sabato 9 novembre 2024

Rossi d’Italia e di Francia, fra le brume autunnali. Dalla Sicilia alla Linguadoca passando per il Triveneto

 




Le prime brume autunnali, qualche giornata più rigida e le piogge copiose fan venir voglia di lasciar da parte i bianchi estivi e di passare ai vini rossi. È sbagliato? No, i desideri vanno assecondati, ma cum grano salis. Cioè con discernimento. Riguardo a che? Alla temperatura, esterna e interna, al tempo e soprattutto all’abbinamento con i piatti. Ormai è abbastanza noto che, come in estate si possano bere con soddisfazioni vini rossi non troppo corposi o tannici con il pesce, così non c’è motivo di non accostare vini bianchi strutturati a piatti di carne non troppo salsati o di “brevi” cotture. Perline di saggezza popolare che ci portano diritto ai vini rossi. I quali si presentano qui in prima persona all’inclito pubblico dei beventi: si parte dalle Madonie e si arriva alle Alpi e persino Oltralpe. Con, in qualche caso, un piacevole addentellato...bianco.

 

 

Dalla Sicilia...

Sono il Frappato, ho gli acini neri e succosi e sono nato in Sicilia, anche se alcuni fanno risalire i miei antenati alla Spagna del Settecento. La mia terra d’elezione nell’isola è comunque la zona di Vittoria, nel Ragusano: qui, col Nero d’Avola entro nell’uvaggio dell’unica Docg siciliana, quella del Cerasuolo di Vittoria, a cui dono un caratteristico fruttato e, ebbene sì, una certa raffinatezza. In solitudine (qualcuna sostiene splendida) do luogo anche al Sicilia Frappato Doc e al Terre Siciliane Frappato Igp.

Pare che io sia l’ultima creatura di Cortese, una rinomata azienda vitivinicola di Contrada Sabuci, sempre a Vittoria. I tecnici dicono che io nasca da un fenotipo ("l'insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali di un organismo, quali risultano dall'espressione del suo genotipo e dalle influenze ambientali", sostiene una certa Wikipedia: boh, fate un po' voi) selezionato all’interno della stessa azienda. 

I miei grappoli vengono raccolti a mano fra metà e fine settembre e l’uva, dopo una notte in celle-frigo, che la abbassa a 6-8°, viene diraspata e pigiata con ogni riguardo (per fortuna!). Ha luogo quindi la prima fermentazione per una decina di giorni a temperatura controllata, intorno ai 20°, seguita dalla seconda, la malolattica (trasforma l’acido malico in lattico e pare che così diventi più morbido, ricco e fine: evviva!). 

Poi maturo per 4-6 mesi nei serbatoi inox, durante i quali vengono movimentate le cosiddette fecce nobili o fini, che al contrario di quelle grossolane, donano al vino sentori gradevoli. 

Tant’è che, dopo l’imbottigliamento e un ulteriore affinamento nel vetro, una volta stappata la bottiglia e versato nel bicchiere, mi presento di un bel colore rubino brillante, profumo – dicono – soprattutto di fragolina di bosco, seguito da ribes rosso e prugna, spezie dolci e fogliame.                                                                           

Uva Frappato

E ora - ahimè - la fine, ma anche la mia sublimazione: mi si beve! Dicono che io sia fresco, sapido e persistente, ben equilibrato e di nobili tannini. E così nobiliterei, sostengono i sommelier, anche i piatti di pesce, quali Pasta con tonno fresco e pomodorini, Busiata (pasta lunga trapanese) con le sarde rosse, Pesce spada alla messinese, Tonno alla griglia, Alici alla pizzaiola. E ancora, polpette di carne e melanzane, tasca di vitello ripiena, salumi e formaggi saporiti. 

Addio, ma se volete ritracciarmi e saperne di più:

Nostru, Frappato Terre Siciliane Igp 2023 – Vino biologico, 12 € la bottiglia. Società agricola Cortese, C.da Sabuci, Vittoria (Ragusa), www.agricolacortese.com 

 

 

...al Triveneto

Sangue di Giuda. No, ogni tanto faccio confusione sul mio nome, che non è umano in effetti, ma...infernale. Ebbene sì, ho un’anima rabbiosa, non sono facile da coltivare – dicono – un’anima ribelle. E infatti i miei padroni di Ca’di Rajo mi hanno chiamato Sangue del Diavolo! E l’ira, come non potrei averla nella linfa, con quel nome che mi affibbiarono i prima coltivatori: Raboso

Sono un purosangue veneto e ho storia bimillenaria, se è vero che Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) mi cita nella sua

