Cous cous alla trapanese in versione extralusso... |
Il Gran Visir del 13 Giugno è pure modesto. Impeccabile nel suo abito nero firmato Lazzarin, sovraintende alla sala con portamento signorile. Una sorta di Principe di Salina: più che gentile, nobilmente accondiscendente con i suoi commensali. Saverio Dolcimascolo (a fianco, col figlio Edoardo) quando i suoi camerieri posano i primi piatti in tavola davanti ai clienti non augura buon appetito, ma “Buon divertimento!”. Se gli si chiede se la cucina del suo ristorante sia siciliana rivisitata, creativa, magari, perché no, molecolare, risponde: “Qui non inventiamo niente, proponiamo le care, vecchie ricette tradizionali, di Messina e Palermo, di Trapani e Catania. Per di più, sempre con materia prima siciliana, una parte del menu è strettamente ittica”. È vero. Niente accostamenti azzardati, uso di sifoni e altre simili diavolerie “stellate”, ma sapori netti, precisi, suntuosi nei piatti del 13 Giugno. Se non si gradiscono (eppur quanto sono buoni) le caponate di melanzane o le sarde a beccafico, i golosi involtini di pesce spada o le busiate trapanesi col tonno, si gira la pagina del menu ed ecco il Gran misto di frutti di mare e crostacei, i vari carpacci e tartare di tonno, spigola, orata, baccalà fra i crudi. E poi i cotti, come il Gran misto gratinato e le insalate - di tonno (alla Pantesca), di gamberi e scampi (alla catalana), di polpo e patate.
Tra i primi, paste e risotti, sempre di pesce. E ancora pesce e crostacei come secondi - cernia, rombo chiodato (il migliore), spigola dei mari siculi, gamberoni di Mazara. Sempre, un Cous cous: di pesce alla trapanese. Al l3 Giugno per il nome si adotta la traslitterazione francese dell’arabo كسكس, ma in Sicilia, dove appunto portarono questa preparazione gli Arabi, si chiama tradizionalmente Cuscusu: e lo si vuole, oltre che con la semola fine di grano duro che lo caratterizza, accompagnato da pesci assortiti come scorfano, cerniette, dentice, merluzzo. Ma patron Saverio no, lui lo vuole nobile il suo Cous cous alla
Tabulè alle verdure |
trapanese: e così ci mette astice, gamberi, scampi, triglie, fasolari e poi si concede un piccolo excursus nella cucina popolare con sarde e cozze. Questo piatto, servito da un coccio posato su uno scaldino portatile, è piuttosto abbondante e permettendo un secondo e magari un terzo servizio, fa sì che possa fungere anche da piatto unico. Questo fino a ieri. Perché da oggi e sino a fine ottobre i Cous cous si moltiplicano.
È un piccolo Cous cous Festival che ne propone ben sei. Ci sono quello incocciato a mano di pesce misto (filetti di gallinella, triglia e scorfano), alla trapanese (prezzo: 35 €) e il Tabulè servito con verdurine della tradizione, uvetta Passolina, pinoli, spezie e brodetto vegetale (servito da una ciotola a parte), che potrebbe fungere da antipasto (prezzo: 25 €).
Cous cous alle seppie |
Per il Cous cous con le seppie, si passa a un Etna rosato, da uve Nerello mascalese e cappuccio, dal bel colore buccia di cipolla, di buona armonia e giusta acidità, della Tenuta delle Terre nere. Con il tradizionale Cous cous alla trapanese, ci si deve elevare a un rosso pluripremiato come l’Etna Rosso di Francesco Tornatore, pieno e vibrante (foto a destra).
Come farsi sfuggire una maestosa conclusione del pasto? La classica Cassata (dall’arabo quas’at, grande ciotola rotonda), dolce poi rielaborato nelle pasticcerie dei conventi come quello della Martorana di Palermo, è un finale perfetto, durante il quale duetta con la Malvasia delle Lipari di Nino Caravaglio, in un ghiotto gioco di morbidezze e vibranti acidità.
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