dei Cioccolatini con ganache (una crema morbida) al cioccolato fondente, Gorgonzola dolce e purea di mele. Acquavite piena, rotonda; dai profumi intensi di fiori e frutta bianca, mela, clorofilla, che se la giocano bene coi sentori di mela ma anche con gli accenni salati del Gorgonzola nei cioccolatini. Accostamento inedito, ma piuttosto piacevole.

Avanti, dopo aver sciacquato il palato con un sorso di latte, con una Segnana di Pinot nero, sempre a 42°, mordicchiandoci insieme dei Cioccolatini ripieni di una leggera ganache di lamponi freschi con profumo di vaniglia Tahiti. La grappa in bocca è rotonda, calda con richiami di frutti di bosco (più la mora che il lampone, in verità) e infine l’accostamento risulta particolarmente azzeccato.

Parentesi. A quale temperatura gustare le grappe al loro meglio? L’indicazione di Mirko Scarabello “grappamaker” della Segnana è la seguente: per le bianche giovani, una temperatura fresca, da 8 a 10°, per goderle al massimo; ma per valutarle a fondo, meglio fra i 14 e i 18°. Per le invecchiate, comunque sui 18-19°.

Torniamo al confronto: sale il livello e sale la difficoltà dell’abbinamento. Quale cioccolatino sposare alla Segnana Solera Collezione invecchiata 42°? Quello con aglio nero fermentato, risponde Knam! Pare una provocazione, ma, come spiega il pasticciere, il nero una volta fermentato cambia, diventa quasi una liquirizia speziata, solo con un lontano sentore del bulbo. E note speziate si ritrovano anche nell’ambrata, morbida e fine Segnana Solera (Solera designa il procedimento, inventato in Spagna, con cui si miscelano, estraendo parte del distillato a discesa dalle botti a catasta, nel corso di parecchi anni, acqueviti più giovani a quelle più vecchie), blend di vinacce trentine, in parte derivate dalle uve utilizzate per produrre gli spumanti classici Ferrari. 

Si passa alla Grappa Segnana Alto Rilievo Riserva 40°, invecchiata in botti che hanno precedentemente contenuto whisky (foto qui sotto a sinistra). E quali whisky! 

Quelli prodotti sull’isola di Islay (Ebridi scozzesi) e

precisamente Ardbeg e Laphroaig, torbati, salini, affumicati. Il risultato? Colore ambrato, aromi di foglia e frutta secca, in bocca morbida, armoniosa. Abbinamento con Cioccolatini alla ganache di cioccolato fondente 70% Pachiza Perù, grue (granella) di cacao sabbiato e pepe infuso al Bourbon. Giudizio? Poesia, anzi un’Ode Barbara carducciana!* Le ultime tre grappe (e il loro servizio) risultano sorprendenti per più di una ragione. La prima (cioè la 5ª di sette) è la Full Proof (piena gradazione) Segnana 20 anni che sviluppa 57,1 gradi alcolici. Matura per ben due decenni in botti di rovere. Il colore è ambrato; naso elegante con tenui note agrumate, cioccolatose e di caffè. Viene degustata con Cioccolatini con uvetta e Grappa Segnana Solera collezione, un abbinamento perfetto, ma anche, a sorpresa, con altri Cioccolatini, ripieni di una ganache caratterizzata da fegato alla veneta (dunque con cipolle) sfumato con la medesima grappa. Geniale.

La sesta grappa è…la medesima Full Proof, ma a piacere ridotta al momento di gradazione con l’aggiunta di acqua, grazie a un misurino. Ho scelto di portarla, con 8,9 ml di acqua, a 44 gradi alcolici. In queste modo tutte le sensazioni rilevate appena appena nelle versione a 57,1° si fanno più marcate, la grappa si acquieta, per dir così, smorzando l’inevitabile aggressività alcolica; si fa quasi paciosa. Bene anche l’abbinata con le Mini tavolette con croccante scoppiettante (ingrediente segreto), un cioccolatino concepito da Frau Knam, al secolo Alessandra Mion, veneziana, moglie di Ernst, che sta aprendo un nuovo locale di cioccolateria in via Anfossi 19, a Milano, di fronte alla pasticceria del consorte. 
Infine…infine si parte dall’ultima creazione di Ernst, la Sfera di cioccolato fondente Señorita Frau Knam 72%, farcito con cremoso cioccolato, grue di cacao sabbiato, mango, frutto della passione e pepe rosa (qui a destra). Un capolavoro di dessert dalle mille sensazioni. Non ultima, quella suscitata da qualche spruzzo di “Profumo” di Grappa Segnana Anniversario 50°, che avvolge come una bella donna la sfera di cioccolato.**

