sabato 9 novembre 2024

Rossi d’Italia e di Francia, fra le brume autunnali. Dalla Sicilia alla Linguadoca passando per il Triveneto

 




Le prime brume autunnali, qualche giornata più rigida e le piogge copiose fan venir voglia di lasciar da parte i bianchi estivi e di passare ai vini rossi. È sbagliato? No, i desideri vanno assecondati, ma cum grano salis. Cioè con discernimento. Riguardo a che? Alla temperatura, esterna e interna, al tempo e soprattutto all’abbinamento con i piatti. Ormai è abbastanza noto che, come in estate si possano bere con soddisfazioni vini rossi non troppo corposi o tannici con il pesce, così non c’è motivo di non accostare vini bianchi strutturati a piatti di carne non troppo salsati o di “brevi” cotture. Perline di saggezza popolare che ci portano diritto ai vini rossi. I quali si presentano qui in prima persona all’inclito pubblico dei beventi: si parte dalle Madonie e si arriva alle Alpi e persino Oltralpe. Con, in qualche caso, un piacevole addentellato...bianco.

 

 

Dalla Sicilia...

Sono il Frappato, ho gli acini neri e succosi e sono nato in Sicilia, anche se alcuni fanno risalire i miei antenati alla Spagna del Settecento. La mia terra d’elezione nell’isola è comunque la zona di Vittoria, nel Ragusano: qui, col Nero d’Avola entro nell’uvaggio dell’unica Docg siciliana, quella del Cerasuolo di Vittoria, a cui dono un caratteristico fruttato e, ebbene sì, una certa raffinatezza. In solitudine (qualcuna sostiene splendida) do luogo anche al Sicilia Frappato Doc e al Terre Siciliane Frappato Igp.

Pare che io sia l’ultima creatura di Cortese, una rinomata azienda vitivinicola di Contrada Sabuci, sempre a Vittoria. I tecnici dicono che io nasca da un fenotipo ("l'insieme delle caratteristiche morfologiche e funzionali di un organismo, quali risultano dall'espressione del suo genotipo e dalle influenze ambientali", sostiene una certa Wikipedia: boh, fate un po' voi) selezionato all’interno della stessa azienda. 

I miei grappoli vengono raccolti a mano fra metà e fine settembre e l’uva, dopo una notte in celle-frigo, che la abbassa a 6-8°, viene diraspata e pigiata con ogni riguardo (per fortuna!). Ha luogo quindi la prima fermentazione per una decina di giorni a temperatura controllata, intorno ai 20°, seguita dalla seconda, la malolattica (trasforma l’acido malico in lattico e pare che così diventi più morbido, ricco e fine: evviva!). 

Poi maturo per 4-6 mesi nei serbatoi inox, durante i quali vengono movimentate le cosiddette fecce nobili o fini, che al contrario di quelle grossolane, donano al vino sentori gradevoli. 

Tant’è che, dopo l’imbottigliamento e un ulteriore affinamento nel vetro, una volta stappata la bottiglia e versato nel bicchiere, mi presento di un bel colore rubino brillante, profumo – dicono – soprattutto di fragolina di bosco, seguito da ribes rosso e prugna, spezie dolci e fogliame.                                                                           

Uva Frappato

E ora - ahimè - la fine, ma anche la mia sublimazione: mi si beve! Dicono che io sia fresco, sapido e persistente, ben equilibrato e di nobili tannini. E così nobiliterei, sostengono i sommelier, anche i piatti di pesce, quali Pasta con tonno fresco e pomodorini, Busiata (pasta lunga trapanese) con le sarde rosse, Pesce spada alla messinese, Tonno alla griglia, Alici alla pizzaiola. E ancora, polpette di carne e melanzane, tasca di vitello ripiena, salumi e formaggi saporiti. 