Uva Raboso del Piave
Naturalis Historia , collocandomi nel territorio del fiume Piave. Nel Seicento, poi, mi chiamavano Vin Moro, almeno nella Serenissima Repubblica di Venezia e già avevo gran successo, nonostante la mia acidità o forse anche per quella, dato che la stessa mi permetteva di resistere ai lunghi viaggi in mare senza rovinarmi. Ma, con un salto quasi ai nostri giorni, i vostri vecchi mi trovavano all’osteria come rabbioso vino da tavola, servito sfuso o in fiaschi, magari anche frizzante. Finché nel 1971 mi fu affibbiata una espressione che voi chiamate Doc, Doc Piave. E finalmente (ma -grrrr – non so se ne posso esserne lieto) aggiustarono il mio carattere ribelle, tramite varie “cure”. 

Qui a Ca’ di Rajo il 10% delle mie uve vengono fatte appassire dai fratelli Cecchetto su graticci per 40 giorni e poi, trasformate in vino, maturano in barrique per 1 anno. Il restante 90% è già surmaturato in pianta e quindi viene immesso in botti grandi per 2 anni. Quindi, finalmente, ci riuniamo e in conclusione ci cacciano, gentilmente per fortuna, nelle bottiglie.
Allegria! Ora sono pronto per essere versato nei lieti calici. Vedo narici che si chinano sui bordi, voci che sentenziano di aromi di mora, marasca, prugna, accenni speziati fra il pepe e la cannella, finali di cuoio e tabacco (boh, io non ho mai fumato). Alla loro bocca sembra che io appaia secco e di buona 

struttura, però anche morbido e sapido, piacevolmente tannico (i tannini – sostengono i saputelli – sono utilissimi per bilanciare piatti “grassi”, dal sapore intenso, come quelli di selvaggina, carni rosse, salumi, formaggi saporiti). E quindi? Quindi, sommelier ed enotecari spesso mi consigliano su Montasio stagionato oltre 10 mesi; Morlacco del Grappa; Sopressa Veneta; Risotto al radicchio con salsiccia; Bigoli coi rovinazzi (rigaglie di pollo); Stufato di agnello alle prugne; Capriolo al ragù; Grigliate di carne.

Insomma, la compagnia è buona. Ma ecco la mia carta d’identità. Scrivetemi e compratemi, se vi soddisfa...

Sangue del Diavolo, Raboso del Piave Doc 2020, 14,90 € la bottiglia; Ca’ di Rajo, via del Carmine 2/2, San Polo di Piave (Treviso), www.cadirajo.it 

 



Ci sono anch’io, ci sono anch’io. Mi volevano cacciare, in quanto bianco, ma io vado benissimo con certi piatti di carne – come il Vitello tonnato, la Suprême di pollo alle erbe, la piccola cacciagione (Tordi o Quaglie allo spiedo, Zuppa di fagianella nella zucca...). Con pesce e frutti di mare sono...poligamo, mi fidanzo e mi sposo più e più volte: per esempio, con i Bianchetti in insalata, la Vellutata di zucchine e vongole, o con un bel Risotto allo zafferano e cappesante; e ancora con Bigoli al ragù di pesce, Branzino in salsa di alici... 

Iconema Tai
Ma, oddiomio, non mi sono ancora presentato. Sono un Tocai, fra i più nobili del mondo, mi si stima, ma in Veneto mi chiamano semplicemente Tai – più veloce (e conforme alle leggi dell’Ue). Iconema è il mio nome e sono un vino della Doc Piave. Dell’ottima annata 2020. Mi fanno vivere i medesimi fratelli Cecchetto del Sangue del diavolo (brrr), in quel di San Polo, dove la mia mamma – l’uva – è stata allevata col particolarissimo e antico sistema della Bellussera, in cui le mie piante, grazie a un’architettura di pali e fili di ferro, crescono in altezza anche di qualche metro. 

Come procedono i miei patron? Le uve vengono tutte raccolte manualmente quasi arrampicandosi per giungere ai grappoli più alti, poi vengono adagiate su graticci ad appassire per 25 giorni, in modo – lo dico in tutta modestia – da esaltare la complessità e l’eleganza che mi contraddistingueranno. Alle quali contribuisce un complesso sistema di maturazione e affinamento in cantina. Infatti, una volta trasformato in vino, vengo diviso in tre parti uguali: la prima viene immessa in botti grandi e barrique, la seconda in tini d’acciaio e la terza in tini di ceramica da 400 litri. Dopo un anno mi assemblano tutto e m’imbottigliano.