 


*Qualche verso della famosa "Ode barbara" Alle fonti del Clitumno. “Ancor dal monte, che di foschi ondeggia / frassini al vento mormoranti e lunghe / per l’aure odora fresco di silvestri salvie e timi…” 

O ancora: “Oscure intanto fumano le nubi /su l’Appennino: grande, austera, verde /da le montagne digradanti in cerchio,/ l’Umbria guarda.”

**Señorita Frau Knam è una varietà di cacao rara scovata da Knam in Perù dopo lunghe ricerche.

 

Info. Segnana, Distillatori dal 1860, via Ponte di Ravina 13, Trento, tel. 0461.972311, https://www.segnana.it .

K, Pasticceria Knam, via Anfossi 10, Milano, tel. 0255194448, https://www.eknam.com .

giovedì 23 settembre 2021

Inferno, Purgatorio o Paradiso? Ecco come averli tutt'e tre e goderne appieno, facendo anche del bene. Tre grandi Franciacorta di Villa, intitolati alle cantiche dantesche


Inferno, Purgatorio e Paradiso, i tre nuovi
Franciacorta Villa per far del bene ai ragazzi domenicani


Oh beati quei pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li angeli si manuca

(Dante Alighieri, Convivio, II 7)


Le pene dell’Inferno è toccato subire a chi ha voluto assaggiare appetizer come una sarda in saor o la “consistenza liquida e croccante” di risotto alla milanese, o la tartare di fassona piemontese con vinaigrette di senape e capperi. Il castigo era l’accostamento con lo speciale Franciacorta Pas Dosé 2015 denominato Inferno. Il demoniaco spumante classico si abbinava tuttavia deliziosamente alle tartine dell’aperitivo. 

Se il pas dosé è una bollicina che più secca non si può, l’Extra Brut (3 gr per litro di zucchero) accenna a una morbidezza latente, ed esce dal fiammeggiante Inferno per adattarsi al Purgatorio, una “punizione” morbida, un preannuncio di futuro migliore. Ed ecco così che l’antipasto da abbinare all’Extra Brut 2015 è costituito dalle acciughe, anzi dalle Alici nel paese delle meraviglie  (foto a destra), un piatto fantastico, da mangiare con gli occhi ancor prima che con la bocca: alici spellate e marinate con verdurine cotte separatamente e tagliate in varie fogge, poi condite ad una ad una con gelatine di pomodoro, il tutto “finito” con un sospiro di olio extravergine e aceto balsamico. Una creazione di Philippe Léveillé, chef bistellato (Michelin) del Miramonti l’Altro di Concesio (Brescia).

Infine…il primo piatto (foto qui sotto): Tagliatelle di pasta fresca al salmì di anatra selvatica. Anzi, anatre: moriglioni, fischioni, mestoloni, germani, alzavole, accuratissima e sapida preparazione curata dallo chef Andrea Marenzi, dell’Éla Osteria in Villa, ristorantino di carattere, che ha riaperto da poco i battenti nel

complesso delle cantine Villa  (via Villa 12, Monticelli Brusati, tel. 030.13878775, elaosteria.com). Paradiso dunque, come il Brut 2015 abbinato al piatto. 

Per la cronaca, nonostante le cantiche della Divina Commedia fossero finite, in tavola sono arrivati anche il secondo (una guancia di vitello con salsa al vino rosso e crosta croccante di mais, creazione di Lévaillé) abbinato al Gradoni Curtefranca Rosso 2015 e, come dessert, il famoso Gelato di crema Miramonti con cioccolata calda, sempre di Léveillé, accompagnato dall'accattivante Briolette Franciacorta Rosé Demi-Sec (cioè quasi dolce).

