Toscana, paesaggio del Chianti |
Nel mare magnum del Vinitaly
incrociano arditi anche i piccoli navigli, non solo le possenti corazzate.
Chianti Classico,
Montalcino, Montepulciano, rappresentano la Toscana famosa nel mondo per i suoi
vini di tradizione. Ma in queste zone ci
sono grandi produttori (per fama e/o numero di bottiglie) e piccoli, magari
ancora poco noti, ma di qualità sicura, che tendono spasmodicamente
all’eccellenza. Senza indulgere troppo alla retorica del “piccolo è bello” o
del veronelliano motto - o sbotto - : “Il peggior piccolo vignaiolo è sempre
migliore del grande produttore”, ecco la vicenda e l’attualità di tre
vignaioli, più e meno piccoli, ma di grandi territori, qualitativamente
parlando. Uno per zona, ognuno con una storia autentica da raccontare, le sue
buone, a volte anche eccellenti bottiglie, da proporre. Partendo da nord-ovest verso
sud-est, dal Chianti Classico al terroir di Montepulciano.
La Sala.
Francesco Rossi Ferrini già possedeva, tramite la sua famiglia, dal 1941, a San
Casciano Val di Pesa (loc. Monteridolfi) Il Torriano, sede dell’omonimo
agriturismo, dove si coltivano sangiovese
e merlot su terreni argillosi di
colore rossastro (a 250-300 m. s.l.m.), che danno luogo a vini strutturati e di
colore intenso. Ma aveva messo gli occhi da tempo sulla tenuta La Sala, in loc.
Sorripa, caratterizzata da pendii dolci, più bassi (da 130 a 200 m. s.l.m.) e
terreni calcarei marnosi biancastri detti alberese. Finendo per acquistarla nel
2014. Anche i microclimi sono differenti, ma tutta questa diversità è benedetta.
Mixandoli con sapienza, i vini in uvaggio si completano: il Torriano apporta
struttura e colore, La Sala freschezza ed eleganza. Tuttavia nella
considerazione di non pochi “esperti”, la zona di San Casciano viene ritenuta
in qualche modo minore nella costruzione dei Chianti, perché per le sue
caratteristiche difficilmente può dar luogo a vini muscolari (ipertrofici, li
definisce l’enologo Stefano Di Biasi). Vini simili non li vogliono e del resto
forse non li possono fare né Di Biasi né Rossi Ferrini, che hanno puntato
piuttosto a prodotti identitari, di affermazione del territorio, un po’ meno
strutturati quindi, puntando di più sulla tensione acida e la pulizia del
fruttato.
I vini attualmente in
produzione sono solo tre, per un totale di circa 22mila bottiglie, la crème: se
ne fa di più, ma il resto viene venduto sfuso. Due i Chianti. Il Classico “base”,
fermentato in acciaio e in parte in botti grandi: nel 2012 emergono le note
della visciola, nel 2013 quelle agrumate, tutt’e due molto piacevoli e in
evoluzione. Nella Riserva 2011 (1500
bottiglie, 85% sangiovese, 15% cabernet
sauvignon, con fermentazione malolattica in botte del primo, in barrique del
secondo; e dopo il blend, maturazione al 50% nei due legni per 18 mesi, più 12
in bottiglia), si riconoscono ancora la visciola, lo zenzero candito, cannella,
eucalipto e tannini ben amalgamati. Armonia e complessità. Molto buona.
Ciacci Piccolomini d’Aragona. La tenuta ha origini addirittura seicentesche,
passa poi nel 1877 alla famiglia Ciacci, e quindi per matrimonio anche ai Piccolomini
d’Aragona, nella prima metà del Novecento. Si trova vicino al borgo medievale
di Castelnuovo dell’Abate e all’abbazia romanica di Sant’Antimo. Estinto il
casato, la proprietà è acquistata nel 1985 da Giuseppe Bianchini, noto
vignaiolo di Montalcino e, alla sua scomparsa, nel 2004, passa ai figli Paolo e
Lucia. I vigneti sono nella zona sud-ovest di Montalcino, non lontano dal fiume
Orcia, su terreni sassosi e galestro, a un’altitudine che varia da 240 a 360 m.
A Montenero (Grosseto) c’è un’altra cantina, dove vengono vinificate le uve
della Doc Montecucco Sangiovese. L’enologo è Paolo Vagaggini. A questo punto
occorre dire che i vini di Ciacci Piccolomini e di La Sala sono stati
presentati poche settimane fa a Milano, al Vun dell’Hotel Park Hyatt, sotto
l’egida di Luca Gardini, noto e vulcanico sommelier. In particolare Gardini era
presente alla degustazione di Ciacci Piccolomini, perciò ne riportiamo le
impressioni.
