sabato 19 dicembre 2020

Vino / I magnifici sette. Italiani. Più un fuoriclasse. Iberico. Con gli abbinamenti giusti, dall'antipasto al dessert. Per un Natale sereno. D'alticcio livello...

 


Vini per le feste, vini per i pranzi e le cene, da bere in compagnia… di noi stessi, almeno per ora, visto che la magica paroletta – lockdown – incombe. E aspettando Godot. Alias Vaccino. “Oggi non verrà, ma verrà domani”, come disse il ragazzo a Didi e Gogo, secondo Samule Beckett. Noi non ne dubitiamo.

E allora, come se nulla fosse, ecco i vini da abbinare a tartare e crudités, cacciucco e tortelli maremmani, costata al pepe verde e polenta al fagiano, crostacei e Gubana. I magnifici 7, italiani, e un hidalgo spagnolo, ritenuto il migliore del mondo nell'anno fuggente. Aspettando il miglior vaccino del mondo del 2021…Prosit.


Il fuoriclasse 


Arriba Rioja!

Castillo Ygay, Gran reserva Especial Rioja D.o.ca. 2010, Marqués de Murrieta

È spagnolo il vino più buono del mondo, nel 2020 che sta tramontando. Almeno secondo la classifica annuale di Wine Specitator, ritenuta da molti la bibbia del vino mondiale, che gli ha attribuito 96 punti su 100. La Rioja è la zona vinicola piò famosa della penisola iberica per i suoi rossi complessi e di lunga maturazione. Questo Castillo Ygay gran riserva speciale, vino di punta della bodega, è formato dalle ben note uve Tempranillo con una piccola quantità (15%) di Mazuelo; le prime maturano in botti di rovere americano, le secondo nella quercia francese. Questo lungo invecchiamento è normale per la Gran reserva especial. Al momento sono in vendita fra l’altro la gran riserva 2012 e la riserva 2016. La speciale viene prodotta solo in annate particolari, reputate cioè all’altezza. I grappoli sono stati selezionati in un vigneto di 40 ha. a 485 m. d’altitudine. Fermentazione separata in acciaio delle due uve per 11 giorni, con continui rimontaggi per favorire l’estrazione dei polifenoli e degli aromi, poi due anni nelle barrique americane e francesi. Imbottigliamento nel marzo 2015 e affinamento ulteriore in bottiglia. Se ne sono prodotte circa 133mila (compresi i grandi formati). 
Colore rosso granato; profumo di piccoli frutti rossi, come lampone e fragola, poi spezie: noce moscata, chiodi di garofano; infine cuoio, grafite. In bocca: equilibrato, gustoso e potente; tannini morbidi, grande equilibrio.

Il produttore raccomanda di decantare il vino 20’ prima di berlo e di servirlo a 14-16°. 

Abbinamenti: tartare di filetto di bovino Wagyu, merluzzo pil pil, formaggio al tartufo, brasato al Barolo, scottiglia.

Prezzo: 101,40 € la bottiglia.

Info. Marqués de Murrieta, N-232° km 402, Logrono, La Rioja, Spagna, tel. 0034.941.271380, www.marquesdemurrieta.com.

 

Antipasti e primi


Il rosa di Treviso

Prosecco Doc Treviso Rosé brut 2019, Ca’ di Rajo. 

La moda del rosato è arrivata anche nei pascoli fertili del Prosecco. E a quanto pare sta avendo successo. Parla (anzi scrive) uno a cui i rosati (ovviamente quelli buoni) sono sempre piaciuti. Intellettualmente parlando, però, contaminare l’uva Glera, protagonista del Prosecco, con uva rossa per ricavarne un rosé, può dar fastidio. Ma in pratica? Un ottimo esempio di Prosecco rosa è questo di Ca’ di Rajo, Doc Treviso, che “corregge” la Glera con un 10% di mosto di Pinot nero, per estrarne un colore che dal mix risulta di un rosa tenue ed elegante, e conferire qualche profumo in più. Il vino prende la spuma per tre mesi in autoclave (metodo Charmat lungo), che lo restituisce nel bicchiere facendone risaltare le bollicine fini, continue e persistenti. Al naso, fragoline  e altri piccoli frutti di bosco e un accenno di petalo di rosa. In bocca, secco ma non troppo (è un brut da 8 gr di residuo zuccherino), fine, di media struttura, armonico e beverino. 

Abbinamenti: verdure in pastella fritte, crudité ittiche (bene anche con ostriche e scamponi), formaggio Piave (fresco e mezzano). Da servire freddo (sugli 8°).

Prezzo: 9,20 € la bottiglia.

Info. Ca’ di Rajo, via del Carmine 2/2, San Polo di Piave (Treviso), tel. 0422.855885, www.cadirajo.it .

 

 

Il grillo della Santa

Rina Ianca, Grillo Viognier Sicilia Doc 2019, Santa Tresa.

Vuol dire sabbia bianca, rina ianca, omaggio alle spiagge del Ragusano, ove si trova l’azienda vitivinicola Santa Tresa. Un altro ossequio al territorio è rappresentato sull’etichetta con un motivo circolare che ricorda gli artistici tessuti normanni e in particolare il mantello regale di Ruggero II, fondatore di un Regno di Sicilia aperto a intellettuali e artisti, senza distinzione di etnia, lingua e religione. 
E il vino? 70% dell’autoctono Grillo, 30% dell’alloctono francese Viognier, è seguito con cura maniacale fin dai primi vagiti della vendemmia, con fermentazioni separate e riunione delle due varietà per l’affinamento sulle fecce nobili che dura oltre 4 mesi, e frequenti movimentazioni. Il matrimonio è riuscito, freschezza e mineralità del Grillo si compenetrano con l’intensità del Viognier. Colore paglierino, profumi agrumati ma anche di frutta bianca. Sapido in bocca, quasi nervoso ma con chiusura in “dolcezza” che ricorda la pesca-noce. Da servire sui 10, anche 12°. 

Abbinamenti: mortadella d’asino e salumi in genere, antipasti di mare, primi di pesce e verdure, crostacei.

Prezzo: 9,90-11,90 € su vari siti.

Info. Santa Tresa, contrada Santa Tresa, Vittoria (Ragusa), tel. 0932.1846555, www.santatresa.com .

 




Secondi


Il vino nell’acqua. E nell’anfora

S’Amfora, Petit verdot Maremma Igt 2019, Podere San Cristoforo

Qualcuno, circa 2000 anni fa attuò un’idea della Madonna: trasformare l’acqua in vino. Lorenzo Zonin più modestamente, ha avuto un’altra pensata: affinare il vino in acqua. O meglio, in mare, chiuso in un’anfora d’argilla. È nato così S’Amfora. 

