Veduta di Caiarossa, tenuta toscana in Val di Cecina. |
È inutile girarci intorno.
Rosso tutte le stagioni, bianco strutturato anche con la carne, rosato sugli
scudi, bollicine forever e così via, sperimentando e provando, non sempre con
soddisfazione. Ma la stagione invernale – e ormai ci siamo – vuole cibi di
carattere, carni importanti, pesci salsati e ricchi. Tutta roba che si sposa
divinamente con i vini rossi, purché buoni e giusti. E ovviamente “puliti”,
come aggiunge di solito il guru Carlin Petrini. Eccone allora cinque, scelti con
cura e passione, dal Nord-est al Sud-ovest, che parlano altrettanti dialetti,
ma una sola lingua: l'italiano dei vignaioli per bene.
Un’azienda vinicola da
70milioni di bottiglie annue, può fare anche vini d’eccellenza? Sì, se si
chiama Cavit (cooperativa con10 cantine sociali e 4500 viticoltori associati) ed
è in grado di fare seleziona su terreni e vitigni, di produrre vini con
protocolli moderni ed efficaci e di distribuirli su tre linee di qualità crescente
come sono la Mastri Vernacoli, Bottega Vinai e Il Maso. Per esempio, il vitigno
principe del Trentino, il teroldego rotaliano, può divenire vino immediato
quanto piacevole nella linea Mastri Vernacoli (ottimo per bolliti misti e
polenta), si fa più complesso nella versione Bottega Vinai (più adatto quindi
su grigliate di carne, spezzatino, lepre in salmì) e diventa opulento nella
Linea Il Maso, che per altro contempla solo altri tre vini: il Marzemino
Superiore Romani e i bianchi Torresella, splendido Chardonnay Riserva e Torresella
Cuvée, uvaggio appunto di sauvignon, chardonnay, gewürztraminer e riesling
renano.
Il Maso Cervara 2014 (solo 6mila bottiglie), è un Superiore Riserva.
Le uve teroldego sono coltivate biologicamente, anche se non se ne fa cenno in
etichetta, intorno al maso stesso, su terreno di natura alluvionale, poco
profondo, su riporti ghiaiosi del torrente Noce. La resa non supera gli 80 q.li
per ettaro. L’uva solitamente si vendemmia a fine settembre, poi il vino passa
in barrique e botti grandi per circa due anni. Il 2014 è stato imbottigliato
nel dicembre 2016 e si è affinato almeno sei mesi in bottiglia. Un vino dal colore rosso rubino fitto, che
conserva sfumature violacee. Al naso prevagono i sentori di piccoli frutti
rossi e di violetta, con accenni balsamici e speziati. In bocca è caldo,
equilibrato, ancora un po’ tannico, ma dolcemente, con echi speziati e un
retrogusto di frutti rossi in cui prevale la mora.
Abbinamento classico con polenta
carbonera, selvaggina, stinco di vitello al vino rosso, formaggi stagionati.
* Maso Cervara, Teroldego
rotaliano Doc Superiore Riserva 2014, 25
€ la bottiglia. Prodotto da Cavit, via del Ponte 31, Trento, tel.
0461.381711, www.cavit.it.
In campo letterario, La Spia
è un nome fortunato. Vengono alla mente almeno due libri di successo, La spia di Paolo Coelho, protagonista
Mata Hari e La spia romanzo ottocentesco
di J. F. Cooper, sulle imprese dell’astuto Harvey Birch durante la guerra
d’indipendenza americana. In campo enologico, La Spia è un piccolo vigneto a
Castione Andevenno, in Valtellina (nella pregiata sottozona Sassella), che ha
dato il nome alla cantina inaugurata otto anni fa da Michele Rigamonti. Probabilmente
nome e impresa che faranno fortuna, anche loro. Già il padre di Michele e il nonno
producevano lì vino per uso famigliare. Poi lui decise di farlo in maniera
professionale quanto appassionata. Tre ettari di vigna corrispondono oggi a
quattro vini, un bianco e un rosso Igt, un Valtellina Superiore e un Sassella
Docg.