Uva Tai del Piave

Ma sono raro. Del 2020 sono state prodotte solo 1200 bottiglie e 110 magnum. Mi attribuiscono un colore giallo paglierino, ma con riflessi dorati; mi si annusa e si avvertono profumi di mimosa, pera, papaya, erbe aromatiche e poi sentori di nocciola, vaniglia e un leggero affumicato. Al palato risulto secco con un’evidente - sento dire – nota salina, epperò anche morbido, strutturato, avvolgente.

Per esteso, mi chiamo Iconema, Tai del Piave Doc e una bottiglia del 2020 costa sui 33 €. Mi produce Ca’di Rajo, di cui trovate più sopra le restanti indicazioni. 

Ciao, anzi S-ciao: ebbene sì, il saluto più popolare in Italia e in molte parti del mondo, deriva del dialetto veneto, da s-ciavo, servo (vostro), a sua volta dal neolatino sclavus.

 

Rosso, sì, però la traduzione del mio aggettivo qualificativo è “scuro”, dunkel in tedesco. Ma c’è anche la versione kretzer, rosato molto apprezzato, mi dicono, già in tempi non sospetti di essere solo una moda. Mi chiamano Lagrein (per favore pronunciatemi “lagrain”, non “lagrein”).

Il mio regno è in Alto Adige, ma sono più internazionale di quanto si possa pensare. Mi credete nordtirolese, cioè austriaco? In realtà sarei nato in Francia e precisamente in Borgogna, nel XIII secolo. Figlio minore del Pinot nero. Ma pare, un po’ misteriosamente, che fino al Settecento fossi perlopiù un buon bianco (“Gueten weissen Lagrein”). Come rosso (rot Lagrein) però sono citato fin dal 1379 in un documento commerciale. Il mio nome potrebbe derivare dalla trentina Val Lagarina, o più anticamente da Lagara, una colonia della Magna Grecia, che corrisponde all’odierna Basilicata.

Sia come sia, oggi sono orgogliosamente altoatesino (anche se ho dei parenti in Trentino). 

Uva Lagrein
Le mie mamme, pardon uve, vengono coltivate nella Vigna Steinraffler (che mi dà il nome), in un pendio sotto la località Sella di Termeno/Tramin, su terreni morenici ghiaiosi, caratterizzati anche da rocce sedimentarie calcaree e depositi vulcanici (quando sento dire e ridire queste parolone dai tecnici, mi vien da esclamare: "Oh! Niente popodimeno che...").

Gli agronomi di Hofstätter, la mia casa madre, spesso discutono tra loro e mi pare dicano parole lusinghiere: “Da dove viene tutta questa eleganza del vino?” “Eh, caro mio, sono i freschi venti di montagna e la calda brezza Ora del Garda, che spira dal lago e che, mescolandosi, suscitano le prime avvisaglie di pienezza e finezza del vino”.

Ma che succede alle mie uve dopo la vendemmia? In cantina vengono diraspate e macerate brevemente, quindi il mosto fermenta per una decina di giorni, a contatto con le bucce, a temperature diverse per estrarne meglio il colore rosso e i sentori.  Poi maturo 15 mesi in piccoli botti e, dopo l’assemblaggio, altri 7 in una grande botte, sempre di rovere. Infine mi affino (e scusate il bisticcio) almeno un altro anno in bottiglia.

Mi vanto di un bel colore rubino, con qualche sfumatura viola. Sembra che emani profumi di frutti di bosco e liquirizia, funghi e pepe bianco, accompagnati da note “cioccolatose”.  E in bocca: secco ma vivace,
corposo; avvertono, i miei beventi, sapidità e un tannino morbido, quasi vellutato. E un finale avvolgente con una punta pepata.

Mi sposo volentieri a tavola con Knödel (o Canederli) allo Speck; Zuppa di lenticchie con bacon; Pappardelle con sugo di lepre; Camoscio al ginepro; Capriolo con salsa di mirtilli; e, ancora, Porchetta delle Marche; Pollo ai peperoni; Spalla di maiale in salsa BBQ; Formaggio di montagna speziato o al vino Lagrein (sì, proprio io, evviva).

Ed ecco la mia carta d’identità:

Vigna Steinraffler, Alto Adige Lagrein Doc 2019, 35 € la bottiglia, Hofstätter, piazza Municipio 7, Termeno (Bolzano), www.hofstatter.com 

 

 


Ciel sereno...E Po’ Folc: Poi il Fulmine!  Come in certi giorni di primavera...Po’ Folc è il mio nome in furlano. Così mi chiamano in Aganis, azienda agricola di Treppo Grande (Udine) nei Colli Orientali del Friuli, che è anche la mia Doc, che mi sostiene e indirizza. E finalmente veniamo al nome della mia uva, meno fulmineo e cioè Refosco dal peduncolo rosso. Le pianticelle, allevate sui 230 m. d’altitudine coi sistemi del doppio capovolto e del Guyot, allignano su un suolo chiamato ponca, costituito alternativamente da marne (argille) e arenarie (sabbie calcificate), le prime permeabili, le altre impermeabili e dure. E così l’eventuale acqua in eccesso viene smaltita rapidamente mantenendo l’equilibrio idrico e una bassa produzione per ceppo e lasciando concentrare quindi le sostanze migliori negli acini.