Podere San Cristoforo è un’azienda vitivinicola della Maremma, fondata appunto da Lorenzo, nipote di Gianni Zonin, famoso produttore con la sua famiglia di vino in Veneto e molte parti d’Italia, nonché discusso banchiere per tanti anni. Lorenzo è uscito dal Gruppo Zonin da parecchio tempo e ha aperto una sua azienda in Maremma. È lui stesso wine maker ma si avvale della collaborazione dell’enologo Niccolò Matteucci. Podere San Cristoforo conta 15 ha di vigneti, principalmente a Sangiovese; seguono Petit Verdot (2 ha.), Syrah, Vermentino, Trebbiano e Malvasia. La coltivazione è biodinamica. 

Di anfore vinarie se ne sono sempre ritrovate lungo le vie commerciali del Mediterraneo, ma mentre quelle rinvenute in terra non contenevano più liquido, quelle trovate sui fondi marini invece sì. Di qui (semplificando) l’idea di affinare il vino in mare. Più facile a dirsi che a farsi. Ci sono voluti 4 anni di studi ed esperimenti ma alla fine, grazie al metodo S’Amfora (in via di brevetto mondiale, perciò ancora segreto) ci sono riusciti. 
Ma quale vino è stato scelto? Quello di un vitigno difficile, che in Francia, nel Bordolese, viene aggiunto ai classici merlot e cabernet del tradizionale “taglio”, in bassissime percentuali e da pochi produttori: il Petit verdot.

Nell’azienda il Petit verdot è un po’ il vino bandiera, tanto che ne inalbera lo stesso nome, San Cristoforo. Il mosto fermenta per 7 giorni in serbatoi d’acciaio piccoli, poi passa in barrique usate francesi e vi trascorre 9 mesi, sviluppando la fermentazione malolattica. Il procedimento per il Petit Verdot in anfora è simile: qualche mese in meno in barrique, solo per affinare i tannini, poi travaso nelle anfore artigianali da 750 ml, tappatura manuale con chiusura ermetica a ceralacca e sigillo di autenticità. Le anfore sono state immerse nelle acque della costa toscana, di fronte all’Isola d’Elba, a circa 15 metri di profondità e a una temperatura media di 14° per 9 mesi. Qui il vino rosso si è affinato acquisendo note più mature e rotonde, rispetto al corrispondente vino in bottiglia, caratterizzato da tannini sostenuti e sentori speziati. 

Sono 600 le anfore quasi incrostate dalla natura e cioè da conchiglie e piccole alghe, disponibili all’acquisto da inizio dicembre. 

Abbinamenti: pasta con ragù alla bolognese, cacciucco, manzo alla borgognona, bistecca alla fiorentina.

Prezzo: 200 € l’anfora  (in bottiglia, annata 2018, 34 €)

Info. Podere San Cristoforo, via Forni, Fraz. Bagno, Gavorrano (Grosseto), tel. 0577.907136, www.poderesancristoforo.it .

 

Cannolicchio biologico

Solenida, Costa Toscana Igt 2015, Podernovo-Tenute Lunelli

Una famiglia di molluschi bivalvi, i cannolicchi, nome scientifico Solenidae, ha dato il nome al vino. Come mai questo Sangiovese in purezza della costa toscana ha assunto questo appellativo? Secondo i Lunelli, proprietari dell’azienda Podernovo, tutta la zona in epoca pliocenica (3 miliardi d’anni fa) era coperta dal mare, cosicché ancor oggi i terreni – limosi e argillosi – sono ricchi di residui fossili proprio come la conchiglia delle Solenidae. Al Podernovo tutta l’agricoltura è biologica, compresa quindi la coltivazione del Sangiovese in purezza che dà vita al vino. 

Le viti si avvalgono della vicinanza alla costa (meno di 30 km) o meglio della brezza marina costante che mantiene asciutti gli acini in autunno e rinfresca il clima d’estate. Grazie anche alla collaborazione con l’enologo consulente Luca D’Attoma qui si sono inventati un metodo innovativo chiamato Animavitis, che permette di vendemmiare per microzone separatamente, selezionando grappoli piccoli dagli acini “concentrati”. Con una resa di 50 q.li per ha., l’uva subisce una premacerazione a freddo per 36 ore, poi svina in acciaio per tre settimane. Il 10% della massa vinosa macera però in anfore di terracotta per circa tre mesi. Seguone la maturazione in botti e barili di rovere francese o di Slavonia per due anni e l’affinamento in bottiglia per altri due. 
Colore rubino carico, gran spettro olfattivo, dall’amarena alla prugna, dalla mora alla liquirizia. In bocca, gran carattere, quasi solenne, lungo, elegante e persistente.

Abbinamenti: salumi di cinta senese, tortelli maremmani, pappardelle al sugo di cinghiale, tagliata di chianina.

Prezzo: 36 €.

Info. Tenuta Podernovo, via Podernuovo 13, Terricciola (Pisa), tel. 0587.655173, www.tenutelunelli.it . 



Alle api piace la Selezione

Chianti Classico Docg Gran Selezione 2016, Castello di Meleto

Le api volano sul Castello di Meleto e voleranno sempre di più. Nella primavera scorsa erano arrivate 25 nuove famiglie dell’industrioso insetto grazie alla loro “adozione” da parte di altrettanti consumatori sensibili al tema ambientale, che in cambio riceveranno il miele (biologico) prodotto. In tutto sono 40 arnie con oltre 600mila esemplari. E a gennaio 2021 verrà inaugurato il Parco delle api, 1,5 ettari di alberi e fiori dedicati sia agli insettini sia a bambini (e adulti) come luogo didattico da raccontare. Le arnie saranno collocate sotto le fronde dei tigli e degli alberi di Giuda (o silicastri), a fianco di arbusti odorosi come rosmarino, borragine, elicriso e ginestrino. 

Ma il vino? C’è anche e soprattutto quello, al Castello di Meleto, un maniero del Duecento perfettamente conservato e restaurato, con camere e suite a disposizione, circondato da mille ettari di boschi e vigneti che poggiano su una collina di Gaiole in Chianti. Ma ci sono anche gli ulivi, che danno vita a un olio extravergine di pregio (bio) e un allevamento allo stato semibrado dei maialini di cinta senese. 

160 gli ettari dedicati alla viticoltura, con cinque unità poderali dalle caratteristiche uniche, prima fra tutte Meleto. Il Chianti Classico Gran Selezione nasce da uve selezionatissime di due di queste aree, San Piero (un terreno ricco di scheletro) e Carsi (terreno caldo e clima fresco grazie alla vicinanza col bosco), dove le concimazioni sono fatte solo con il compost, materiale vegetale decomposto degli stessi appezzamenti. E dal 2021 tutto sarà biologico certificato.

