L'uva Petit Verdot, d'origine bordolese |
Semiestinto, torna lentamente in auge
Vitigno storico del
Bordolese, coltivato solo nel Médoc, oggi lo si ritrova anche nella zona delle
Graves. Matura tardivamente, ma, una volta vinificato, apporta al vino colore
intenso, ricchezza di tannini e potenza aromatica, in primo luogo il sentore di
violetta. L’uva è coltivata in poche centinaia di ettari e figura ancora come
componente minore nei cosiddetti Grand cru classé del Médoc. Sostiene Romain
Iltis, miglior sommelier di Francia per il 2012, che quest’uva è presente nei
cru classé del Médoc in proporzioni che vanno dal 4 al 6% (il resto è Cabernet
sauvignon e Merlot), fino al 15% di
Chateau
La Lagune (www.chateau-lalagune.com, prezzo: da 34 € la bottiglia). Vitigno difficile, nel Bordolese maturava bene solo una o due
volte per decennio, e quindi era ormai in via d’abbandono, ma con il
riscaldamento climatico degli ultimi anni è in corso un moderato ritorno al reimpianto.
Certo, ha bisogno di molte cure e attenzioni: dovrebbe avere la testa al sole e
i piedi all’umido, come dicono nel Bordolese. Non sopporta infatti lo stress
idrico e andrebbe coltivato con una resa di non più di 30 ettolitri per ettaro.
Bisogna poi cogliere l’attimo fuggente per vendemmiarlo appena è maturo, in 24
ore.
E i pregi? Struttura forte
in tannini (da ammorbidire ovviamente con le botti piccole, le barrique), colore
rosso profondo, bei profumi di mirtilli e caffè, cacao e cuoio, potenza in
bocca.
IN ITALIA
Il Petit Verdot è
contemplato in alcune Doc, come Bolgheri Rosso, Offida Docg Rosso, in alcune Igt,
come Lazio, Sicilia e Toscana (anche in purezza).
IL MIGLIORE Particolarmente interessante è l’esperienza di un
piccolo (90mila bottiglie l’anno) e rigoroso produttore toscano, Campo alla Sughera, di Bolgheri
(www.campoallasughera.com), proprietà della famiglia Knauf. Nei circa 17 ettari
coltivati, le viti (tranne il Vermentino) sono quasi tutte di origine francese:
Cabernet, sauvignon e franc, Merlot, Petit Verdot appunto, e per i bianchi,
Sauvignon e Chardonnay). Qui il Petit Verdot ha trovato una sua collocazione
precisa, è addirittura maggioritario nel vino-simbolo dell’azienda, il Campo alla Sughera, prodotto solo nelle
annate
migliori, ed entra col 20%, alla pari del Merlot (il 60% va ai due Cabernet)
nel Bolgheri Superiore Arnione,
secondo vino rosso per importanza. Per
capirne di più sulla rilevanza del vitigno Petit Verdot, è opportuno lasciare
la parola all’enologo Giovanni Bailo.
Racconta Bailo, che dopo
anni di esperimenti in campo con i vari vitigni, quello che ha fornito le
prestazioni migliori e più omogenee è stato proprio il Petit Verdot. “Quest’uva
può dare vini molto strutturati, data la sua superiore dotazione di polifenoli,
ma anche completamente fuori misura, squilibrati. E invece nel nostro terroir
il vino risulta sì potente e ricco, ma anche elegante ed equilibrato”. Come
mai? Bailo ritiene che il segreto, a Campo alla Sughera, stia nel terreno a
matrice sabbiosa, ma con sottosuolo più variegato. L’assenza di argille è
valutata positivamente, dato che in questa situazione potrebbero dare al vino
note erbacee invasive. Le sabbie insomma ingentiliscono l’uva, senza nuocere
alla sua complessità aromatica. Un altro accorgimento consiste nella lunga
maturazione, di ben quattro anni (due in legno e due in vetro). Il rovere è
quello di barrique francesi nuove, ben stagionate all’aperto per almeno quattro
anni. Il Campo alla Sughera non è proprio un Petit Merlot in purezza, ma vi si
avvicina, essendo il vino di quest’uva presente al 70%, mentre il restante 30%
è Cabernet franc.
Toscana Igt, Campo alla Sughera 2009
È finalmente uscito sul
mercato il 2009, la quarta annata del Campo alla Sughera. I primi due anni
(2006 e 2007) al posto del Cabernet c’era il Merlot, poi dal 2008 si è optato
per il Cabernet franc. Il 2010 e il 2014 non usciranno, visto che le vendemmie
non sono state all’altezza di un prodotto che si vuole d’élite. Ma ecco la
valutazione di Bailo, che, pur nella modestia della mia esperienza, coincide
sostanzialmente con il mio giudizio, espresso nel corso di una cena ad hoc all’eccellente
ristorante Il Montalcino di Milano, fondato
dall’indimenticabile Edgardo Sandoli e oggi gestito dalla figlia Marta
(www.ilmontalcino.it).
Guanciale stracotto al vino rosso de Il Montalcino di Milano |
Sostiene Bailo: “Colore
densissimo e compatto fino al bordo, profumo fine e di variegata complessità
(si coglie tutto, dai fiori ai frutti, dalle spezie alle note balsamiche, poi
liquirizia, tabacco, cioccolato). Infine: “Sapore elegante, rotondo, avvolgente
e lunghissimo”. Non si potrebbe dir meglio. O, forse, con altre parole: morbido
e complesso allo stesso tempo, ma non difficile, anzi, alla portata di chiunque
può amare un vino adatto alla selvaggina, a uno stracotto, a formaggi
stagionati. Prezzo: 65-70 € la bottiglia.