Ma, qualcuno potrebbe chiedersi, che cos’è questa sequela di spumanti infernalparadisiaci? Siamo più sul versante celeste che tra i fuochi demoniaci e infatti si tratta di una bella iniziativa benefica che i patron di Villa Franciacorta Roberta Bianchi, ceo, e il marito Paolo Pizziol, direttore della tenuta, hanno fortemente voluto per contribuire a sovvenzionare l’associazione Niños que esperan, guidata da Monica Mutti, una onlus che dal 2015 aiuta bambini e ragazzi bisognosi della Repubblica Dominicana, sotto l’aspetto della salute e quello scolastico. “Vogliamo sostenere concretamente i meno fortunati”, ha spiegato fra l’altro Roberta Bianchi, nel corso della serata di presentazione dell’iniziativa, “in particolare i giovani dell’orfanato dominicano cui si dedica la onlus. In questo modo si promuove l’indispensabile assistenza sanitaria e l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, insegnando loro un mestiere” (per saperne di più: ninosqueesperan.org).

Per raccogliere fondi i patron di Villa Franciacorta hanno pensato di creare un cofanetto di tre spumanti, tutti del millesimo 2015, tutti vinificati in barrique e a base di Chardonnay con una percentuale limitata di Pinot nero. La differenza fra i tre, intitolati alle cantiche della Divina Commedia (e con etichette di rame in rilievo, riproduzioni delle famose illustrazioni della Commedia disegnate da Gustave Doré)  sta soprattutto nel

Protagonisti della serata: da sinistra gli chef
Philippe Léveillé e Andrea Marenzi; e i titolari di
Villa, Roberta Bianchi e Paolo Pizziol.
dosaggio: nullo, appunto, per il Pas dosé, sui 3 gr per l’Extra Brut, di 5 gr per il brut. Si tratta di 150 cofanetti in legno ricoperti da un’immagine di Dante Alighieri, che contengono le tre bottiglie speciali, in vendita, presso la cantina, al prezzo di 200 € l’uno, e che naturalmente saranno devoluti alla onlus dei Niños que esperan. Vale la pena davvero di acquistare il cofanetto: si fa un’opera buona e si è ricompensati dall’ottima qualità delle bollicine.  

Info. Villa Franciacorta, via Villa 12, Monticelli Brusati (Brescia), tel. 030.652329, www.villafranciacorta.it .

 

venerdì 16 luglio 2021

Fysi, il nuovo vino "Piwi" dei Feudi di Romans. Orgoglio della famiglia Lorenzon, che riesce così a coniugare sostenibilità e sapidità

 

Grappoli di vitigni Piwi: Sauvignon Kretos (a sinistra) e Friulano Soreli

Pilzwiderstandfähige: no non è una parolaccia. “Semplicemente”  significa resistente ai funghi e si riferisce a nuovi incroci di viti per ottenere piante pressoché inattaccabili dai temibili oidio, peronospora e botrytis cinerea, in modo da limitare drasticamente o abolire l’uso non solo di vari prodotti chimici, ma anche del rame, forzosamente consentito anche in agricoltura biologica (ma che alla lunga, essendo un metallo pesante, rischia di contaminare le falde acquifere).

Invece i vitigni Piwi (acronimo di Pilzwiderstandfähige) sono stati concepiti apposta per essere naturalmente resistenti alle principali malattie funginee. Si tratta di incroci tra varietà di vitis vinifera europea e varietà americane e/o asiatiche.

A livello legislativo è sorto un problema. Questi vini, non essendo derivati dalla sola vitis vinifera, non possono valersi delle Do, le Denominazioni d’origine (in Italia, Doc e Docg). 

Recentemente però sono state riconosciute dall’Agenzia Ue Cpvo (che gestisce tutto il sistema delle varietà vegetali dei 27 Paesi)  quattro nuove varietà Piwi francesi come facenti parte della categoria vitis vinifera. E dunque la strada verso le Do è aperta. Per il momento questi vini non possono spingersi più in là della categoria Igt, Indicazione geografica tipica. Il che non sempre ha a che fare con la loro bontà organolettica, nonostante le regole siano più lasche. 

