mercoledì 22 novembre 2017

I vini estremi vanno Forte: quello di Bard, in Val d'Aosta. Due giorni per scoprirli

Il Forte di Bard, in Val d'Aosta.

Sapevate che ci sono gli estremisti anche nel mondo del vino? Estremisti positivi, a volte eroici o quasi; sono quei vignaioli che coltivano l’uva in montagna, su terreni ripidi o terrazzati; oppure in piccole isole o in condizioni climatiche molte disagiate. In verità, quindi, sono i contesti ad essere estremi, i viticoltori sono dei sani estremisti che non si lasciano irretire dalle difficoltà. Ai Vins extrêmes è dedicata una manifestazione che si terrà sabato 25 e domenica 26 in Val d’Aosta, nella spettacolare sede dei Forte di Bard, posto sulla sommità di una rocca all’ingresso della valle.
Degustazioni libere e guidate, laboratori del gusto e tavole rotonde, convegni e premiazioni (quella del XXV Concorso mondiale des vins extrêmes, appunto): si assaggerà e si parlerà di come valorizzare vini che per forza di natura hanno rese basse per ettaro e, anche per questo, un’intrinseca qualità, che
Degustazione dei vini "estremi".
non è da tutti.
Non è una “grande” manifestazione, piuttosto un ritrovo a misura d’uomo, quasi da montanari, verrebbe da dire. Delle oltre 60 aziende espositrici, infatti, molte sono di casa, cioè valdostane, altre provengono da parecchie regioni italiane (dall’Abruzzo alla Campania, dal Trentino Alto Adige alla Sardegna), e da Paesi esteri come Germania, Francia, Spagna e, addirittura, Palestina.
Dovrebbero essere presenti quanto meno le bottiglie premiate al Concorso 2017. Si spera così di poter assaggiare, fra gli stranierei, i vini del Vallese svizzero e quelli della Mosella (Germania), gli andalusi, e quelli delle Canarie e delle Baleari; il mitico Banyuls francese e i greci delle isole di Santorini e Samos. Ancora, i Madeira e le bottiglie delle isole Azzorre portoghesi. Ci saranno persino vini palestinesi, quelli della Cantina Cremisan di Betlemme, sostenuti dal Volontariato italiano per lo sviluppo e da enologi come Riccardo Cotarella.
Fra gli italiani, a parte le predominanza valdostana, vini quasi sempre di qualità indiscutibile, con punte di vera eccellenza, una citazione personale va all’Azienda Scala Fenicia, l’unica dell’isola di Capri (Vedere anche: I vini autoctoni di Ischia e quelli eroici di Capri, pubblicato il 30/6/2016, https://ilmoncalvini.blogspot.it/search/label/Scala%20Fenicia ).
Qualche chicca(o), spiluccando dal ricco programma. Tutto inizia sabato alle 10 con l’apertura dei banchi di assaggio. Alle 14 , degustazione guidata: Valle d’Aosta e Vallese, due terroir a confronto. Alle 15 tavola rotonda su Vini eroici e innovazione. Alle 15,45 laboratorio del gusto su Formaggi e patate della Val d’Aosta (di gran pregio); alle 17,30, Degustazione di vini passiti.
La domenica, alle 11,15, Degustazione guidata dei vini delle piccole isole e alle 11,30 Premiazione
Vendemmia a Capri nei vigneti di Scala Fenicia
dei vincitori del 25° Concorso mondiale des Vins Extrêmes, a cura del Cervim, meritorio centro studi di ricerca, salvaguardia, coordinamento e valorizzazione per la viticoltura montana (www.cervim.org). Alle 15,45, degustazione guidata Il fascino senza tempo di Porto, Madeira e Banyuls (un vino, quest’ultimo, che fa grande matrimonio d’amore con un antico piatto del grande chef Alain Sanderens, l’Anitra Apicius!).
Info. Vins Extrêmes 2017, il meglio dei vini d’alta quota, Forte di Bard (Aosta), www.vins-extremes.it . Ingresso: 20 € per un giorno, 30 € per le due giornate, compreso bicchiere per degustare i vini delle aziende partecipanti e i vini vincitori del Concorso. Laboratori e degustazioni guidate (a numero chiuso), 15 € in più (da prenotarsi al link https://www.eventbrite.com/e/vins-extremes-tickets-39550208739 ).