È un Sangiovese in purezza, le cui uve, dopo una doppia selezione che permette di ridurre l’uso di anidride solforosa, trasformate in mosto fermentano in acciaio per  circa due settimane, con una successiva macerazione prolungata. Poi il vino è stato trasferito in barrique per la fermentazione malolattica, per maturare quindi sempre in barrique usate (secondo e terzo passaggio) per 27 mesi. Ancora sei mesi in bottiglia e il vino è finalmente pronto. Per il consumo o per un lungo e proficuo affinamento in cantina.

Si presenta con un bel colore rosso tendente alla porpora. Profuma di frutta rossa matura (ciliegia, mora), con sfumature speziate e tostate (tabacco, caffè). In bocca, fresco, con tannino ben estratto e finale lungo e balsamico. Una sciccheria enologica, prodotta in sole 12mila bottiglie.

Abbinamenti: zuppa alla frantoiana, pappardelle con cipolla rossa, uova e tartufo, stinco al ginepro, costata di vitellone al pepe verde.

Prezzo: 45 € la bottiglia.

Info. Castello di Meleto, loc. Ponte di Meleto, Gaiole in Chianti (Siena), tel. 0577.749217,  www.castellodimeleto.it .

 

Bacco, tabacco e cacao

Amarone della Valpolicella Classico Docg bio 2016, Domini Veneti

“Tabacco e cacao, ciliegia sotto spirito e confettura di frutti di bosco, fiori e frutta secca: questi sentori, raggruppati in un bouquet complesso ed elegante”, sostiene Daniele Accordini, enologo e dg di Cantina Valpolicella Negrar, “non si devono alla vinificazione ma alla condizione di maturazione delle uve nei vigneti biologici di collina. Basse rese per ettaro, forte escursione termica fra notte e giorno ne fanno un vino aromatico, complesso”.

La disamina continua con il colore: rosso concentrato ma brillante, e le note gustative: setoso, equilibrato, più elegante che potente, con un finale di mandorla dolce.
Annata non facile quella del 2016, ma grazie alla maggiore insolazione e ventilazione della collina rispetto al fondovalle si sono scongiurate le umidità eccessive. Dopo la vendemmia manuale in cassette e la messa a riposo nei fruttai per l’appassimento dei grappoli (90 giorni), l’uva ha perso circa il 35% di peso concentrando sostanze e aromi. Sono seguiti la pigiatura soffice e il protocollo di fermentazione biologico di 25 giorni, poi l'affinamento in botte grande per 24 mesi.

Abbinamenti: bigoli con ragù di anitra, pastissada de caval, polenta, sopressa e monte (formaggio Monte Veronese), polenta e fagiano, pernice al forno.

Prezzo: 29 € sul sito anziché 38 (-24%).

Info. Domini Veneti è una linea della Cantina Valpolicella Negrar, via Ca’ Salgari 2, Negrar (Verona), tel. 045.2595925, www.dominiveneti.it .

 



Terrine e dessert 


Verduzzo, ghiaccio, foie gras e Gubana

Verdàc Glaciât, Verduzzo friulano Venezia Giulia Igt 2009, Collavini

Il colore è giallo dorato tendente all’ambra. E già così indica che ci si trova davanti a un vino o ossidato oppure, probabilmente…straordinario. È questo secondo il caso del Verdàc Glaciât, che già nel nome dialettale richiama le uve di provenienza (Verduzzo) e la ghiacciatura subita dagli acini. Non è propriamente quello che i tedeschi chiamano Eiswein, perché questo subisce una congelatura naturale in pianta, a una temperatura minore di -7°. Qui si tratta più propriamente di crioestrazione. Siamo in Friuli-Venezia Giulia. I grappoli ben maturi di Verduzzo vengono colti dai vignaioli di Collavini in un podere di Nimis, frazione di Ramandolo, di solito a fine ottobre. Le cassette vengono portate nella fruttaia coibentata e l’uva viene immessa in frigo a bassa temperatura (sui – 18°) a gelare per tre giorni. Ma a che serve questo procedimento? È una sorta di appassimento, durante il quale gli zuccheri contenuti negli acini si concentrano perché l’acqua si ghiaccia. Inoltre, se tutto va bene (ed è andato bene nell’annata 2009) si sviluppa prima in pianta e in parte anche nella fruttaia la botrytis cinerea, fungo pericoloso in genere per la salute dell’uva ma che in questo caso si sviluppa in forma di muffa nobile, che fra l’altro lascia un segno 
organolettico particolare, una sorta di gusto dolce-non dolce, che rende i vini muffati adatti ad accompagnare anche particolari cibi salati. Dopo i tre giorni di congelamento gli acini vengono pressati con torchio manuale ottenendo un mosto viscoso e dolce. Viene quindi fatto fermentare lentamente (tre mesi) in vecchie barrique francesi, nelle quali continuerà a maturare per oltre tre anni. Poi il vino è pronto, ma si può affinare ancora lungamente in bottiglia, come è il caso di questo 2009, dai profumi intensi che spaziano dalla vaniglia al miele di castagno, dall’uvetta passa ai fichi secchi. Sapore dolce-non dolce, morbido ma sostenuto da tannini pur levigati e finale speziato. Lunghissimo. 
Abbinamenti: Pâté di selvaggina, foie gras, formaggi erboranti; fra i dolci, la tipica Gubana, ricco e natalizio.

Prezzo: 45 € la bottiglia (0,5 lt).

Info. Collavini, via della Ribolla Gialla 2, Corno di Rosazzo (Udine), tel. 0432.753222, www.collavini.it .

 

venerdì 30 ottobre 2020

I rimpianti del lockdown e il futuro del Chianti Classico. Assaggiando i vini "base" 2018. Ottimi senza Riserva