Anche in Italia i Piwi si stanno espandendo (in Europa sono all’avanguardia Germania e Austria), pur essendo ancora poco noti e diffusi. Le coltivazioni principali si trovano in Friuli, Veneto, Alto Adige e Lombardia. I nuovi vigneti hanno nomi inusuali: si va dal Bronner al Solaris, dal Gamaret al Regent, dal Cabernet Carbon al Muscaris.

Un’azienda vinicola che ha cominciato a puntare sui Piwi è I Feudi di Romans della famiglia Lorenzon, (Enzo, fondatore e presidente e i due figli Davide, enologo e Nicola, direttore commerciale), di San

Nicola e Davide Lorenzon brindano pieds dans
l'eau
dell'Isonzo col loro nuovo vino Fysi 
Canzian d’Isonzo (Gorizia). Nota finora per una serie di vini impeccabili della Doc Friuli Isonzo, quali il Sontium, bianco, o il Refosco dal peduncolo rosso, da agricoltura tradizionale, ha impiantato qualche anno fa un paio d’ettari di vigneti Piwi in regime di agricoltura biologica. Si chiamano Kretos, Rytos e Soreli i nuovi vitigni a dimora e sono la versione Piwi di Sauvignon (i primi due) e Friulano (il terzo). Allevati su un terreno caratterizzato da ghiaia, sabbia e argille nobili, col sistema Guyot, nella sottozona Rive di Giare, hanno dimostrato di sapersi difendere naturalmente dalle principali malattie, così che si è potuto ridurre al minimo i trattamenti e perciò anche l’impatto ambientale.

Le uve diraspate hanno subito una breve macerazione a freddo, sono state poi pressate e il mosto è stato chiarificato per decantazione naturale. Quindi si è proceduto con la fermentazione a temperatura controllata in tini d’acciaio. Al termine i tre vini sono stati lasciati sui lieviti a maturare per diversi mesi, con continue operazioni di bâtonnage (rimescolamento delle fecce fini con la massa del vino, per conferire maggiore intensità di profumi e sapore). Infine sono stati assemblati poco prima dell’imbottigliamento nella misura del 50% di Kretos, 35% di Rytos e 15% di Soreli.  Per dar luogo al Fysi (dal greco φύση, natura), bianco biologico, racchiuso in una bottiglia trasparente, circondata da una bella etichetta decorata con eleganti disegni ispirati alla flora che contorna la vigna.

Nel bicchiere, Fysi si presenta di un bel colore paglierino, con qualche timido riflesso verdolino. Al naso, sentori di biancospino, sfalci estivi, kiwi. In bocca, secco, con giusta corrispondenza naso/palato, fresco e sapido, intenso e piacevolmente persistente. Abbinamenti elettivi: tartine al salmone e mousse di avocado; grissini avvolti nel prosciutto di San Daniele; risotto con zucchine, i loro fiori e pomodoro; risotto di Marano (con telline, scampi e calamari); frittura minuta con rucola fritta; sogliole alla mugnaia; triglie al cartoccio.

Info. Fysi 2020, Vino biologico bianco, Venezia Giulia Igt. 10mila bottiglie. Prezzo: 12,50 € l’una (in vendita anche sul sito Internet). Prodotto da I Feudi di Romans – Az. Agricola Lorenzon, via Ca’ del Bosco 16, loc. Pieris, San Canzian d’Isonzo (Gorizia), tel. 0481.76445, www.ifeudidiromans.it

martedì 18 maggio 2021

Rosati / Italia Francia 2-2. E tutti contenti. Vini e spumanti rosé di qua e di là dalle Alpi. Dalla Borgogna alla Provenza, dalla Valtènesi all'Alto Adige



F
rancia batte Italia? No. Italia batte Francia? Neanche. La sfida fra vini rosati trans-cisalpini, per quanto avvincente, si concluderà senza vinti, solo vincitori. Abbiamo provato a mettere l'un contro l'altro 2 spumati, uno gallico, l'altro italico e due vini fermi, un provenzale e un gardesano. Ma ci sono tutti, pur diversamente, piaciuti. E molto. Ai lettori-bevitori l'ardua sentenza su quali siano i migliori. Per noi, questi e quelli pari sono: in goduria organolettica.