Addio, ma se volete ritracciarmi e saperne di più:

Nostru, Frappato Terre Siciliane Igp 2023 – Vino biologico, 12 € la bottiglia. Società agricola Cortese, C.da Sabuci, Vittoria (Ragusa), www.agricolacortese.com 

 

 

...al Triveneto

Sangue di Giuda. No, ogni tanto faccio confusione sul mio nome, che non è umano in effetti, ma...infernale. Ebbene sì, ho un’anima rabbiosa, non sono facile da coltivare – dicono – un’anima ribelle. E infatti i miei padroni di Ca’di Rajo mi hanno chiamato Sangue del Diavolo! E l’ira, come non potrei averla nella linfa, con quel nome che mi affibbiarono i prima coltivatori: Raboso

Sono un purosangue veneto e ho storia bimillenaria, se è vero che Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) mi cita nella sua

Uva Raboso del Piave
Naturalis Historia , collocandomi nel territorio del fiume Piave. Nel Seicento, poi, mi chiamavano Vin Moro, almeno nella Serenissima Repubblica di Venezia e già avevo gran successo, nonostante la mia acidità o forse anche per quella, dato che la stessa mi permetteva di resistere ai lunghi viaggi in mare senza rovinarmi. Ma, con un salto quasi ai nostri giorni, i vostri vecchi mi trovavano all’osteria come rabbioso vino da tavola, servito sfuso o in fiaschi, magari anche frizzante. Finché nel 1971 mi fu affibbiata una espressione che voi chiamate Doc, Doc Piave. E finalmente (ma -grrrr – non so se ne posso esserne lieto) aggiustarono il mio carattere ribelle, tramite varie “cure”. 

Qui a Ca’ di Rajo il 10% delle mie uve vengono fatte appassire dai fratelli Cecchetto su graticci per 40 giorni e poi, trasformate in vino, maturano in barrique per 1 anno. Il restante 90% è già surmaturato in pianta e quindi viene immesso in botti grandi per 2 anni. Quindi, finalmente, ci riuniamo e in conclusione ci cacciano, gentilmente per fortuna, nelle bottiglie.
Allegria! Ora sono pronto per essere versato nei lieti calici. Vedo narici che si chinano sui bordi, voci che sentenziano di aromi di mora, marasca, prugna, accenni speziati fra il pepe e la cannella, finali di cuoio e tabacco (boh, io non ho mai fumato). Alla loro bocca sembra che io appaia secco e di buona 

struttura, però anche morbido e sapido, piacevolmente tannico (i tannini – sostengono i saputelli – sono utilissimi per bilanciare piatti “grassi”, dal sapore intenso, come quelli di selvaggina, carni rosse, salumi, formaggi saporiti). E quindi? Quindi, sommelier ed enotecari spesso mi consigliano su Montasio stagionato oltre 10 mesi; Morlacco del Grappa; Sopressa Veneta; Risotto al radicchio con salsiccia; Bigoli coi rovinazzi (rigaglie di pollo); Stufato di agnello alle prugne; Capriolo al ragù; Grigliate di carne.

Insomma, la compagnia è buona. Ma ecco la mia carta d’identità. Scrivetemi e compratemi, se vi soddisfa...

Sangue del Diavolo, Raboso del Piave Doc 2020, 14,90 € la bottiglia; Ca’ di Rajo, via del Carmine 2/2, San Polo di Piave (Treviso), www.cadirajo.it 

 



Ci sono anch’io, ci sono anch’io. Mi volevano cacciare, in quanto bianco, ma io vado benissimo con certi piatti di carne – come il Vitello tonnato, la Suprême di pollo alle erbe, la piccola cacciagione (Tordi o Quaglie allo spiedo, Zuppa di fagianella nella zucca...). Con pesce e frutti di mare sono...poligamo, mi fidanzo e mi sposo più e più volte: per esempio, con i Bianchetti in insalata, la Vellutata di zucchine e vongole, o con un bel Risotto allo zafferano e cappesante; e ancora con Bigoli al ragù di pesce, Branzino in salsa di alici... 