Rigamonti si avvale di un
giovane enologo come Emil Galimberti, laureato a San Michele all’Adige e con
titoli acquisiti in campo enologico e viticolturale a Trento, Udine, Torino,
Montepellier e
Bordeaux e con esperienze in Francia, Nuova Zelanda e
Inghilterra, oltre che nella stessa Valtellina. I vini sono per lo più
invecchiati sapientemente e a lungo, sfruttando le doti dei contenitori in
acciaio quanto quelle del legno di rovere francese e non lesinando sull’affinamento
in bottiglia. Il PG 40 (PG sta per
Paganoni Giovanna, la madre di Michele, nata nel 1940) Valtellina Superiore Sassella 2011 è stato premiato in ottobre alla
34a edizione del Grappolo d’oro di Chiuro, da una giuria stupita di trovarsi di
fronte a un vino di così gran carattere, prodotto da un’azienda così giovane.
Lo stesso vino, dell’ultima annata in commercio, il 2012, si dimostra all’altezza del fratello maggiore. Il vitigno è naturalmente
il nebbiolo in purezza, chiamato in Valtellina chiavennasca, situato a 350-400
s.l.m., su terreno terrazzato con forte presenza di roccia madre affiorante,
sabbioso con presenza di limo e buona dotazione di sostanze organiche. La resa
per ha è sui 55-60 q.li. Dopo la vinificazione a temperatura controllata, il
vino ha passato 6 mesi in vasche inox e tre anni in botti di rovere francese,
quindi si è affinato per sei mesi in bottiglia. 2000 bottiglie (in totale la
produzione attuale è di 20mila l’anno, ma aumenteranno).
Classico colore rosso
rubino, profumi di rosa appassita e frutta matura, ma anche di viola e piccoli
frutti rossi, con ricordi speziati. Asciutto in bocca, con bella presenza dei
tannini, già in equilibrio, tendenti al velluto, fresco e snello con bel finale
sapido. Con che piatti sposarlo? L’abbinamento regionale suggerisce pizzoccheri
e risotto al formaggio Bitto, ma anche una bella lepre in salmì e formaggi
stagionati fanno matrimonio d’amore. Lo chef-patron Filippo La Mantia (omonimo
ristorante a Milano), siciliano, che però ha in uggia aglio e cipolla, l’ha
proposto con un originalissimo quanto gustoso primo di paccheri in “zuppa forte”
di pesce e cime di rapa, piccantino e saporoso, quanto azzeccato.
* PG 40, Valtellina Superiore
Sassella Docg 2012, sui 28 € la bottiglia. Prodotto da Cantina La Spia, via Nazionale 68, Castione Andevenno (Sondrio), www.ribelwine.com .
L’accento è grave, ma il
vino è soave. Il Ruchè (non Ruché)
di Castagnole Monferrato, è un rosso
Docg piemontese, dai numeri modesti
(136 ettari di vigneto coltivati su 7 piccoli comuni, 776mila bottiglie
prodotte nel 2016, divise fra 35 produttori), ma dalla storia quasi
leggendaria. In realtà persino il suo nome ha avuto diverse grafie, prima che
la Docg lo codificasse come Ruchè. Era scritto anche con l’accento acuto o
addirittura con un francesizzante dittongo ou:
Rouché o Rouchét. L’uva, coltivata sin dal Medioevo sulle colline del
Monferrato, ha cominciato ad affermarsi come vino da tavola di una certa
valenza con Luigi Veronelli, che ne scrisse sui suoi cataloghi dei vini degli
anni Sessanta (Bolaffi) e poi del
1986 (Giorgio Mondadori). Veronelli
lo definisce “rosso rubino, sottolineato da vivaci riflessi viola”; ne avverte
un “bouquet ben dichiarato con sentori di frutta e rosa e, più marcato, di
viola”; in bocca lo trova “asciutto, sapido, con sentore di spezie; duro al
primo contatto, si apre in bocca per nerbo sano e stoffa consistente, che si
prolunga in velluto; pieno carattere”. Lo consiglia in abbinamento a “piatti
saporosi della cucina locale, in particolare sulla spalla di vitello brasata”.
Cita e pubblica le etichette di quattro produttori: Scarpa, Rabezzana, Biletta
e Cauda.