Le bottiglie in produzione
sono circa 250mila, ma una parte riguarda la Doc Montecucco, interessante, ma
meno pregiata della più nota Montalcino. Che inizia con due vini della
travagliata annata 2014, il Rosso e
il cru Rosso Rossofonte. Già
notevoli in assoluto, ancor più meritori, tenendo conto del millesimo. Lasciamo
scatenare Gardini, che parla, per il Rosso normale, di “note di lampone giallo,
di rosa, di florealità, pulizia, spezie pulite; acidità e tannino come punti di
forza in bocca, sentori citrini e sapidi”, azzardando un abbinamento con zuppe
di pesce. Il cru Rossofonte 2014, da una vigna più vecchia, è un’alternarsi di
note acide e dolci, floreale, “polveroso”, quasi balsamico. In bocca, compatto,
denso, tannino più croccante della versione normale (ammandorlato). Ben fatto,
senza note vegetali (ma qualcuna chi scrive l’ha avvertita…). Brunello 2011: secondo Gardini, “annata
dell’immediatezza”, dà il meglio di sé nei primi anni di maturazione. Pesca gialla “col pelo” (!), spezie
dolci e piccanti: zenzero. Pulito e verticale. Brunello Vigna di Pianrosso Riserva S. Caterina d’oro 2010. Gran
vino, perfetta sintesi del terroir e dell’annata, che ha portato piogge giuste
ed escursioni termiche perfette. Pulito, elegante, note di visciola e
freschezza donata dai sentori di alloro ed eucalipto; iodio. Grande espressività. Come esempio di
un’annata “vecchia”, ma soprattutto calda (ondate di calore, il peggio), si
degusta il Brunello Vigna di Pianrosso
1999. Qui risaltano sia le note empireumatiche (caffè torrefatto), che il
cacao, e poi olive in salamoia, salinità. L’annata calda omogeinizza il tannino
in anticipo, sostiene Gardini, che non è fiancheggiato dall’acidità.
Gracciano della Seta. La famiglia Svetoni, autoctona di Montepulciano,
possedeva la tenuta di Gracciano fin dai primi anni dell’Ottocento, compresa la
villa con giardino all’italiana. 400 ettari e 22 poderi in regime di mezzadria,
che producevano uva, vino e altri prodotti agricoli. Il Nobile delle cantine
Svetoni vinse un premio alla Fiera di Torino già nel 1864 e sussistono tuttora
nelle vecchie cantine della villa bottiglie di annate storiche. Per via
ereditaria la proprietà è passata nel Novecento a Giorgio della Seta Ferrari
Corbelli Greco e ai suoi tre figli Marco, Vannozza e Galdina. I vigneti sono
stati rinnovati (oggi 20 ha su 70 totali), alla cantina storica che ospita le
botti per la maturazione dei vini (grandi, da 25-50 hl, e tonneaux, da 500
litri) se ne è affiancata nel 2013 un’altra per la vinificazione. Mattoni
all’esterno, tecnologie di ultima generazione all’interno, con i vinificatori
in acciaio da 50 a 120 hl, con dispositivi per il rimontaggio e la follatura,
pompe peristaltiche (pompe pulsanti a rulli), presse pneumatiche…
I vini di Montepulciano,
come è noto, sono fatti con le uve prugnolo gentile (denominazione del
sangiovese, in zona), eventualmente canaiolo nero, malvasia del Chianti e, fino
al 10-20%, altri vitigni ammessi in provincia di Siena. I Della Seta utilizzano
solo prugnolo e merlot, coltivati su suoli limosi-argillosi a 300-350 m. s.l.m,
anche con vigneti risalenti al 1970, e rese fra i 30 e i 40 hl per ettaro.
Distinguono quattro cru, Casale, Maramai, Rovisci, Torraia, ma non producono i
vini da un solo appezzamento. Dal 2015 l’azienda è in conversione biologica e
utilizza in gran parte prodotti a base di rame e zolfo per combattere i
parassiti, evitando da tempo le concimazioni e intervenendo semmai con trasemine
di leguminose. La zona ventilata favorisce la sanità delle uve. La raccolta è
manuale e i grappoli vengono posati su carrelli vibranti con piano inclinabile
che li porta nella diraspatrice. Le bottiglie prodotte sono
circa 100mila in totale, divise fra un Rosso, due Nobile e un Rosato Toscana
Igt. Il Rosso di Montepulciano (30mila bottiglie) nasce dai cru di Casale e
Maramai, da 90% di prugnolo gentile e un 10% di merlot; fermenta e macera in acciaio con lieviti indigeni. Se ne producono circa 30mila bottiglie. Al naso ha il classico profumo di frutti rossi, in bocca risulta secco e un po’ tannico, ma setoso. Il Vino Nobile (40mila
bottiglie) nasce nei cru di Rovisci, Maramai e Toraia, sempre da prugnolo
gentile e 10% di merlot e subisce due tipi di maturazione: il 40% in tonneau da
3,5 e 5 hl, il 60% in grandi botti da 25 hl, per 18 mesi. Il vino risulta
evidentemente più complesso del Rosso, ai sentori di ciliegia si aggiungono la
prugna, anche la viola, un accenno di spezie; in bocca è sapido, i tannini sono
ben integrati grazie anche alla spalla giustamente acida, risulta equilibrato
ed elegante.
Chianti Classico, Montalcino e Montepulciano. |
La Riserva del Nobile
(6-7mila bottiglie) si avvale delle uve dei cru Maramai e Rovisci. La produzione
per ha si abbassa da 40 a 30 hl, i mesi
di maturazione diventano 24, metà nei tonneau e metà nelle botti grandi. Si
aggiunge un affinamento di almeno sei mesi in bottiglia. Il vino si fa più
intenso e complesso, si aggiungono sentori più marcati di spezie, cuoio,
equilibrio e sapidità in bocca, eleganza e lunghezza del sorso. Infine, nel Rosato Igt Toscana (100% prugnolo gentile,
4mila bottiglie), ottenuto per criomacerazione sulle bucce per 4-5 ore,
s’intuiscono sentori e note fruttate, dalla ciliegia al lampone e anche,
sottili, di rosa, una freschezza e sapidità adeguate. Peccato che al campione
degustato facesse velo un leggero, ma evidente sentore di tappo…
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