Quella del Don Juanito è proprio una buona "causa". È il nome di un piatto peruviano eccellente, ma il resto della cucina andina non è certo da meno




Il personale del Don Juanito: seduti, da sinistra lo chef Alex Huayanay,
peruviano e il patron Diego Muzzi, argentino.
Ha lavorato da Francis Mallmann a San Paolo, con Gordon Ramsey a Londra, Pietro Leeman al Joia di Milano; poi è stato chef del Don Juan di via Altavilla, sempre a Milano, di ruspante cucina argentina. E, poco più di un anno fa, Diego Muzzi, 40 anni, argentino di Mendoza, ha preso in mano il Don Juanito, nato come tavola calda, poi bistrot del Don Juan, poi passato ancora di mano con alterne vicende. Muzzi ha rifatto il locale con un certo gusto, non annulandone l’impronta sudamericana, ma attenuandola e spargendo luce colorata e soffusa a piene mani. L’ambiente è quindi piacevole, forse fin troppo “intimo”, la sera. In cucina, sotto la supervisione del patron, opera il 37enne chef peruviano Alex Huayanay, nativo della zona montuosa della regione di Ancash, che ha come vetta l’Huascarán  (6.768 metri). Dopo numerose esperienze in patria e Argentina, è approdato anche lui al Don Juanito.
Tre antipasti: a sinistra la causa.
Visto che il patron è argentino e lo chef peruviano, e qui si trovano piatti di queste due nazioni e anche di Colombia (come l’Arepa), Cile (empanada ai frutti di mare) e altre, al locale, pur mantenendo il nome originario di Don Juanito, è stato aggiunto l’appellativo di Restaurante Andino (dal nome della cordigliera delle Ande, che con i suoi 7.200 km segna il Sud America lungo Venezuela, Colombia, Ecuador, Perù, Bolivia, Cile e Argentina).
A tavola si può scegliere tra due menu degustazione (vino a parte): di terra (a 47 €) e di mare (a 52 €), che contemplano ognuno quattro antipasti, tre secondi e un dolce. Altrimenti si procede alla carta e così si può saltabeccare fra una linea e l’altra.
Un piatto caratteristico della cucina peruviana è la causa. Si tratta di una sorta di purea (o di gattò napoletano) che viene mescolata con vari ingredienti, per esempio aji amarillo (peperoncino giallo/arancione), lime, gamberetti o pollo (ma anche tonno e altre varianti), qui preparato in maniera deliziosa. L’origine del nome è singolare. Si tratta, intanto, di un piatto precolombiano, preparato con un tipo di patata chiamata amarilla, per il colore giallognolo della polpa. Secondo una prima versione il nome causa deriverebbe da kausay, che significa alimento indispensabile. Un’altra versione ci riporta al libertador José de San Martín y Matorras (1778-1850) - un eroe che si battè per la libertà del Sud America (una sorta di nostro Garibaldi) - e quindi a Lima, la capitale peruviana, ai tempi in cui questo cibo veniva venduto per strada, proprio per finanziare la causa dell’indipendenza.
Controfiletto argentino
Fra gli altri antipasti, un grande classico peruviano è il ceviche di ricciola; buone le arepas colombiane, tortini di mais, fritti o anche al forno, imbottiti di vari ingredienti, come uovo, formaggio, fagioli, pollo, avocado e maionese. Ottime anche le empanadas argentine, fagottini o panzerotti di pasta ripieni di carne e altri ingredienti speziati, oppure di tonno, o anche gamberi, per gustarli come in Patagonia…
Per la carne, si va sul sicuro con alcuni piatti tipici argentini. Sono particolarmente consigliabili, il morbido maialino cotto a lungo a bassa temperatura; l’entrecôte (o controfiletto) argentino, cotto a puntino (basta chiedere quale tipo di cottura si desidera) e gustoso. La sorpresa, per chi non lo conosce, è l’entraña, ilmuscolo del diaframma, sopra alle costole, del manzo. Se cucinato perfettamente alla griglia, come lo fanno al Don Juanito, si rivela tenero, saporito e gustosissimo. Le proposte di pesce contemplano ovviamente il ceviche (di ricciola), la jalea de mariscos, fritto di…frutti di mare, con patata americana, il tamal en hojas de platano con rombo (rombo, platano maturo, patata, tutto cotto in foglie di platano) e un paio di altri piatti.
Il Torronte di M. Torino,
vino argentino.
Si possono accompagnare tutti con buoni vini italiani, francesi e anche argentini. Fra questi ultimi consigliabili, per esempio, il rosso Malbec Anteluna 1300 (la vigna cresce a 1300 metri d’altitudine); e il bianco Torrontes di Michel Torino, con vigneti a 1700 metri, nella Cafayate Valley, fresco, secco, dai sentori esotici e minerali.
Fra i dolci tipici, il Tres leches, i vari tortini al dulce de leche (crema a base di latte e zucchero) e il Don Pedro, un gelato anch’esso al dulce de leche, ma con mandorle tostate e un goccio di whisky, che rimette agli onori del mondo, se si fosse esagerato con i piatti forti.
Info. Restaurante andino Don Juanito, corso di Porta Vigentina 33, Milano, tel. 02.58431217, www.donjuanito.it. Orari: 11.30-15, 19.30-23 (sabato fino alle 24); domenica chiuso. Prezzi: menu d terra 47 €; menu di mare 52 € (ambedue prevedono 4 antipasti, 3 secondi e 1 dolce). Alla carta (antipasto, secondo, contorno e dolce): 39-51 €.