Questa cura minuziosa dei miei vigneti contribuisce ad attenuare il mio carattere di vino spigoloso, tannico e acido che un tempo mi contraddistingueva.

A trasformarmi da “vinaccio da osteria”, sia pure di carattere, a vino curato e di gran carattere contribuiscono anche le pratiche di cantina. L’uva raccolta dopo la vendemmia settembrina viene pressata con ogni cura e lasciata a macerare sulle bucce per un paio di settimane, finché si avvia la fermentazione a temperature che variano fra i 20 e i 24°. Poi, finalmente trasformato in vino, rimango in tini d’acciaio per l’80%, mentre per il restante 20% mi affino prima in barrique per 4 mesi e poi tutto insieme nelle bottiglie per parecchie settimane.


Refosco dal peduncolo rosso
Ho colore rosso rubino profondo - sento dire. More e ribes nero “saltano” al naso, seguite da violetta e sentori speziati. Sapido, secco, ma anche morbido (non sono più quel cattivone ribelle di una volta!), i miei tannini hanno smussato gli spigoli e lasciato uscire un gradito sentore di mandorle. Sento esclamazioni di pura gioia quando mi accostano a piatti di Bavette al tonno e salvia; Gnocchi di patate al sugo di brasato; Pappardelle al ragù bolognese; Salsiccia alla brace; Stinco di vitello al forno; Filetto di vitello ai funghi porcini; Spalla di maiale arrosto; Formadi frant; Latteria stagionato.

Vi siete un po’ persi? E, allora, ecco le mie credenziali, ben in ordine:

Po’ Folc, Colli Orientali del Friuli - Refosco dal peduncolo rosso Doc 2023, 13 - 15 € la bottiglia, Aganis, via Cocul 2, Treppo Grande (Udine), www.aganis.wine

 



Ah, sono proprio un incanto! Lo dicono anche i miei amorevoli produttori. Quindi, assaggiate anche me che sono bianco e ho tradizioni antiche almeno quanto il mio fratellino rosso qui sopra, please, anzi par plasê...Incjant mi hanno chiamato (incanto appunto) e il mio vitigno è il Tocai, (pardon, quel nome non si può più pronunciare – è riservato, anche se scritto diversamente - a un famoso vino ungherese), il Friulano, volevo dire, insomma per esteso la mia Doc è Colli Orientali del Friuli Friulano (caso mai non si fosse capito qual è la mia regione originaria).

Uva Friulano
Comunque l’uva, chiamata lecitamente Tocai friulano  fino al 2007,  fu probabilmente importata nella regione dalla Francia a metà Ottocento, in grazia del matrimonio fra il conte Teodoro de la Tour e la nobildonna Ervina Ritter. E, secondo studi avviati negli anni Settanta del ‘900, il Tocai friulano non era altro che il vitigno bordolese Sauvignonasse, oggi quasi scomparso. Niente a che fare dunque con nome e vino ungherese Tokaji, vinificato con altri uve.

Sono comunque forse il più noto e tradizionale bianco friulano e un po’me ne vanto: ho fama di vino “semplice” e diretto, popolare. Alessio Cecchetto di Aganis ha voluto però fare di me un vino più elegante, con un affinamento che ne abbassa un poco l’acidità in favore della morbidezza, senza puntare su lunghe permanenze in botti grandi. E così, dopo la vendemmia e la vinificazione, mi separano: un 20% va in barrique (le piccole botti da 228 litri) per 4 mesi, il resto in acciaio. Poi il tutto viene assemblato e lasciato per un altro periodo ad affinarsi in bottiglia.

Il mio colore? Il classico giallo paglierino, mi dicono, ma qualcuno aggiunge “con riflessi dorati”. Al naso, mandorla, poi acacia, cedro, pera e pesca. In bocca, fresco, secco, sapido con bel finale di mandorla e suggestioni minerali. 