Vigne nel Chianti Classico


"Aggiungi un produttore a tavola": è lo slogan con cui i produttori del Gallo nero (alias Chianti Classico) speravano di offrire una serata diversa in molti ristoranti milanesi. Così per esempio il 3 novembre Chic’n Quick, la Trattoria moderna di Claudio Sadler avrebbe proposto: Torta di baccalà con
misticanza, salame toscano e uovo sodo; Minestra di cardi, carciofi, fagioli, cavolo nero e pane vecchio al rosmarino; Gnudi (grandi gnocchi) fiorentini al ragù di fagianella e spugnole; Arista di maiale nero allo spiedo con finocchi al Vernelli; e Zuccotto fiorentino. 
In abbinamento, tre vini Chianti Classico Docg: il Querciabella 2017, la Riserva Sergioveto 2015 di Rocca delle Macie e la Gran Selezione Ottantuno 2016 di Luiano. Cena al prezzo di 60 €. Mica male no? Già, se non fosse per il maledetto virus che ha imposto il lockdown serale ai pubblici esercizi. Quindi, sospesa questa cena e le altre in programma, sempre a Milano nei giorni successivi, Al pont de ferr, Toscanino, Sadler ristorante, Cantina di Manuela… 
Que reste-t-il de nos amours? La speranza nel futuro, malgré tout, e la constatazione che molti consorzi e produttori di vino ce la mettono tutta a programmarlo migliore, mirando alla qualità.  È il caso del Consorzio del Chianti Classico, che ha presentato una decina di giorni fa, a Milano, un progetto innovativo di valorizzazione del territorio o meglio della sua conoscenza, Chianti classico a colpo d'occhioImmaginiamo di essere in un’enoteca milanese o meglio ancora nella zona toscana, a sorseggiare un bicchiere di quel vino e di volerne saperne di più sul vino stesso, il suo produttore, il territorio ove si trovano le vigne, magari il terreno su cui sono coltivate, il microclima…Tutto questo e altro sarà possibile ritrovarlo sul proprio tablet o smartphone, riuscendo a mettere in rapporto certe sensazioni organolettiche con le informazioni relative al terroir specifico di ogni vino/vigna. 
Alessandro Masnaghetti (foto qui a fianco), degustatore, collaboratore un tempo di Veronelli e ormai soprattutto “cartografo del vino” (Wine Spectator l’ha soprannominato Map Man) ha progettato e in parte già attuato questo progetto, che una volta completato permetterà di immergersi virtualmente nel paesaggio dei vari vigneti e delle loro colline, attraverso immagini e mappe in 3D. 
Paesaggio che significa anche borghi e vallate, terreni visti da vicino e boschi
circostanti, con vedute a 360° e zummate ravvicinate.
 “Il come è fatto un vino”, sostiene Giovanni Manetti (foto sotto a destra), presidente del Consorzio, “sta cedendo sempre più il passo al dove lo si fa, in quale contesto paesaggistico, territoriale, climatico”. Dietro al progetto under construction c’è la decennale collaborazione fra Masnaghetti e il Gallo nero, concretizzata già nelle mappe comunali dei vigneti, pubblicate nella collana I Cru di Enogea e poi nella mappa generale dell’intera Docg e la sua versione in rilievo, che ormai si trovano in varie enoteche, ristoranti e cantine, in Toscana e nel mondo. Che cosa resta da aggiungere a queste mappe-vedute-paesaggi interattivi? Testi (già in parte scritti) e approfondimenti cartografici, che affiancheranno le immagini. Tutto da gustare, ma meglio se sul posto e davanti a un bicchiere del rosso italiano più noto al mondo. 
Ma quale rapporto c’è tra un Chianti Classico e il suo terroir, quanto quest’ultimo marca le eventuali differenze organolettiche tra due vini della stessa annata e tipologia e di territori magari siti nello stesso comune o a pochi km di distanza? 
La degustazione guidata da Masnaghetti al Centro filologico milanese – nell’ambito della presentazione del progetto - di 10 Chianti Classico di comuni diversi, anche se magari confinanti, o addirittura dello stesso comune e di annate prevalentemente del 2018 ha messo in luce le differenze organolettiche suscitate (anche) da terreni pur vicini, ma di diversa composizione. Poi, certo, la formazione del vino (da Sangiovese in purezza o in connubio minoritario con altri vitigni a bacca rossa, massimo per il 20%), e l’uso dei contenitori di maturazione e affinamento (dal cemento alle botti di rovere grandi o piccole) hanno la loro influenza. 
Ho cercato successivamente di confrontare meglio i dati sulla composizione dei terreni che danno origine ad alcuni vini prodotti da aziende diverse nel medesimo comune, come Castello di Ama e Ricasoli a Gaiole in Chianti; e Villa Cerna-Cecchi e Castagnoli a Castellina in Chianti (comuni della zona meridionale del Chianti Classico, il primo a est il secondo a ovest-sud). Ma le differenze organolettiche seriamente percepibili da chi non sia un superesperto, da mettere poi in rapporto con i terroir specifici, appaiono minime, laddove invece la composizione e l’iter di maturazione 
differiscono in grado maggiore. Si prendano come unico esempio i due vini “base” appunto di due aziende dello stesso comune di Gaiole in Chianti, che distano 12 km l’una dall’altra, Castello di Ama e Ricasoli. Sono, rispettivamente, l’Ama 2018 e il Brolio 2018. 
Il primo, Ama (21 € la bottiglia),  è composto al 95% da Sangiovese e 5% Merlot. Matura in piccole botti (barrique, da 225 lt) usate, per un anno o poco più prima dell’imbottigliamento.
Nel Brolio di Ricasoli (13,50 € la bottiglia) il Sangiovese è l’80%, il Merlot aumenta al 15% e si aggiunge un 5% di Cabernet sauvignon. La maturazione ha luogo in tonneau (500-700 lt) usate per circa 9 mesi. Quindi: diversa percentuale e tipo di uve (anche se ovviamente prevale il Sangiovese), botti di capienze diverse, durata differente della maturazione nel legno.
E i terreni?
- Le uve per il Chianti Classico Ama vengono colte da tutti i vigneti aziendali più giovani (sui
15 anni mediamente), che per il resto danno vita a vari vini-cru. I terreni variano: sono calcarei con scisti argillosi o della stessa tipologia ma più sassosi, o con presenza consistente di scheletro, magari più argillosi in basso in una stessa vigna e maggiormente calcareo-sassosi in alto.
- Le uve per il Brolio di Ricasoli vengono da terreni anche molto diversi e di differenti altitudini, ricchi di scheletro (si tratta della frazione minerale di terreno composta dai frammenti più grossolani, di diametro superiore ai 2 mm).
Finalmente degustiamo i due vini. Ambedue di un bel rosso rubino; ambedue al naso fruttati (piccoli frutti rossi, tra la ciliegia e il lampone), con qualche sentore di iris e viola mammola; il sapore è asciutto, fruttato, con tannini piuttosto fini ed eleganti, di buona armonia. Più croccante (cioè con un frutto meno maturo, ma più spiccato, più “masticabile”) l’Ama, con un fruttato più gentile e forse più debole il Brolio.
Cosa concluderne? Magari che non è affatto facile distinguere all'assaggio un Chianti Classico base della medesima annata da un altro. Mentre a posteriori, prima degustando e poi avendo le informazioni, si possono forse meglio cogliere certe sfumature, poco percepibili alla cieca. L’assaggio del vino in fondo non è mera degustazione, cieca e "ignorante", anzi, senza lasciarsi fuorviare dallo storytelling del marketing, è conoscenza vera, fascino (non semplicemente glamour), allegria, convivialità.Ma certo il
lavoro di Masnaghetti e del Consorzio, orientato nonostante i forse inevitabili tecnicismi a un pubblico vasto di appassionati del vino, è meritorio, interessante e ben sviluppato. Vedremo gli esiti finali. 
E se son rose, anzi giaggioli, fioriranno.