Quella crema di Borgogna


Nella patria del vino rosso storicamente più reputato al mondo, la Borgogna, non si producono solo famosi Pinot nero e Chardonnay fermi, ma anche uno spumante molto meno conosciuto dello Champagne fuori dalla Francia, ma a volte di non dissimile eccellenza. È il Crémant, definizione che designa, diremmo noi in Italia, uno spumante metodo classico o tradizionale (che poi è sempre la méthode champenoise). Il produttore Chartron et Trébuchet (un marchio storico, passato prima alla Maison François Martenot e da qualche tempo al gruppo Les Grands Chais de France) con sede a Mersault (nel cuore della Côte-d’Or), accanto ai vari Chablis, Corton, Puligny o Chassagne-Montrechet, Pouilly-Fuissé e Clos de Vougeot, elabora due Crémant molto interessanti a partire dallo Chardonnay per il bianco e dal Pinot nero per il rosé. Le uve base di quest’ultimo provengono da vigneti di proprietà della Côte Chalonnaise, da Epineuil e dal Beaujolais, dove si coltiva il Gamay, che in piccole percentuali rientra nella cuvée di questo Crémant, cui conferisce un tocco di morbidezza. 

La prima fermentazione dei vini-base avviene in serbatoi d’acciaio termoregolati a 16°, poi il vino viene messo in bottiglia assieme ai lieviti, dove per circa 24 mesi avviene la presa di spuma. L’atto finale del Crémant de Bourgogne rosé 2018 è la sboccatura, per separare i lieviti esausti dallo spumante e rabboccare con la liqueur d’expédition, operazione avvenuta a gennaio 2021.

Agli occhi si presenta con un elegante colore rosa pallido e un perlage (le bollicine che risalgono dal fondo) fine e regolare. Al naso, sentori di agrumi (pompelmo, lime) e piccoli frutti rossi (ribes). In bocca, secco, gentile, armonico e sapido allo stesso tempo, con richiami di frutta rossa come il lampone e la fragola. Eccellente rapporto qualità/prezzo.

Crémant de Bourgogne Pinot noir brut rosé 2018100mila bottiglie, 15 € l’una. 

Abbinamenti elettivi: cocktail di gamberetti; pôchouse (zuppetta di pesce d’acqua dolce con salsa al vino bianco); uovo en meurette (con una salsa al vino rosso, funghi, erbe aromatiche); lumache alla provenzale (con pomodoro ed erbe di Provenza); cappelle di funghi alla brace; trota ripiena.

Info. Il produttore: Chartron et Trébuchet (cantina e caveau), route départamentale 974, Meursault, tel. 0033.03.80217044, www.maisonfrancoismartenot.com/fr/marque/25/chartron-trebuchet


Il brut dell'altopiano


Pinot nero: in Italia, uno dei grandi produttori di questo vino è senza dubbio la Tenuta Hofstätter. Guidata da Martin Foradori Hofstätter, la casa vinicola di Termeno, in Alto Adige, produce 4 vini rossi di qualità crescente, il Meczan, la Riserva Mazon, il Barthenau Vigna S. Urbano e lo straordinario Ludwig Barth von Barthenau Roccolo. Tutti ricavati da uve di Pinot nero coltivate sull’altopiano di Mazzon (sopra il paese di Egna), nella tenuta Barthenau, dal nome del professore che nella seconda metà dell’800 decise di impiantare le barbatelle di Pinot borgognone nella sua tenuta. 

Ma all’eternamente insoddisfatto titolare odierno Martin Foradori non bastavano 4 grandi Pinot nero in cantina. Così, nel 2008, decise di puntare anche su uno spumante metodo classico. Una piccola parte delle uve della pregiatissima Vigna Roccolo, raccolte in anticipo sulle altre destinate ai vini fermi, fu dedicata alla produzione dell’unico spumante dell’azienda. Doveva quindi essere un prodotto “nobile”, poche bottiglie ma significative. Metodo classico, uve nere di base vinificate in bianco con poche ore di contatto con le bucce per ricavarne un accattivante colore rosato abbastanza intenso. 

Poi una lunghissima sosta in bottiglia (70 mesi), sui lieviti, a maturare ed acquisire preziosi sentori e fontanelle di minuscole bollicine, secondo l’elaborazione appunto del metodo classico.