sabato 18 novembre 2017

Il nuovo Toscanino di Milano è roba da toscanacci. Niente risotti gialli, sushi o nouvelle cuisine: cibo, vino, cocktail e distillati sono tutti regionali. Ganzo!


Milano ha aperto le braccia ai toscani sin dall’Ottocento. Iniziarono col vino bono venduto a pochi centesimi nelle fiaschetterie. Ma già negli ultimi lustri del XIX secolo prosperavano locali eleganti come quello del fiorentino Aurelio Franzetti, che in via Paolo da Cannobio promuoveva pantagruelici cenoni di Capodanno. Gli osti toscani proponevano la cucina dei loro paesi, cioè le zuppe, i fagioli cotti nel fiasco sopra il camino e conditi con il loro olio, la bistecca (ribattezzata dai milanesi fiorentina), il castagnaccio.
Bice Mungai
Il mitico Giannino Bindi aprì il suo Giannino in via Scesa nel 1899 come fiaschetteria. Diventerà uno dei più famosi locali di Milano. Dopo la prima guerra mondiale fu la volta di un’altra generazione, quella della Croce, cioè del quadrivio ove s’incontrano le provincie di Pisa, Lucca, Pistoia e Firenze: da Fucecchio (patria di Montanelli) arrivarono i Gori (L’Assassino, Alla collina pistoiese) e i Pepori (Bagutta). Da Chiesina Uzzanese i Mungai (Bice e parecchi altri) e i Simoncini (Rigolo). E poi i Bocciardi, i Matteoni, i Cavallini…Non ne rimangono molti e, per altro, con gli anni quasi tutti hanno ridotto la parte toscana per inserire quella milanese-lombardo-piemontese, italico-internazionale. Ma perché si dovrebbe andare da un toscano per mangiarsi una costoletta (sì, con la “s”!) alla milanese? O per gli spaghetti sciuè sciuè?  Per un branzino all’acqua pazzaPer fortuna, c’è ancora qualche folle che non si arrende.
Questa comunque non è una storia di resistenza alla cucina italo-milanes-sino-giap-vegan-crud-peru-argentin-coreana, che pervade Milano, con esiti alterni. È la vicenda attuale di due toscani, Simone Arnaetoli e Laura Tosetti, che si sono messi in testa di aprire un ristorante, bar, libreria e bottega di cibi e vini toscani nella metropoli lombarda. Ahi. Già la poliedricità, la “maledetta” polifunzionalità del locale non depone a favore, smorza l’allegria di ritrovarsi in un sia pur moderno ristorante toscano. Però, una volta visitato e provato questo nuovissimo Toscaninoche andrebbe scritto ToscaNino, perché i proprietari l’hanno concepito più che come un piccolo ritrovo come un'accogliente magione, regno di due immaginari padroni di casa in cui lei, Tosca, cucina e lui, Nino, prepara i dolci - fa virare la perplessità verso l'entusiasmo. Ma bando alle metafore, veniamo al sodo. E la prima buona notizia è che qui non troverete né un piatto, né una bottiglia, un olio, una chicca gastronomica che non siano toscani. Persino i cocktail (c’è un piccolo banco ben fornito ove si alternano tre barman) hanno tutti solo ingredienti toscani e nomi toscaneggianti. 
Ma dove si trova il Toscanino? In un palazzotto all’angolo fra le vie Melzo e Lambro, a 5’ da Porta
Tirata-Pizza del Campo
Venezia: il locale si rivela piacevole già a un primo sguardo. Si entra e a sinistra non si può fare a meno di scorgere l’angolo della panificazione, con il forno, il lievito madre usato per produrre le specialità dell’arte bianca: lo Sbirulino, primo di tutto, pane salato, lungo, stretto e avvitato, gustosissimo, condito con olio extravergine. Tutto toscano negli ingredienti e d’ora in avanti non ripeteremo più la provenienza, tanto sempre quella è. Poi la Tirata bianca e rossa (con pomodoro di Donoratico), focacce con lievito madre e olio extravergine. Gli sbirulini vengono serviti in particolare con i taglieri misti di salumi e formaggi, anche con verdure e mostarde. Ce ne sono dieci e li si può ordinare nella versione stuzzichino (7-12 €) o in quella “Intero” (9-20 €). Indovinate un po’ i nomi? Leonardo e Puccini, Giotto e Raffaello, Vasari e Donatello. Giusto per rivelarne un paio: con il Puccini si va di cinta senese, prosciutto, salamino e pancetta; con Dante, di pecorini, compreso un “brie”, un fresco Primo Amore e mostarda di pomodori verdi. Raffaello preferisce invece paté di fegatini, pomodoro alla livornese e crema al tartufo.