Info. Consorzio vino Chianti Classico, loc. Sambuca, Tavernelle Val di Pesa, tel. 055.82285, www.chianticlassico.com. Castello di Ama, loc. Ama, fraz. Lecchi in Chianti, Gaiole in Chianti (Siena), tel. 0577.746069, www.castellodiama.com. Ricasoli, loc. Madonna a Brolio, Gaiole in Chianti (Siena), tel. 0577.7301, Ricasoli.com

La cartina del Chianti, tra Firenze e Siena, dove si produce il Chianti Classico Docg. 
 

mercoledì 21 ottobre 2020

Foliage e vino: l'Oltrepò è primo

Vigne di Quaquarini a Canneto Pavese, in autunno inoltrato. 


A sud del Po in provincia di Pavia. L’Oltrepò è una sorta di cuneo lombardo che s’infila fra l’Emilia e il Piemonte e la cui punta meridionale si protende verso la vicina Liguria. Colline e valli (la principale: Staffora; quelle del vino: Versa, Coppa e Scuropasso). Monti (Lesima il più alto: 1724 m) e torrenti. Castelli e riserve naturali. Un territorio di una bellezza spesso struggente. In particolare in autunno.

È la stagione del foliage e l’Oltrepò non vi si sottrae lungo la fascia appenninica, soprattutto grazie al cerro, albero della famiglia delle fagaceae (querce), dalle caduche foglie giallo-verdi. Nel borgo  di Val di Nizza (412 metri s.l.m.) il panorama è caratterizzato dai boschi multicolori di castagno, frassino e rovere. Se ne godono suggestivi paesaggi in particolare dai Castelli di Oramala e di Cesarasco, già dei marchesi Malaspina.

Undici km più a nord, Montesegale (296 abitanti e 326 m d’altitudine) è dominato dall’omonimo grande castello, dal cui piazzale sottostante si può partire verso le frazioni di Sanguignano, Zuccarello e Bregne, per ammirare lungo la strada i boschi dai colori ormai giallo-verde e rosso infuocato.

Ma l’Oltrepò, anche in questa stagione che ormai ha visto completare la vendemmia quasi dappertutto, è soprattutto vigne. Vigne e ancora vigne, che restituiscono ancora per un po’ la bellezza rasserenante delle loro foglie e di qualche grappolo lasciato ad appassire in pianta. Stanno per dar vita, dopo adeguata spremitura degli acini e permanenza in cantina, a vini Doc, Docg e Igt. Al vertice, gli spumanti metodo classico, Docg; a seguire 7 Doc (Bonarda, Buttafuoco, Casteggio, Oltrepò pavese rosso, rosato o bianco, Pinot grigio, Pinot nero, Sangue di Giuda; e una Igp, Provincia di Pavia (da non sottovalutare: si possono trovare buone bottiglie anche sotto questa denominazione, per esempio la Croatina, che poi è anche l’uva-base del Bonarda).

Il MoncalVini ha colto ultimamente l’occasione di provare molte tipologie di diverse annate in due riprese, grazie al Consorzio di tutela dei vini dell’Oltrepò pavese, che sta cercando, in maniera pluralistica, di far conoscere meglio produttori, vigneti e vini: a fine primavera e a inizio autunno, con degustazioni presso i vignaioli e in occasione della Milano Wine Week.

I vini oltrepadani sono tanti e tali che si potrebbero utilizzare non per uno ma per più pranzi da gourmet, cambiandoli ad ogni portata e rimanendone comunque soddisfatti. Anche perché se la produzione è ampia in quantità (oltre 71 milioni di bottiglie nel 2019 - il 65% dei vini lombardi -, da 1700 aziende vitivinicole, in maggioranza medio-piccole, su 13.500 ettari di vigneti), la qualità è molto cresciuta negli ultimi anni. 

Quali sono le uve che caratterizzano la qualità dei vini d’Oltrepò? Diremmo soprattutto il Pinot nero, nelle due versioni principali (cloni differenti) della spumantizzazione con metodo classico e di rosso fermo. Poi la Croatina, che non solo dà vita alla Bonarda, ma in connubio con altre uve come Barbera e Uva rara ai rossi Oltrepò tout court. In crescita qualitativa anche il Riesling renano (e per fortuna in decrescita il mediocre Riesling italico), per il quale alcuni produttori tentano finalmente di emulare, prolungandone la maturazione, i grandi della Mosella e d’Alsazia.

Ma ecco il rendiconto, seguendo la successione di un ideale pranzo (anche se molti vini possono essere abbinati a diverse “sezioni” del pasto), dall’antipasto al dessert.


Iniziamo con 3 spumanti classici, tutti a base di Pinot nero in purezza (ma se ne fanno di ottimi anche con la classica cuvée che contempla pure lo Chardonnay).


Finigeto è un’azienda vinicola di recente costituzione (2005), che si trova a Montalto Pavese e che coltiva i vigneti tipici della zona su 42 ettari di collina (a circa 300 mt s.l.m.). Per la loro produzione utilizzano solo il 30% dell’uva, la migliore, il resto viene venduto. Producono così fra le 80 e le 100mila bottiglie all’anno in 12 tipologie.  Il vino di punta (assieme al Nirè, 100% Pinot nero fermo) è lo spumante classico brut2005”, così chiamato per celebrare l’anno di fondazione dell’azienda da parte
dell’allora 19enne e tuttora proprietario Aldo Dallavalle. È una cuvée 100% Pinot nero, non millesimato in etichetta ma solo di fatto (l’ultima è il 2016). Da vitigni esposti a settentrione in modo da meglio sviluppare le caratteristiche di freschezza e complessità. Dopo la vendemmia manuale, la pressatura per estrarre il mosto fiore e la prima fermentazione, in primavera il vino viene imbottigliato per la presa di spuma e maturazione sui lieviti, che durano 30 mesi. Infine la sboccatura, il rabbocco con dosaggio di 8 gr per litro e la definitiva tappatura.

Perlage fine, abbastanza persistente su un colore paglierino intenso; al naso, classici sentori di fiori bianchi ma anche di crosta di pane e noci. Giovane, fresco, ma già abbastanza elegante, con sentori aromatici e note finali minerali. 

Abbinamenti: Culatello e prosciutto di San Daniele fra gli antipasti; risotto ai porcini, tegamaccio di pesce di lago.

Prezzo: sui 20 € la bottiglia.

Info. Finigeto, loc. Cella 27, Montalto Pavese, tel. 3287095347, www.finigeto.com .