Agli occhi, questo brut si presenta con bollicine fini e perlage continuo; bellissimo coloro rosa chiaretto con riflessi corallo. Al naso, profumi di garofano e piccoli frutti rossi (fragoline, ribes). In bocca: secco, fresco, con sentori fruttati corrispondenti a quelli olfattivi; armonico, anche sapido, lungo, di stoffa setosa e di gran carattere.

Barthenau Brut Rosé 2014 Tenuta Hofstätter, 1000 magnum (1,5 lt, in cassetta di legno), 75 € l’uno.

Abbinamenti elettivi: Culatello; foie gras; salmone affumicato e alla griglia; anatra all’arancia; filetto di luccioperca con speck; gamberoni alla griglia; brodetti dell’Adriatico.

Info. Il Produttore: Tenuta Hofstätter, piazza Municipio 7, Termeno (Bolzano), tel. 0471.860161, www.hofstatter.com


Lo charme della Provenza


Una terra che ha incantato artisti come Cézanne e Van Gogh, per le ampie distese di lavanda e piante aromatiche, per i borghi arroccati e il bellissimo mare. La Provenza, ben nota per la varietà dei suoi paesaggi tra Alpi e Mediterraneo, gli uliveti e i lussureggianti vigneti, è la patria del vino rosato francese.

A 13 km da Aix-en-Provence, proprio nel cuore della Provenza, e ai piedi dell’altopiano del Cengle (primo  gradone calcareo della maestosa montagna di Sainte-Victoire) ecco il Castello della Galinière, attorniato da 40 ha di vigneto. Il terreno è costituito da argilla sabbiosa, dal colore rossastro a causa della bauxite, che contiene ossido di ferro. Le vigne si trovano a un’altitudine media di 243 m., protette dai venti settentrionali dalla corniche del Cengle e aperte a meridione così da essere soleggiate tutto l’anno. La coltivazione è biologica.  

Se ne ricava fra l'altro il classico rosato Côtes de Provence Sainte-Victoire. Il vino della vendemmia 2020 è fatto con le uve Cinsault al 60%, Syrah al 20% e Rolle (che poi è il Vermentino) al 20%. In cantina, dopo la raccolta in campagna, i mosti più limpidi vengono tenuti da parte per produrre i rosati, attraverso la fermentazione
in serbatoi d’acciaio a bassa temperatura (fra i 14° e i 20°). Maturazione sulle fecce fini, sempre in acciaio per almeno tre mesi e un ulteriore breve periodo di affinamento in bottiglia. Il risultato? Un vino dal colore rosa pallido ma con vividi riflessi salmone; profumi freschi, lieve di rosa e più accentuato di agrume, dal lime al pompelmo. In bocca, delicato, fresco e fruttato, con una sua complessità ed eleganza, e sentori che richiamano l’anice. Bella beva estiva e non solo.

Sainte-Victoire, Côtes de Provence Aop, Château de la Galinière 202045mila bottiglie, 16-18 € l’una. 

Abbinamenti elettivi: ostriche; risotto ai frutti di mare; bourride (sorta di bouillabaisse a base di pesce bianco, con verdure, maionese, olio e crostini all’aglio); brandade (baccalà alla provenzale); paella de marisco (con molluschi e crostacei). 

Info. Il Produttore: Château de la Galinière, Châteauneuf-le-Rouge (cant. Trets, arrond. Aix-en-Provence), tel. 0033.04.42290984, www.chateaudelagaliniere.com