Anche nel Bolgheri Superiore Arnione 2010 (36 €),
a ben sentire, si avverte la presenza del Petit Verdot (20%, come il Merlot, il
restante 60% Cabernet franc e sauvignon) nell’evidente speziato e nella
complessità olfattiva.
PV NEL LAZIO
L’Igt Lazio contempla la
possibilità di fare vino con una serie di vitigni singoli, in purezza. Fra
questi, il Petit Verdot, che sembra aver trovato condizioni ideali nell’Agro
Pontino, in provincia di Latina. Per questo terroir, gli esperti parlano di
persistente brezza marina, grande luminosità e terreni caldi che permettono la
piena maturazione dell’uva (ricordiamo che si tratta di una varietà tardiva).
Però, c’è chi lo fa bene e chi tende a svilirlo. Vediamo.
MIGLIOR RAPPORTO QUALITA’/PREZZO Svetta il Petit Verdot di Casale del Giglio (loc. Le Ferriere, Latina, www.casaledelgiglio.it), l’azienda
agricola della famiglia Santarelli, che
produce circa 1,2 milioni di bottiglie l’anno. L’enologo Paolo Tiefenthaler utilizza
l’uva Petit Verdot in misura diversa nei vini di vertice Mater Matuta (un Syrah,
in prevalenza, 15% di PV) e Madre Selva (Cabernet
Sauvignon 40%, 30% PV, 30% Merlot). Il Petit Verdot 2013 in purezza non raggiunge le vette di complessità e profondità del Campo alla Sughera, ma è fruttato, polposo, con un suo velluto particolare e sentori che spaziano dalla ciliegia al ginepro, fino al pepe bianco (ricorda, per certi versi, un vino piemontese poco noto come la Pelaverga di Verduno). Vinificazione realizzata sia con cappello sommerso sia con follature per ottenere tannini più dolci e colore più intenso. Viene effettuato il cosiddetto délestage, una tecnica che prevede la svinatura parziale del mosto ancora in fermentazione per riossigenare il futuro vino e disperdere la vinaccia omogeneamente: si accentua così la cessione degli antociani, che danno il colore rosso e dei polifenoli. Prezzo: 10 € la bottiglia.
Sauvignon 40%, 30% PV, 30% Merlot). Il Petit Verdot 2013 in purezza non raggiunge le vette di complessità e profondità del Campo alla Sughera, ma è fruttato, polposo, con un suo velluto particolare e sentori che spaziano dalla ciliegia al ginepro, fino al pepe bianco (ricorda, per certi versi, un vino piemontese poco noto come la Pelaverga di Verduno). Vinificazione realizzata sia con cappello sommerso sia con follature per ottenere tannini più dolci e colore più intenso. Viene effettuato il cosiddetto délestage, una tecnica che prevede la svinatura parziale del mosto ancora in fermentazione per riossigenare il futuro vino e disperdere la vinaccia omogeneamente: si accentua così la cessione degli antociani, che danno il colore rosso e dei polifenoli. Prezzo: 10 € la bottiglia.
IL PREZZO STRACCIATO Se si dovesse badare solo al costo, però, il Lazio
Igt Petit Verdot 2013 della Cantina Sociale di Monte Porzio Catone
(www.cantinasocialempc.com) sarebbe imbattibile: 3,98 € la bottiglia sugli
scaffali del supermercato Esselunga, spesso in offerta addirittura a 2,38 €
(-40%). Dire che questo vino sia imbevibile, sarebbe eccessivo; certo,
confrontato con quello di Casale del Giglio (che sviluppa 13,5° di alcol contro
i suoi 12,5°) risulta “moscio”, un po’ scombinato, senz’anima.
E ANCHE IN SICILIA LU SANNO FARI
Producono anche Nero d’Avola e
Moscato di Noto, ma il vino portabandiera di Baglio di Pianetto (www.bagliodipianetto.com), della famiglia del conte Paolo Marzotto,
in primis la nipote Ginevra Notarbartolo di Villarosa, è un Petit Verdot in purezza: il Carduni. Siamo in Sicilia, a Santa
Cristina Gela, una delle tre comunità albanofone dell’isola, a 25 km da
Palermo. Su circa 550mila bottiglie di vino biologico, solo 6500 sono qualificate
come Sicilia Igt Petit Verdot, ma rappresentano il vertice, assieme al Nero
d’Avola Cembali. I vigneti sono situati a circa 650 metri s.l.m., su suolo
argilloso e con notevole escursione termica. E qui, non si sa bene in virtù di
quali “magie”, la pianta del PV cresce bene, sana e dà grappoli ottimi per la
vinificazione. L’irruenza caratteriale del vitigno abbisogna di una lunga
maturazione nelle piccole botti (18 mesi) e di ugual tempo in bottiglia. Il 2011 è pieno, compatto, di gran corpo
(supera i 14° d’alcol), speziato, con ricordi di frutta matura, cuoio, ma anche
cacao e menta. Grande Piccolo Verdot! (26 € la bottiglia).
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