 

Le Cantine Giorgi di Canneto Pavese hanno origine plurisecolare, essendo nate nel 1870. Oggi è Antonio Giorgi a coordinare le operazioni aziendali con l’apporto essenziale dei figli Fabiano (titolare) ed Eleonora. La produzione contempla varie linee, per un totale di circa 1,3 milioni di bottiglie annue: si va dagli spumanti classici ai bianchi, dai rossi ai dolci, ma ci sono anche “Le vigne storiche” e i “Grandi cru e barricati”…Per non dire della linea intitolata a Gerry Scotti, dai nomi dialettali (Pumgranin, Mesdì…). Eccellente il Pinot nero metodo classico brut “1870”, annata 2016, da uve selezionate in zone particolarmente vocate, nei comuni di Montecalvo, S. Maria della Versa e Rocca De’ Giorgi, in terreni calcareo-argillosi fra i 250 e i 400 mt s.l.m. Dopo la vinificazione, in primavera si imbottiglia: la presa di spuma e la maturazione durano poi per tre anni. Quindi sboccatura e affinamento in bottiglia per almeno sei mesi. Il colore è paglierino con qualche vividezza dorata, il perlage fine e persistente. Al naso, bouquet ampio, fruttato (albicocca, nespola), note balsamiche (menta, salvia). In bocca: secco con bella spalla acida, strutturato, leggera morbidezza, nerbo vivido, ricco.

Abbinamenti: aperitivo ricco, quiche con cappesante, risotto ai filetti di persico, trota alla mugnaia

Prezzo: sui 19 € la bottiglia.

Info: Giorgi, fraz. Campo Noce 39, Canneto Pavese, tel. 0385.262151, www.giorgi-wines.it .

 

Ballabio è un’azienda centenaria, essendo di fatto nata agli inizi del Novecento grazie ad Angelo Ballabio, che operò in tutti modi - per un periodo anche in società con Pietro Riccadonna (che poi passò in Piemonte) - al fine di creare un proprio spumante classico da sole uve Pinot nero. Oggi è guidata dai fratelli e cugini Nevelli (e loro figli), che continuano l’opera del fondatore con una volontà di specializzazione estrema nella produzione di spumanti metodo classico a base esclusiva di Pinot nero.

Solo quattro spumanti riuniti sotto  la denominazione di Collezione Farfalla (dal nome del vigneto che, nella versione catastale, ricorda le due ali del lepidottero). Quindi, Zero Dosage, Extra brut, Rosé e il Cave Privée, un 2011 premiato come “Bollicine dell’anno 2021” dalle guida Vini d’Italia del Gambero Rosso. Deriva dalle uve Pinot nero di tre vigne di 30 anni dei comuni di Casteggio e Montecalvo Versiggia. Dalla pressatura dell’uva si ricava solo il 42% del mosto fiore, che poi fermenta in parte in acciaio e in parte in botti di rovere da 700 lt. A primavera si assaggiano le varie partite e si procede alla cuvée assemblando le migliori. Questo 2011 (prima annata prodotta solo in 4800 bottiglie) ha maturato sui lieviti fino a pochi mesi fa, quando è stato imbottigliato, dunque per otto anni. Si tratta di un dosage zero, cioè rabboccato solo con il proprio vino, senza aggiunta di zucchero e quindi molto secco. 

Colore giallo paglierino carico e brillante, perlage fine e continuo; in bocca profumi insoliti, minerali, quasi salmastri e di erbe aromatiche. In bocca, secco, intenso, complesso; ancora non del tutto equilibrato, ma di razza nobile e ricca.

Abbinamenti: tartare di ricciola, tajarin al tartufo, tonno in crosta di sesamo.

Prezzo: 80 €.  

Info. Ballabio, via S. Biagio 32, Casteggio, tel. 0383.805878, www.ballabiowinery.it .

 

Ecco ora due bianchi che dimostrano come, in prospettiva, anche un vitigno nobilissimo che però sembra più adatto ai climi e ai terroir tedeschi e alsaziani, può dare vini importanti anche in Italia. E segnatamente in Oltrepò.


Cristina Cerri Comi da pochi anni è alla guida di Travaglino, la plurisecolare azienda di famiglia (nel 1868 la fondazione “moderna”, ma con radici che affondano nel XII secolo). E vuole affermare la preminenza della qualità sulla quantità, abbassando le rese per ettaro e puntando sui vigneti al top, in primis il Pinot nero, ma anche il Riesling (renano, of course).  E il suo Riesling Campo della Fojade 2019, benché ancora fanciullo, è già una piccola esplosione di profumi: fiori bianchi e frutta, erbe di campo, rosmarino. In bocca, ancora i profumi della gioventù, pesca e albicocca e qualche accenno ai
sentori terziari, che si faranno strada nel corso degli anni. Sapido e anche piacevolmente morbido in bocca, ma per l’utilizzo di uve mature e non di un residuo zuccherino eccessivo.

Abbinamenti: risotto alla certosina, trenette alla salsa di noci, branzino in cartoccio alle verdure.

Prezzo: sui 12 €

Info. Travaglino, loc. Travaglino, Calvignano, tel. 0383.872222, www.travaglino.com .

 

Sta per compiere trent’anni la cantina Isimbarda di Luigi Meroni, a Santa Giuletta. Guarda al passato, cioè alla migliore tradizione con una linea dedicata ai vini classici della zona; e al futuro, cercando di valorizzare al meglio i cru più vocati. Uno di questi è la Vigna Martina, 3 ha nel comune di Mornico Losana, con esposizione dei vigneti a sud su un suolo limo-sabbioso a circa 400 mt s.l.m. Criomacerazione delle uve, decantazione a freddo del mosto e affinamento in acciaio per questo Riesling renano Vigna Martina 2019 dal colore paglierino carico. Al naso, note floreali e anche aromatiche, buccia di limone e mela. In bocca, secco, sapido, ampio e con un accenno
minerale che richiama la pietra focaia. Giovanissimo ma già molto buono.

Abbinamenti: risotto agli asparagi e cappesante, spaghetti alle vongole, coniglio con le olive.

Prezzo: 10-11 €

Info. Isimbarda, cascina Isimbardi 4, fraz. Castello, Santa Giuletta, tel. 0383.899256, www.isimbarda.com .

 


Largo ora ai rossi, ove si dimostra (se mai ce ne fosse il bisogno), la non semplice versatilità del Pinot nero e la qualità di vitigni meno famosi, come Croatina, Barbera e Uva rara che caratterizzano questo “grappolo” (con riferimento alla forma del territorio sulle mappe) di Antico Piemonte, come a volte viene anche oggi ricordato l’Oltrepò, avendo fatto parte dalla metà del Settecento, con situazioni alterne, del regno sardo-piemontese.