Le tirate sono arricchite in superficie dagli ingredienti più vari ed hanno nomi di piazze: del Campo, dei Miracoli, Santa Croce…
Proseguendo la visita, ecco il corner dei salumi e formaggi e quello della carne (in vista splendide fiorentine); il salotto e il bar e un piano superiore. C'è posto a tavola per una settantina di avventori.
Piatti. Fra le paste fresche, ecco le pappardelline al ragù di cinghiale (foto a fianco), i tortellini mugellani (con ragù bianco di cinta senese), i ravioli maremmani. Non possono mancare le zuppe, fra cui la ribollita di San Giovanni. Si passa alla carne: certo, la fiorentina, anche di razza chianina, ma pure la trippa e il peposo dell’Impruneta (evviva), la tartara battuta al coltello e il tonno di chianina (con cipolle caramellate e fagioli al fiasco). 
Ma c’è il mare in Toscana? Sì che c’è e si chiama Tirreno, ma anche Ligure (quest’ultimo arriva fino all’Isola d’Elba). Perciò, ecco il polpo con patate dell’Amiata e olive toscanelle, seppie e totani con erbette in inzimino e, come dubitarne?, il baccalà alla livornese. Certo, piacerebbe vedere in menu, almeno ogni tanto, il mitico cacciucco livornese…Varie insalatone miste e infine i dessert “di Nino”: zuccotto fiorentino, pangrappa, panbriacone, cantucci di Prato e via addolcendosi sempre più. Bella selezione di vini ma anche birre artigianali, liquori, rigorosamente toscani, come anche le carte rivendicano orgogliosamente. Tutto vendibile per l’asporto: in questo caso il prezzo, per esempio di una bottiglia di vino, diminuisce di 4 €. Siamo alla fine, ma torniamo all’inizio. Perché il bar, merita un capitolo a parte. Affidato al gruppo aretino Cocktail in the world Mixology (www.cocktailintheworld.com ) vede alternarsi al bancone Danny Del Monaco (campione del mondo 2002 del Bacardi Martini Gran Prix e Personaggio dell’anno 2016 di Italia a tavola), Stefano Mazzi e Adrian Everest. Qui non è noioso ripetere, perché non ce lo si aspetterebbe, che tutti, ma proprio tutti
Il barman Stefano Mazzi
i distillati, i liquori, gli spumanti e gli altri ingredienti vengono dalla Toscana.
Per esempio, il Gin, ma anche vermouth e molti liquori sono prodotti dalla Numquam di Prato o da Peter in Florence vicino a Firenze, l’Aperit per il Tuscan Spritz da Santoni a Chianciano.
Il cocktail Negroni fiorentino
I bravi barman miscelano cocktail come il Toscanino (vino rosso, bitter al tabacco, pompelmo rosa, homemade ai fiori di sambuco, chinotto), il Negroni fiorentino, servito con arancia essiccata alla noce moscata, Mule il Magnifico (vodka, succo di limetta, gocce di amaro, ginger beer), Tuscan Spritz, Caterina de’ Medici, Santa Maria Novella, Forte dei Marmi e via toscaneggiando. E sorseggiando…a garganella. Ovvia.
Info. ToscaNino, via Lambro 7, ang. via Melzo, Milano, tel. 02.74281354, www.toscanino.comOrari:11-24 (il bar è in piana efficienza dalle 17 in poi). Chiuso domenica. Prezzi: cocktail 10-14 € (con taglierino, 2 € in più); primi piatti, 10-14 €; secondi, 15-20 €; fiorentina, 6-7,50 € l’etto; dolci 6 €; coperto (solo a cena), 2 €. Vini: da 12 € (Vermentino Caprili “Settimia” 2016) a 250 € (Solaia 2014).
*La foto d'apertura e quelle dei piatti sono di Alessandro Moggi