Ed era stato proprio Don
Giacomo Cauda, parroco di campagna, a (ri)vinificare per primo, in epoca
recente, quelle uve scontrose con l’obiettivo di ottenerne un vino di qualità. Negli anni Sessanta creò l’etichetta Ruchè del parroco, con un angelo dalle ali aperte come emblema e nei lustri successivi il Ruchè verrà identificato con quel nome e quell’etichetta. Il vino era buono, particolare e piano piano anche altri vignaioli si fecero avanti, recuperando magari una tradizione familiare caduta in oblio, a favore dei più produttivi barbera e grignolino. Arriva anche la Doc (e negli anni Duemila, la Docg) e il Ruché diventa un vino di un certo successo.
recente, quelle uve scontrose con l’obiettivo di ottenerne un vino di qualità. Negli anni Sessanta creò l’etichetta Ruchè del parroco, con un angelo dalle ali aperte come emblema e nei lustri successivi il Ruchè verrà identificato con quel nome e quell’etichetta. Il vino era buono, particolare e piano piano anche altri vignaioli si fecero avanti, recuperando magari una tradizione familiare caduta in oblio, a favore dei più produttivi barbera e grignolino. Arriva anche la Doc (e negli anni Duemila, la Docg) e il Ruché diventa un vino di un certo successo.
Don Cauda nel 1993 per
ordini superiori però deve alienare le proprietà fondiarie, vigne comprese,
all’istituto diocesano per il sostentamento del clero, che le rivende. Il
parroco del Ruchè morirà 79enne nel 2008. Le vigne erano intanto passate al
produttore locale Francesco Borgognone, il quale nel 2016 le rivende a Luca Ferraris,
un giovane agronomo entusiasta del vino del territorio, legato a Castagnole da
4 generazioni familiari e ben deciso a volorizzarlo al massimo.
Già l’Agricola Ferraris
produceva Ruchè in tre versioni, l’Opera prima, un Ruchè d’invecchiamento, fiore all’occhiello della produzione, Clàsic,
una selezione, e Bric d’Bianc, di più facile beva. Con la Vigna del parroco Ferraris
vuole riportare in auge il tradizionale rosso di Don Cauda, vuole farne un
marchio a parte, esaltare l’unico cru riconosciuto sul territorio, quasi come
un prodotto eterno, punto di riferimento storico e attuale del vino. Così, il nuovo, antico Ruchè, è appena uscito
in veste rinnovata, con quel nome e quell’emblema, ma ripensati secondo uno
stile contemporaneo. Come lo stesso vino, che mantiene intatte le migliori
caratteristiche di piacevolezza, carattere ed estrema eleganza.
* Ruchè di Castagnole
Monferrato Docg, Vigna del parroco 2014, 15
€ la bottiglia. Prodotto da Agricola Ferraris, S. P. 14, loc. Rivi 7,
Castagnole Monferrato (At), tel. 0141.292202, www.ferrarisagricola.com.
Tutto risulta piuttosto
anomalo quando si parla di Caiarossa. Il nome. Che vuol dire? È un richiamo al
rosso intenso dei terreni, caratterizzati dalla presenza di diaspro, rocce e
ghiaia; e a Gaia, madre degli dei dell’Olimpo e dea della fertilità. Il luogo.
La Val di Cecina, non esattamente rinomata per i suoi vini. I metodi.
Biodinamico per l’agricoltura; geodinamico e Feng Shui per il progetto della
cantina. La proprietà. Toscana? No francese, con un olandese, Eric Albada
Jelgersma alla guida, forte anche dell’esperienza proprietaria di due châteaux
nel Margaux, i Grands Crus Classés Château Giscours e Château du Tertre. I
vitigni. Sangiovese? Poco, qui trionfano gli internazionali, in prevalenza
quelli d’Oltralpe: cabernet franc e sauvignon, merlot, petit verdot, syrah,
alicante per i rossi; chardonnay, viognier e petit manseng per i bianchi.
La cantina, circondata dai
vigneti, è appoggiata sul versante sud-ovest di una collina. Il clima non è mai
eccessivamente caldo, grazie all’altura e alla brezza marina che vi spira.
Vendemmia rigorosamente manuale, in cassette: da settembre a novembre, quando
l’ultima uva, quella del petit manseng, viene raccolta dopo l’appassimento in
pianta; darà luogo a un vino da vendemmia tardiva straordinario, chiamato Oro
di Caiarossa: perfetto con Gorgonzola a due paste (piccante) e Roquefort. Ma è
l’unico vino manovarietale, gli altri sono quasi tutti un mosaico di vitigni,
vinificati parcella per parcella e ricomposti in assemblaggi difficili, ma ben
studiati per risultare armonici.
Il Caiarossa bianco è fatto
con viognier e chardonnay, con un passaggio di poche settimane in legno
piccolo. I rossi sono tutti vini “da taglio” (nel significato bordolese).