 

Cà Tessitori a Broni è l’azienda vinicola di Luigi Giorgi. Le due cascine di Cà Tessitori a Montecalvo Versiggia e di Finigeto a Montalto Pavese appartengono alla famiglia da lungo tempo, la prima fin dal 1863. Sono 40 ettari di vigneto su due versanti collinari che si fronteggiano, elevandosi sino a 300 mt s.l.m. La coltivazione è di tipo semibiologica, anche se non certificata. In vigna si pratica la lotta integrata e l’inerbimento; le concimazioni vengono fatte solo con sovescio di leguminose o prodotti organici, tutti i lavori a mano e la raccolta delle uve con piccole ceste e tempi veloci per non rischiare prefermentazioni sgradite prima della pigiatura. In cantina solo lieviti spontanei per i rossi, travasi con uso limitato della solforosa, vinificazione in piccole partite. Giorgi produce 4 spumanti, tutti da Pinot nero (compreso un rosé), tre bianchi e diversi rossi. La sua Bonarda vivace è esemplare. Uvaggio tradizionale, 85% Croatina, 15% Uva rara e Vespolina. E' proprio il vigneto a chiamarsi Cà Tessitori e a dare il nome alla bottiglia.
Raccolta manuale, macerazione senza controllo di temperatura, nessuna chiarifica, rifermentazione e imbottigliamento nella primavera successiva alla vendemmia.  

Il colore è rosso rubino intenso; il profumo non può essere che vinoso, con sentori di frutti del sottobosco, anche di corteccia e di melograno. In bocca è brioso, fresco, fruttato, esuberante ma armonico. Piacevolissimo.

Abbinamenti: salame di Varzi, agnolotti alla pavese, bollito misto.

Prezzo: circa 8 €.

Info. Ca’ Tessitori, via Matteotti 15, Broni, tel. 0385.51495, www.catessitori.it 

 

Solo 11 ettari per 90 mila bottiglie di produzione media annua, vini che dimostrano guizzante agilità non disgiunta da un fruttato generoso, in particolare per i rossi. Da Bruno Verdi, piccola azienda vitivinicola di Canneto Pavese, guidata da Paolo Verdi, figlio del fondatore, Barbera, Bonarda Rosso Oltrepò e anche
un metodo classico Extra brut. Il suo Buttafuoco 2019 da uve Croatina (al 50%), Barbera e Uva Rara ha colore rubino intenso tendente al porpora; bei profumi fruttati (violetta, frutti di bosco, prugna) e sapore fresco, secco, generoso, invitante.

Abbinamenti: risotto con salsiccia, arista di maiale alle prugne, arrosto di coniglio con olive nere.

Prezzo: sui 9 €.

Info. Bruno Verdi, via Vargomberra 5, Canneto Pavese, tel. 0385.88023, www.brunoverdi.it 

 

Francesca Seralvo guida da qualche anno l’azienda vinicola della famiglia Braggiotti a Corvino San Quirico. La Tenuta Mazzolino è composta da 20 ettari di vigneti in valle Camarà, che allignano su suoli argillosi con vene calcareo-gessose, ma la varietà delle esposizioni ha suggerito ad agronomi ed enologi di suddividere il tutto in 39 particelle gestite individualmente per valorizzarle. Nessun fertilizzante viene usato, ma solo la tecnica del sovescio ed eventualmente rame e zolfo. La produzione si aggira sulle 100mila bottiglie annue per otto vini: due spumanti classici, tre bianchi (2 Chardonnay e un Moscato), una Bonarda e due Pinot nero. Il prodotto di maggior prestigio è il Pinot nero Noir. Il vino viene messo a maturare nel legno delle pièce borgognotte per un anno e si affina ulteriormente in bottiglia. Il 2017 ha colore rosso appena scarico,
profumi fruttati (soprattutto mirtillo) e speziati (pepe nero). In bocca è ancora leggermente squilibrato, ma il tannino è già fine, senza amarezze; risalta anche una certa morbidezza, che smusserà in un tempo abbastanza breve un residuo di aggressività. Un già piacevole wine in progress.

Abbinamenti: risotto con le quaglie, civet di lepre, lumache alla bourguignonne, rombo chiodato al forno con patate.

Prezzo: sui 30 €.

Info. Tenuta Mazzolino, via Mazzolino 34, tel. 0383.876122, www.tenuta-mazzolino.com 

 

Ottavia Giorgi di Vistarino prende in mano totalmente l’azienda di famiglia Conte Vistarino solo nel 2017, dopo un quindicennio di “gavetta” e di “vivace scambio di opinioni” col padre Carlo. Nuova cantina, nuovo polso; basta col vino sfuso e valorizzazione estrema del vitigno Pinot nero, del resto importato per la prima volta in Oltrepò proprio qui a Rocca de’ Giorgi da un suo antenato. L’azienda agricola ha una superficie di ben 826 ha tra boschi, prati e seminativi, 188 dei quali a vigneto. Occupa l’80% del piccolo comune. Si coltiva soprattutto Pinot nero (140 ha), che viene declinato nella varie versioni dello spumante metodo classico e del vino rosso fermo, poi Riesling, Chardonnay, Pinot grigio e altri vitigni. Fra la ventina di vini in produzione (forse un po’ troppi, ma così usa in Oltrepò) vanno almeno segnalati per la eccellente qualità il 1865 Metodo classico (100% Pinot nero), e il Saignée della Rocca, metodo classico rosé. Fra i bianchi, il Pinot grigio Merlino, pieno e corposo, apprezzabile in particolare dopo un paio d’anni di bottiglia. Fra i rossi, il fruttato  Buttafuoco, che matura due anni fra botti grandi e bottiglia. E infine ma non certo ultimi, i quattro Pinot neri Costa del Nero Doc, Tavernetto, Bertone e Pernice Igp Provincia di Pavia 2017. Il vigneto della cascina Pernice si trova a 300 mt d’altitudine (3,5 ha) e il suo terreno è in buona parte calcareo-argilloso. La fermentazione ha luogo in tini di legno troncoconici e la malolattica (a primavera) in barrique. Il vino matura poi un anno sempre in barrique e si affina per almeno un altro anno in bottiglia.

Rubino intenso, profumi di piccola frutta rossa (lampone, amarena), violetta. In bocca si rivela scalpitante, forse bisognoso di ulteriore maturazione per aumentarne l’incipiente eleganza e l’equilibrio tra un piacevole fruttato e la mineralità. Finale speziato.

Abbinamenti: tajarin al tartufo, pappardelle ai porcini, piccione arrosto, costine d’agnello.

Prezzo: 33 €.