martedì 14 novembre 2017

Il dilemma di Appius 13: con chi andare a nozze?

Il Castel Valentin, circondato da vigneti di Gewürztraminer, che danno vita al dolce passito Comtess,
 della Cantina San Michele-Appiano.
Cominciamo col piatto. Sì, perché il vino si anima veramente non roteandolo in un calice di fine cristallo od osservandone in trasparenza le sfumature di colore, ma dopo un boccone di cibo. È allora che il potere un po’ misterioso di esaltare una pietanza o, al contrario, di peggiorarla, si sprigiona dal bicchiere (e naturalmente il discorso si potrebbe fare anche all’incontrario…).
Foto GL Moncalvi
Risotto ai frutti di mare...
Si torni dunque al piatto, a un piatto particolare, con una premessa. Il suo autore, Herbert Hintner, chef-patron del Zur Rose (Alla Rosa) di San Michele d’Appiano (1 stella Michelin), non è uno che ami tanto i risotti. Nei suoi menu di stagione di quest’ultimo anno se ne trova solo uno, della primavera scorsa, ed è il Risotto alla menta con lucioperca (inusuale, ma pregiato pesce d’acqua dolce). Ora, Hans Terzer, winemaker della Cantina di San Michele d’Appiano, qualche settimana fa, aveva un problema: organizzare, insieme a Herbert, la cena di presentazione del nuovo Appius 2013, un vino già di per sé straordinario perché ogni anno muta, almeno in parte, il mix di vitigni e la veste, cioè l’etichetta serigrafata della bottiglia.
Per gli altri vini della serata, tutti della linea Sanct Valentin, la più prestigiosa (e cara), gli abbinamenti erano stati trovati, discutendone e provandoli alla tavola del Zur Rose. Per l’Appius 2013 questa volta sembrava più difficile. Ma assaggiando e riassaggiando, alla prima H (Hans), ancora insoddisfatta, era scattata una scintilla.
- “E un bel risotto?”
...con Appius 2013: sviolinata di sapori (Foto Manfred Mair).
Non è che la seconda H (Herbert) avesse proprio storto il naso, ma insomma, lì per lì... Poi, dopo un minuto: - “Sì, va bene”, si mise a riflettere ad alta voce, “ma come caratterizzarlo? Con carne o vino no, sola verdura neanche…”
- “Dovresti farlo col pesce, ma non con lucioperca o altro pesce d’acqua dolce”, rispondeva H1.
- “Hai ragione”, si era entusiasmato H2, “dobbiamo prepararlo con tutti i crismi (i miei crismi, almeno) e deve sapere di mare, anche se non è nella nostra tradizione”.
Fine del dialoghetto morale fra i due H e inizio della piccola avventura gastronomica. Così, ad Appiano, comune di collina (sui 400 metri s.l.m.), in una provincia completamente montagnosa e la più settentrionale d’Italia, lo stellato H2 dovette ricorrere ai suoi fornitori di fiducia per far arrivare pesce freschissimo dall’Adriatico. Ed ecco come è stato fatto il risotto ai frutti di mare, su cui è poi caduta la scelta per l’abbinamento con l’Appius 2013: “Ho composto un fumetto di pesce brodoso con gli scarti di ricciola e branzino e l’ho utilizzato per cuocere il riso carnaroli. A parte ho fatto saltare in padella cozze, vongole, seppie e calamari con aglio e prezzemolo. Pronto il riso, ho impiattato e distribuito frutti di mare e molluschi sul risotto, completando con “puntini” di nero di seppia”.
Herbert Hintner, lo chef
Un piatto che H1 ha subito accolto con entusiasmo, probabilmente pari a quello dei suoi ospiti in cantina, quando l’hanno assaggiato qualche giorno dopo. Era la prima volta che Appius veniva abbinato a un piatto in cui il mare era protagonista; nel passato, la vendemmia 2010 era stata accostata a un baccalà con finocchio allo zafferano, ma si sa che il baccalà non è un pesce classico, subendo il merluzzo una particolare lavorazione; l’Appius 2011, a un petto di faraona con tartufo nero e porcini; il 2012, ad animelle di vitello con crema di patate. Insomma l’Appius, ha dispetto