L’unico che parla toscano è il Pergolaia, basato su sangiovese, con piccole aggiunte
dei due cabernet e di merlot. Già si respira Aria di Caiarossa (e cioè anche di
bottiglie più importanti) con l’omonimo Igt Toscana, composto da cabernet
franc, merlot, syrah e cabernet sauvignon, fresco, morbido, dopo la maturazione
in barrique e tenneau. Ma il vino portabandiera dell’azienda è il Caiarossa, uvaggio di ben sette
vitigni: merlot, cabernet franc e sauvignon, syrah, sangiovese, petit verdot e
alicante. Vigne di 17 e 18 anni, di oltre 9mila piante per ha. E 40 q.li d’uva,
sempre per ha. Barrique e tonneaux francesi, nuove e usate, per circa 18 mesi
in media e 6 mesi di vasca in cemento prima dell’imbottigliamento. In annate
particolari viene prodotto anche l’Essenzia di Caiarossa, superselezione
imbottigliata solo in magnum.
Attualmente è in vendita il
Caiarossa 2013, ma annate più vecchie, degustate nel corso di una presentazione
al Park Hyatt di Milano, hanno dato risultati molto apprezzabili, in
particolare la 2006, ricca ed elegante. Freddo d’inverno, una primavera piovosa
e un agosto più freddo della media hanno prodotto condizioni avverse per la
crescita dell’uva, nel 2013. Ma i preparati biodinamici utilizzati al momento
giusto e le perfette condizioni di settembre hanno fatto ritrovare equilibrio
al vigneto, con giusta maturazione dei tannini, senza zuccheri in eccesso. Il
colore è un bel rosso rubino fitto, i profumi prevalenti sono di piccoli frutti
rossi e prugna e già si avverte un poco di tabacco e pelliccia bagnata. In
bocca appare ricco, elegante e sapido, con tannini in evoluzione. Il neo
bistellato Michelin Andrea Aprea, chef del ristorante Vun del Park Hyatt, l’ha proposto in abbinamento a una spalla
d’agnello con rape e malto d’orzo. Perfetto.
* Caiarossa, Toscana Igt 2013, sui 45 € la bottiglia. Produttore:
Caiarossa, Podere Serra all’Olio 59, Riparbella (Pisa), tel. 0586.699016, www.caiarossa.com .
Era il sogno di Mino Calò,
gran patron di Rosa del Golfo, prematuramente scomparso a 55 anni, nel 1998.
Dopo aver realizzato un grande rosato come il Rosa del Golfo, che dà il nome
all’azienda, voleva produrre anche un grande rosso con i vitigni autoctoni del
Salento. Ci sono riusciti i figli, Damiano e Pamela, con la mano sapiente
dell’enologo Angelo Solci. Quarantale è
il nome del vino, che in dialetto salentino significa solco, quello che si
scava nel terreno per poi piantarvi una vigna nuova. Il vino viene prodotto
solo nelle annate ritenute migliori e così, dopo il 2010, è ora la volta del
2013, cui seguirà il 2015, che sta ancora maturando in botte.
Il rosso attualmente in
commercio, è il frutto del meditato
assemblaggio di negroamaro (70%), primitivo (20%) e malvasia nera (10%). I
vigneti ad alberello, di 50 anni, si trovano a pochi km dal mare e fanno tesoro
della brezza salina e di un’escursione termica notevole, che aiuta a conferire
al vino toni lievemente balsamici. Le tre uve sono vinificate separatamente e quindi assemblate per
trascorrere un anno a maturare nelle piccole botti da 228 litri. Riposano poi
ancora un anno in bottiglia. Il 2013 è stata un’annata buona per gran parte dei vini italiani.
Non diversamente per Quarantale che, dopo l’opportuno invecchiamento, è
risultato all’assaggio strutturato ma elegante, con profumi di macchia
mediterraneo (elicriso, pino) e spezie, e un tocco balsamico. Bel finale, lungo e coerente.
Da provare sui piatti
locali, come gli involtini con le cento pezze (parti della trippa), pezzetti di
cavallo e anche altri piatti della cucina italiana, come costolette d’agnello,
selvaggina e formaggi saporiti.
* Quarantale, Salento Rosso
Igp 2013, 25 € la bottiglia. Prodotto da Rosa del Golfo, via Garibaldi 56,
Alezio (Lecce), tel. 0833.281045, www.rosadelgolfo.com
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