Info. Conte Vistarino, Villa Fornace, Rocca de’ Giorgi, tel. 0385.241171, www.contevistarino.it



Il Buttafuoco è un po’ il vino-bandiera di Quaquarini, azienda vitivinicola fondata nel 1900, ubicata a Canneto Pavese. 60 ettari dei vigneti classici per una produzione di 600mila bottiglie, tutte certificate biologiche fin dal 2003. C’è il Buttafuoco Vigna La Guasca e il Vigna Pregnana, il Buttafuoco classico e il Buttafuoco Chinensis, aromatizzato alla china, da dessert. Ma per il dolce questa volta optiamo per il Sangue di Giuda 2019 nella versione normale (c’è anche il cru Vigna acqua calda, fermo). La cuvée è composta da Croatina (65%), Barbera (25%) e Ughetta di Canneto (o Vespolina). Il colore è rosso rubino tendente al porpora, il profumo intenso richiama il lampone, la fragola, i mirtilli. In bocca, brioso, dolce ma non eccessivamente grazie alla buona componente acida. Piccolo grande vino per gioiosi dessert.

Abbinamenti: scaglie di Grana padano, Gorgonzola, crostata di ciliegie, panettone.

Prezzo: 8 €.

Info. Quaquarini, via Casa Zambianchi 26, Canneto Pavese, tel. 0385.60152, https://quaquarinifrancesco.com  




Foliage alla Vigna Elaisa di Conte Vistarino a Rocca de' Giorgi.


venerdì 9 ottobre 2020

Cous cous siciliano in sei versioni: dall'extralusso all'umile Tabulè. Al 13 Giugno, elegante ristorante siciliano di Milano, con la supervisione del Gran Visir

Cous cous alla trapanese in versione extralusso...


Il Gran Visir del 13 Giugno è pure modesto. Impeccabile nel suo abito nero firmato Lazzarin, sovraintende alla sala con portamento signorile. Una sorta di Principe di Salina: più che gentile, nobilmente accondiscendente con i suoi commensali. Saverio Dolcimascolo (a fianco, col figlio Edoardo) quando i suoi camerieri posano i primi piatti in tavola davanti ai clienti non augura buon appetito, ma “Buon divertimento!”. Se gli si chiede se la cucina del suo ristorante sia siciliana rivisitata, creativa, magari, perché no, molecolare, risponde: “Qui non inventiamo niente, proponiamo le care, vecchie ricette tradizionali, di Messina e Palermo, di Trapani e Catania. Per di più, sempre con materia prima siciliana, una parte del menu è strettamente ittica”. È vero. Niente accostamenti azzardati, uso di sifoni e altre simili diavolerie “stellate”, ma sapori netti, precisi, suntuosi nei piatti del 13 Giugno. Se non si gradiscono (eppur quanto sono buoni) le caponate di melanzane o le sarde a beccafico, i golosi involtini di pesce spada o le busiate trapanesi col tonno, si gira la pagina del menu ed ecco il Gran misto di frutti di mare e crostacei, i vari carpacci e tartare di tonno, spigola, orata, baccalà fra i crudi. E poi i cotti, come il Gran misto gratinato e le insalate - di tonno (alla Pantesca), di gamberi e scampi (alla catalana), di polpo e patate. 

Tra i primi, paste e risotti, sempre di pesce. E ancora pesce e crostacei come secondi - cernia, rombo chiodato (il migliore), spigola dei mari siculi, gamberoni di Mazara. Sempre, un Cous cous: di pesce alla trapanese. Al l3 Giugno per il nome si adotta la traslitterazione francese dell’arabo  كسكس‎,  ma in Sicilia, dove appunto portarono questa preparazione gli Arabi, si chiama tradizionalmente Cuscusu: e lo si vuole, oltre che con la semola fine di grano duro che lo caratterizza, accompagnato da pesci assortiti come scorfano, cerniette, dentice, merluzzo. Ma patron Saverio no, lui lo vuole nobile il suo Cous cous alla

Tabulè alle verdure

trapanese: e così ci mette astice, gamberi, scampi, triglie, fasolari e poi si concede un piccolo excursus nella cucina popolare con sarde e cozze. Questo piatto, servito da un coccio posato su uno scaldino portatile, è piuttosto abbondante e permettendo un secondo e magari un terzo servizio, fa sì che possa fungere anche da piatto unico. Questo fino a ieri. Perché da oggi e sino a fine ottobre i Cous cous si moltiplicano.

 

È un piccolo Cous cous Festival che ne propone ben sei. Ci sono quello incocciato a mano di pesce misto (filetti di gallinella, triglia e scorfano), alla trapanese (prezzo: 35 €) e il Tabulè servito con verdurine della tradizione, uvetta Passolina, pinoli, spezie e brodetto vegetale (servito da una ciotola a parte), che potrebbe fungere da antipasto (prezzo: 25 €).

Cous cous alle seppie
Avanti con il Cous cous con seppie nostrane al sugo di nero di seppia (prezzo: 35 €). E poi col Cous cous di scamponi, filetti di pomodoro ed erbe aromatiche (prezzo: 40 €). Largo anche a quello con gamberoni imperiali, filetti di pomodoro e finocchietto selvatico (40 €). Ecco infine il glorioso Cous cous con misto di frutti di mare e fumetto di crostacei (prezzo: 50 €).




Ma quale vino bere coi vari Cous cous? La domanda bianco, rosso o rosato, è lecita. A risolvere la complessa e imprescindibile questione ci pensa Edoardo Dolcimascolo, figlio colto e discreto del Visir Saverio. Il suo approccio al binomio cibo/vino è ecumenico: non esclude alcun colore, abbina bianchi, rossi e rosati al meglio. Purché siciliani. Ed ecco, per esempio, che al Tabulè con verdure sarà opportuno accostare un bianco come il Leone del Conte Tasca d’Almerita, un vino d’eccellente aromaticità grazie alle uve d’alta collina Cataratto, Pinot bianco, Sauvignon e Traminer.

Per il Cous cous con le seppie, si passa a un Etna rosato, da uve Nerello mascalese e cappuccio, dal bel colore buccia di cipolla, di buona armonia e giusta acidità, della Tenuta delle Terre nere. Con il tradizionale Cous cous alla trapanese, ci si deve elevare a un rosso pluripremiato come l’Etna Rosso di Francesco Tornatore, pieno e vibrante (foto a destra). 

Come farsi sfuggire una maestosa conclusione del pasto? La classica Cassata (dall’arabo quas’at, grande ciotola rotonda), dolce poi rielaborato nelle pasticcerie dei conventi come quello della Martorana di Palermo, è un finale perfetto, durante il quale duetta con la Malvasia delle Lipari di Nino Caravaglio, in un ghiotto gioco di morbidezze e vibranti acidità.

 

                                                                                                                                                 InfoRistorante e bistrot 13 Giugno, via Goldoni 44, Milano, tel. 02.719654, www.ristorante13giugno.it.