Hans Terzer, l'enologo (Foto M. Mair)
della sua essenza d’uva bianca, aveva finora dimostrato tutto il suo carattere con piatti sostenuti, in cui prevalevano i sapori carnacei. E quindi, paradossalmente, quel bianco, con un piatto di pesce “normale” era un rischio. In realtà, tanto normale quel risotto non era: era un mix di sapori di mare che si fondevano e si mantenevano distinti al contempo, una meraviglia per il palato, che persino un vinaccio di seconda categoria forse non sarebbe riuscito a rovinare. Figuriamoci l’Appius 2013, la cui composizione – chardonnay al 55%, sauvignon al 25%, pinot grigio e pinot bianco per il restante 20% – nonché la maturazione in barrique e tonneau per un anno e il successivo affinamento sui lieviti in acciaio, ne hanno fatto un vino di grande personalità sì, ma con una sua delicatezza, con un frutto e un aroma intensi, ma bilanciati da un’acidità sostenuta.  Forse inutile sbilanciarsi sui vari sentori di frutta esotica, dalla papaya all’ananas, e di frutta nostrana, dalla pera William’s alla mela, sulla mineralità e l’eleganza al palato. Fatto sta che, come in una magica alchimia, il vino esaltava il piatto e il risotto invitava e gustare altro vino.
Cinquemila bottiglie, più alcune centinaia di magnum, fanno dell’Appius 2013 un vino piuttosto esclusivo, anche per il prezzo, che si aggira attorno ai 100 € la bottiglia.
Se l’Appius è il vino unico, fuori dagli schemi, che di anno in anno si diversifica dai suoi precedenti, in sostanza il re, la Linea Sanct Valentin rappresenta idealmente i 9 prìncipi della sua corte.
Anno di anniversari, questo 2017: 30 anni dalla creazione della Sanct Valentin, 40 della presenza di Hans Terzer nella Cantina San Michele-Appiano,  e 110 dalla fondazione della stessa (correva l’anno 1907). Ma che cosa è successo in quest’ultimo trentennio? Di tutto. Si sono quasi dimezzate le rese per ettaro, sono nati nuovi vini, la produzione Sanct Valentin dalle 6mila bottiglie iniziali si è stabilizzata oggi sulle 400mila, che spuntano prezzi finali di tutto rispetto sul mercato: fra i 19 € e i 25 € la bottiglia, per le annate 2013-2015, le ultime in commercio. Ai classici bianchi altoatesini, Pinot (bianco e grigio), Chardonnay, Sauvignon e Gewürztraminer si sono aggiunti i rossi Lagrein e Pinot nero, un Cabernet-Merlot e il Passito Comtess, il primo vino dolce del genere (un gewürztraminer) prodotto in Alto Adige. La linea Sanct Valenctin, nata come un cru specifico rappresentato dalle vigne attorno al Castello
Vini della Linea Sanct Valentin: bottiglie di nuovo design.
omonimo, oggi non è più fondata sui cru, o meglio si è trasformata in una selezione esasperata delle uve delle vigne migliori, poste sui circa 380 ettari vitati della cooperativa, coltivati da oltre 340 soci. Esempio virtuoso di come avere successo nel mondo del vino, perseguendo sempre come obiettivo la qualità. Che si ritrova, a livelli più che soddisfacenti, anche nelle altre linee meno care: la Classica (prezzi da 6,70 € a 10,80 € la bottiglia) e la Selezione (da 8,50 a 17,90 €). E la vendemmia 2017? Problematica per la quantità, ma non per la qualità, promette Hans Terzer. E chi vivrà degusterà.
Info. Cantina Produttori San Michele Appiano, via Circonvallazione 17-19, San Michele, Appiano sulla Strada del Vino (Bz), tel. 0471.664466, www.stmichael.itRistorante Zur Rose, via Innerhofer 2, San Michele, Appiano, tel. 0471.662249, www.zur-rose.com. Orari: 12-14, 19-21.30 (chiuso domenica e lunedì a mezz.). Prezzi: carta, da 61 € (primo, secondo e dessert); menu, da 68 €.