E a che cosa mi abbinano a tavola? Beh, in tutta la regione il matrimonio d’amore del Friulano è con il Prosciutto di San Daniele, e come potrei io sottrarmi? Ma non solo. E allora, Branzino al forno; Risotto agli scampi; Crespelle ai funghi; Gnocchi di zucca al Taleggio; Cjiarsons (sorta di agnolotti dal ripieno dolce/salato) alle erbe; Zuppa di cipolle; Rane fritte; Lumache alla brindisina (con vino bianco, cipolle e alloro); Braciole di maiale marinate; Pollo fritto; formaggio Liptauer.

Riassumendo, mi chiamano:

Incjant, Colli Orientali del Friuli Friulano 2022 Doc, sui 13 € la bottiglia e il mio papà è Aganis (altri riferimenti, più sopra).

Vi saluto in stretto friulano: “Mandi!”.

 

 

...al Languedoc-Roussillon


Bonjours chers amis Italiens! Je suis le Syrah et…ma mi dicono di passare alla lingua del “bel paese là dove ‘l sì suona” (eh, ho studiato anch’io e conosco un peu il vostro Dante). Da noi, al Sud della Francia, per significare il sì suonava l’oc, l’oeil da cui poi derivò l’oui, al nord.


Donc, nasco nel meridione, sui terreni del Domaine de la Baume, una fattoria 
vitivinicola rimessa a nuovo (dopo le rovine della fillossera) nel 1882 da un agricoltore-visionario, Jean Prat il Vecchio che, aiutato dai figli, ripristinò 100 ettari di vigneto (in due decenni), avviò l’esportazione all’estero e aprì quindi una bottiglieria a Parigi nel 1900. Dopo diversi passaggi di proprietà, nella seconda parte del
Novecento, la gestione è stata presa in mano nel 2003 da Joseph Helfrich, ceo del gruppo Grands Chais de France, che l’ha ulteriormente riammodernata e riqualificata. 

I miei winemakers mi hanno chiamato la Jeunesse, perché non ho bisogno di lunghi invecchiamenti. Dopo la vendemmia su particolari terroir della tenuta e il trasferimento dell’uva in cantina, ha luogo la macerazione sulle bucce con una prefermentazione a freddo; poi si innesta la fermentazione vera, che si svolge a 25°. Segue la malolattica e la maturazione in vasi vinari di terracotta.

Tra le prerogative del Syrah – dicono – c’è quella di poter essere bevuto sia in gioventù sia dopo parecchi anni di maturazione. Ecco, come dice il mio nome, io sono la Giovinezza, ma non sono un baby. Il 2021 è stata un’annata molto buona da noi e così ora, alla fine del 2024, posso presentarmi agli intenditori con un bel colore porpora intenso. E un naso “molto espressivo”, come sento dire dai sommelier, in cui si riconoscono gli aromi di fragolina di bosco e menta piperita. In bocca, bella verve fresca, fruttato, rotondo, di grande equilibrio e lunga persistenza. Modestamente...

Grappolo di Syrah
I miei matrimoni d’amore in tavola? Eccoli: Tonnarelli alla carbonara; Risotto al tartufo; Agnello al timo; Rosticciana (costine di maiale speziate alla griglia); Tagliata di chianina con tartufo bianco; Bocconcini di capriolo in umido; Piccione al tartufo nero; Costine di agnello al rosmarino. E Formaggi stagionati, quali il Pélardon affiné del Languedoc, di almeno 30 giorni.
Passeport s’il vous plaît...Et voila:

La Jeunesse, Syrah - Pays d’Oc Igp 2021, 13-15 € la bottiglia, Domaine de la Baume, route de Pézenas, Servian, Francia, www.domaine-labaume.com  

 




Ma ci sono anch’io, Elisabeth. Sono una grande dame, perché cacciarmi qui in fondo? Vabbe,’ il solito maschilismo dei rossi. Comunque, non mi dilungherò sulla mia nascita, crescita, miracoli. 

In poche parole, sono fatta con l’uva bianca Viognier, tipica della valle del Rodano,

 coltivata su terreno argilloso, sabbioso e limoso... Fermento a bassa temperatura in tini d’acciaio e maturo sui lieviti per tre settimane. Poi mi affino per lunghi mesi in bottiglia. 
Mi scrutano in controluce nel bicchiere e sentenziano di un colore giallo paglierino brillante. All’olfatto, proclamano, si rincorrono l’albicocca e la scorza di mandarino, che sembra  trasformarsi subito dopo in un’arancia candita. Secco, fresco e di buon corpo 

in bocca ma con le medesime sensazioni nasali e un finale speziato.

Passeport:

Elisabeth, Viognier - Pays d'Oc Igp 2022, sui 14 € la bottiglia. Le altre indicazioni sono le stesse del mio fratellino Syrah (vedere più sopra). 

Au revoir et Santé!



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