Bacco d'inverno è triste…ma si consola con un bel calice di rosso (quadro di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio) |
In questo mezzo inverno, che
ancora non sa di primavera, rimane la voglia di vini gagliardi, robusti. Ma forse anche di rossi
un po’ fuori dagli schemi consueti dei Barolo/Brunello/Amarone, di cui in queste settimane si celebrano le anteprime di un’annata, il 2015, che sembra
essere straordinaria. Grandi vini, per carità, anche meno austeri di un tempo,
ma non sempre con un rapporto equilibrato fra qualità e prezzo, che rimane,
quest’ultimo, piuttosto alto.
Ecco allora una panoramica
di rossi di grande qualità o anche solo soddisfacente, ma dall’ottimo rapporto
con il portafoglio. Certo, più il costo è elevato, più la qualità dev'essere all'altezza...
Autoctono e figlio di dei
maggiori? Sì e no. Perché l’Albarossa, vitigno e vino piemontese, è ancora
abbastanza sconosciuto ai più. I suoi genitori si chiamano Barbera e Nebbiolo.
Cresciuto dapprima esile, oggi è una piccola ma bella realtà, si fregia della
Doc e conta una trentina di produttori delle provincie di Alessandria, Asti e
Cuneo. Il creatore del “nuovo” vitigno fu Giovanno Dalmasso, nel 1938, che incrociò
un tipo particolare di Nebbiolo con la Barbera. Per decenni si trattò solo di
un interessante esperimento quasi dimenticato, poi alcuni produttori, resisi
conto delle potenzialità dell’Albarossa, iniziarono a vinificarlo seriamente.
Fra essi spicca Michele Chiarlo di Calamandrana, (Asti), con la sua Albarossa Montald. Il vitigno è a
maturazione tardiva e abbina l’alcolicità elevata a una giusta acidità e buona
intensità di colore, il classico rubino con sfumature viola. Si avvertono
prevalenti sensazioni fruttate, ma anche floreali, e speziate (tabacco). Bella
struttura, velluto, armonia. Da abbinare a formaggi stagionati, carne alla
griglia o al forno, arrosti.
Nord-est, ovvero Veneto, una
delle regioni più prolifiche per quantità di vino e con una perla mondialmente riconosciuta,
l’Amarone. Un suo parente stretto in grande spolvero negli ultimi anni, è il
Valpolicella Ripasso. Quello de La
Collina dei ciliegi di Grezzana (Verona), ) di colore rubino, già con riflessi granati, bei
sentori di prugna e ciliegia e poi di spezie dolci, in bocca risulta sapido,
secco con una sua eleganza, quasi vellutato. Ma come si fa il Ripasso?
Procedendo a una seconda fermentazione sulle vinacce dell’Amarone e del
Recioto. Il vino acquisisce così carattere e morbidezza. Le uve sono Corvina
veronese, Corvinone e Rondinella. La maturazione si svolge per 9 mesi nel
rovere, poi ancora 6 mesi in bottiglia.
▣ Valpolicella Ripasso Superiore Doc 2013, Collina dei ciliegi. www.lacollinadeiciliegi.it.
Prezzo: 22- 25 €.
Prezzo: 22- 25 €.
Alauda è
la colomba, pardon l’allodola (dal latino alauda,
alaudae) tirata fuori dal cilindro dal “prestigiatore” Ruffino per conquistare il mercato
d’alta gamma del vino. Ci può riuscire? Vediamo. Per ora solo poche bottiglie
numerate (4.800) e un prezzo elevato (80 €). Per differenziarsi da vini di
pregio che sono già in portafoglio, certo di gran qualità ma relativamente austeri
quando la base è il Sangiovese (Chianti, Brunello, Vino Nobile), l’enologo Gabriele
Tacconi e l’a.d. Sandro Sartor hanno escluso il pur nobile vitigno toscano. E puntato
se non tutto, molto sul Cabernet: attenzione, Franc, non Sauvignon, e su cloni
della Loira (piuttosto diversi da quelli bordolesi). Qui infatti il Franc si
caratterizza per colore poco intenso, una certa carenza di acidità, le note
erbacee e tannicità limitata. Ma
nel vigneto Rapale delle tenuta di Poggio Casciano, dal particolare microclima, con un suolo povero e argilloso, la pianta raggiunge un ottimo equilibrio vegetoproduttivo, con buon contenuto di zuccheri e ancor più ridotta acidità, minori note vegetali a vantaggio della morbidezza dei tannini. La vendemmia manuale, per l’annata
2011, è iniziata il 5 settembre con il Merlot, l’altra uva che entra
paritariamente (al 45 %) nel connubio. Una settimana dopo è stata la volta del
Cabernet e quella successiva del Colorino, presente al 10% per dare più colore
al vino e accrescerne la morbidezza. In cantina
si è proceduto con pratiche come la follatura (reimmersione delle vinacce nel
mosto in fermentazione) e rimontaggi per un mese circa; poi alla conversione
malolattica (l’acido malico, aspro, si trasforma in acido lattico, più delicato).