Quel senatore dell'800 che dà il nome al vino

Pompeo Gherardo Molmenti, ai più oggi sconosciuto, non è certo un carneade. Senatore del Regno d’Italia, sottosegretario di Stato per le antichità e le belle arti, storico e scrittore, era nato a Venezia nel 1852 (morì a Roma nel 1920). Nel 1885 sposò Amalia Brunati, che gli portò in dote una villa, a Moniga del Garda, dotata di terreni vitati. Si occupò quindi in quegli anni di vitivinicoltura e pensò di produrre un vino rosato alla moda provenzale: selezionò le uve, le mise a maturare in solaio, le pigiò di notte separando sveltamente le vinacce di uve Groppello dal mosto in fermentazione. Era nato il Chiaretto del Garda, il vino di una notte. Al senatore veneziano è dedicato uno dei più singolari rosati italiani. Il Molmenti Valtènesi (prestigiosa sottozona della Doc Riviera del Garda Classico), però, non è il “vino di una notte” dal colore di rosa tenue e delicato. Tutt’altro. Il suo produttore, Mattia Vezzola, dell’azienda agricola Costaripa, al tradizionale RosaMara, quello sì vino di una notte, a voluto affiancare un rosato di più ampia struttura, con un colore un poco più carico, più ampio e complesso del tranquillo fratello “minore”. Le uve rosse usate per la produzione sono le stesse, Groppello gentile, per circa il 50%, poi Marzemino (30), Sangiovese e Barbera (10 ciascuno) per il RosaMara 2019; 60% Groppello, 20% Marzemino e sempre 10% per ciascuno degli altri due vini per il Molmenti 2016. La tecnica di vinificazione, detta “a lacrima” inizialmente è la medesima: il mosto viene separato dalle parti solide dell’uva attraverso sgrondo statico (spontaneo), per gravità, estraendone solo un 50%. Non vi è macerazione e quindi il colore risulta più o meno rosato.

Finite le analogie cominciano le differenze. Il mosto del RosaMara fermenta e si evolve in barrique (botti da 228 litri) per 6 mesi, mentre il resto si sviluppa in acciaio. Il Molmenti, che nasce da una selezione di uve del vigneto che porta il medesimo nome, o comunque dal meglio di terreni di proprietà, fermenta e matura totalmente in vecchi tonneau (botti da 400 litri) per due anni e si affina poi in bottiglia per altri due, tanto che l’annata tuttora in commercio è la 2016. Così, il tenue colore rosato del RosaMara si accresce di accenti ramati e riflessi color pesca nel Molmenti, che tende, col tempo, al cerasuolo. I profumi aggraziati di rosa, peonia, biancospino e pesca del primo si fanno più complessi, con il melograno, il lampone, la fragola, l’essenza di rosa, le erbe aromatiche e un accenno di vaniglia, nel secondo. Fresco, piacevolmente sapido e fruttato il RosaMara, più strutturato e avvolgente il Molmenti, con un fruttato persistente e un finale lievemente ammandorlato: un vero fuoriclasse.

RosaMara Valtènesi 2019, 170mila bottiglie circa, 15 € l’una. 

Abbinamenti elettivi: gambero al vapore con insalatina di pesche (dello chef Sergio Mei); paccheri con sugo rosso di ricciola, carpione (pesce rarissimo, tipico del lago) ai ferri.

Molmenti Valtènesi 2016, 5mila bottiglie circa, 30 € l’una. 

Abbinamenti elettivi: raviolo con burrata e battuto di pomodoro crudo e basilico (dello chef Sergio Mei); risotto cozze, vongole e peperoni; pesce spada marinato agli agrumi; grigliata di carni bianche.

 

La Valtènesi è un fazzoletto di terra il cui profilo assomiglia un poco a quello di una Sardegna rovesciata. 124 kmq e 24.500 abitanti (l’isola sarda conta 24.000 kmq e oltre 1,6 milioni di abitanti), insiste

sulla zona occidentale del lago di Garda e comprende la Riviera dei limoni e la Riviera dei castelli. Terreni leggeri, di origine glaciale, Moniga del Garda è l’angolo più settentrionale al mondo ove vengono coltivati gli agrumi. Vi crescono anche cipressi, capperi, ulivi. E viti, che coprono un migliaio di ettari della Valtènesi (vitigno principe il Groppello, autoctono e praticamente concentrato solo in queste zone nel mondo, ricco di acidità e tannini). 
Il vino rosa in Valtènesi è una vocazione: 2/3 della produzione (circa 3 milioni di bottiglie in totale) appartiene a questa tipologia, esportata per oltre un terzo da 92 produttori.

 


Info. Il produttore: Costaripa di Mattia Vezzola, via della Costa 1/A, Moniga del Garda (Brescia), tel. 0365.502010, www.costaripa.it  

Il consorzio vinicolo: Consorzio Valtènesi, via Roma 4, Castello, Puegnago sul Garda (Brescia), tel. 0365.555060, www.consorziovaltenesi.it