L’Alauda
trascorre due anni in piccole botti di rovere (delle foreste francesi di Allier
e Tronçais) di primo e secondo passaggio e sei mesi di affinamento in
bottiglia. Risultato: un vino di grande personalità, cremoso, morbido,
suadente, con note fruttatate (prugna), balsamiche (ginepro) e un sentore
curioso, che richiama certi formaggi erborinati (più lo Stilton che il
Gorgonzola). Al di là di qualsiasi disamina tecnica, indubbiamente un grande
vino, esclusivo, per ora, per numero di bottiglie e prezzo, ma alla portata di
qualsiasi palato, per la piacevole complessità (e non è un ossimoro!) della
beva.
▣ Alauda, Toscana Igt 2011,
Ruffino, www.ruffino.com.
Prezzo: 80 €.
Syrah e Nero d’Avola, due
vitigni “siciliani” che per una parte della critica enologica sono nell’occhio
del ciclone. Chi critica il primo per essere alloctono, chi il secondo per
essere “troppo” autoctono, in definitiva snaturato: tutt’e due per essere prodotti
con risultati organolettici troppo simili a quelli di qualche altro vitigno
internazionale, come Merlot e Cabernet.
Facciamocene una ragione e
badiamo, volando più un basso, principalmente alla piacevolezza.
Prezzo conveniente e bevibilità senza pensieri sono proprio il marchio di fabbrica di una grande cooperativa come la Settesoli di Menfi (Agrigento), che sfodera 25 milioni di bottiglie ogni anno,
da vitigni autoctoni e internazionali, in generale vinificati in purezza. Fra
le poche eccezioni, il Seligo Rosso
2014 (circa 60mila bottiglie), mix paritario di Nero d’Avola e Syrah, appunto: colore
rubino scuro, profumi in cui risaltano la prugna, la ciliegia e il ribes , sapore caldo e scorrevole con
qualche nota salina, di piena soddisfazione. D’elezione con formaggi semistagionati,
maialino in agrodolce.
Grande
Syrah in purezza sulle Madonie, a mille metri circa d’altitudine, vista sull'Etna, montagna e vulcano su cui qualche anno fa un'egittologa francese scoprì una serie di piramidi in pietra lavica.
Dove? A Gangi (Palermo), paese di
circa 7mila anime, ma noto per alcune qualifiche - Comune gioiello d’Italia,
Borgo dei borghi, fra i “Plus beaux villages de la terres” - balzato a
improvvisa notorietà qualche tempo fa, quando il sindaco mise in vendita case
abbandonate nel territorio a 1 €.
Costa di più (20 €), il vino
S ’14, Syrah Terre Siciliane Igp,
della Tenuta San Giaime. Come risponde il proprietario Salvatore
Cicco (imprenditore milanese nato a Gangi), a severa richiesta di giustificazione, sulla scelta di un vitigno “straniero”
in purezza e sul prezzo relativamente alto? Con la leggenda e con la scienza.
Leggenda. Sarebbero
stati i pellegrini provenienti dal Medio Oriente e diretti a Santiago di
Compostela in Spagna, passando dalla Sicilia per raggiungere la Via Francigena,
a transitare proprio dal territorio di San Giaime, a Gangi. Giaime risulta
essere la traduzione dialettale dello spagnolo Jaime, variante di Santiago, che
identificano il nostro Giacomo. Tra i doni dei pellegrini, per riconoscenza
all’ospitalità dei locali, vi erano anche barbatelle del vitigno Syrah,
originario della Persia. Verità. Da
circa un secolo
il padre dell’attuale titolare e prima il nonno, coltivavano in
zona il vigneto. Nel 2006, dopo un periodo di abbandono, Salvatore Cicco, con il cognato cantiniere e il figlio Alessio, reimpiantano
il Syrah nella proprietà di famiglia e con l’aiuto del consulente Gianfranco
Cordero iniziano dopo alcuni anni a produrre poche bottiglie di Syrah di
montagna in purezza. Il sovescio in vigna è l’unico “concime” utilizzato,
eventualmente d’estate poco zolfo (max 45 mg/lt di solforosa, normalmente si
può arrivare anche a 160). Raccolta manuale in cassette, fermentazione
spontanea su lieviti indigeni,
affinamento in serbatoi tronco-conici di cemento e in barrique per un totale di
9 mesi, più altri tre in bottiglia. Solo 4.500 bottiglie vendute in loco e
in poche enoteche, fra cui la Serio di Cefalù e il negozio bio Santé di via De
Amicis a Milano. Non proprio a caso: infatti San Giame è in via di riconversione
biologica, sarà pienamente bio con la prossima vendemmia. Qualche bottiglia si può trovarla anche nelle cantine di alcuni ristoranti di nome, dal Trussardi alla Scala di Milano all'Hunt & Fish Club di New York, all'Antica Osteria del Ponte di Tokyo. I profumi sono
fruttati, non solo di frutta rossa, ma anche secca, come le mandorle,
mentre in bocca è fresco, morbido e leggermente speziato, con giusta tannicità
per poterlo abbinare a tavola con piatti come il macco di fave, spaghetti alla
Nerano (con zucchine e Provolone del Monaco), salsiccia alla brace, filetto di
maialino alla mela, piatto d’eccellenza del ristorante Enoteca Viola di Milano
(www.violaenoteca.com), ove si può
gustare l’S ‘14 e un’interessante
selezione di altre buone bottiglie italiane e francesi, anche al bicchiere.
Filetto di maiale alla mela con il Syrah Tenuta San Giame |
▣ S ‘14, Syrah Terre Siciliane Igp, Tenuta San Giaime, www.tenutasangiaime.it. Prezzo: 20 €.
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