Iconema Tai
Ma, oddiomio, non mi sono ancora presentato. Sono un Tocai, fra i più nobili del mondo, mi si stima, ma in Veneto mi chiamano semplicemente Tai – più veloce (e conforme alle leggi dell’Ue). Iconema è il mio nome e sono un vino della Doc Piave. Dell’ottima annata 2020. Mi fanno vivere i medesimi fratelli Cecchetto del Sangue del diavolo (brrr), in quel di San Polo, dove la mia mamma – l’uva – è stata allevata col particolarissimo e antico sistema della Bellussera, in cui le mie piante, grazie a un’architettura di pali e fili di ferro, crescono in altezza anche di qualche metro. 

Come procedono i miei patron? Le uve vengono tutte raccolte manualmente quasi arrampicandosi per giungere ai grappoli più alti, poi vengono adagiate su graticci ad appassire per 25 giorni, in modo – lo dico in tutta modestia – da esaltare la complessità e l’eleganza che mi contraddistingueranno. Alle quali contribuisce un complesso sistema di maturazione e affinamento in cantina. Infatti, una volta trasformato in vino, vengo diviso in tre parti uguali: la prima viene immessa in botti grandi e barrique, la seconda in tini d’acciaio e la terza in tini di ceramica da 400 litri. Dopo un anno mi assemblano tutto e m’imbottigliano.

Uva Tai del Piave

Ma sono raro. Del 2020 sono state prodotte solo 1200 bottiglie e 110 magnum. Mi attribuiscono un colore giallo paglierino, ma con riflessi dorati; mi si annusa e si avvertono profumi di mimosa, pera, papaya, erbe aromatiche e poi sentori di nocciola, vaniglia e un leggero affumicato. Al palato risulto secco con un’evidente - sento dire – nota salina, epperò anche morbido, strutturato, avvolgente.

Per esteso, mi chiamo Iconema, Tai del Piave Doc e una bottiglia del 2020 costa sui 33 €. Mi produce Ca’di Rajo, di cui trovate più sopra le restanti indicazioni. 

Ciao, anzi S-ciao: ebbene sì, il saluto più popolare in Italia e in molte parti del mondo, deriva del dialetto veneto, da s-ciavo, servo (vostro), a sua volta dal neolatino sclavus.

 

Rosso, sì, però la traduzione del mio aggettivo qualificativo è “scuro”, dunkel in tedesco. Ma c’è anche la versione kretzer, rosato molto apprezzato, mi dicono, già in tempi non sospetti di essere solo una moda. Mi chiamano Lagrein (per favore pronunciatemi “lagrain”, non “lagrein”).

Il mio regno è in Alto Adige, ma sono più internazionale di quanto si possa pensare. Mi credete nordtirolese, cioè austriaco? In realtà sarei nato in Francia e precisamente in Borgogna, nel XIII secolo. Figlio minore del Pinot nero. Ma pare, un po’ misteriosamente, che fino al Settecento fossi perlopiù un buon bianco (“Gueten weissen Lagrein”). Come rosso (rot Lagrein) però sono citato fin dal 1379 in un documento commerciale. Il mio nome potrebbe derivare dalla trentina Val Lagarina, o più anticamente da Lagara, una colonia della Magna Grecia, che corrisponde all’odierna Basilicata.

Sia come sia, oggi sono orgogliosamente altoatesino (anche se ho dei parenti in Trentino). 

Uva Lagrein
Le mie mamme, pardon uve, vengono coltivate nella Vigna Steinraffler (che mi dà il nome), in un pendio sotto la località Sella di Termeno/Tramin, su terreni morenici ghiaiosi, caratterizzati anche da rocce sedimentarie calcaree e depositi vulcanici (quando sento dire e ridire queste parolone dai tecnici, mi vien da esclamare: "Oh! Niente popodimeno che...").

Gli agronomi di Hofstätter, la mia casa madre, spesso discutono tra loro e mi pare dicano parole lusinghiere: “Da dove viene tutta questa eleganza del vino?” “Eh, caro mio, sono i freschi venti di montagna e la calda brezza Ora del Garda, che spira dal lago e che, mescolandosi, suscitano le prime avvisaglie di pienezza e finezza del vino”.

Ma che succede alle mie uve dopo la vendemmia? In cantina vengono diraspate e macerate brevemente, quindi il mosto fermenta per una decina di giorni, a contatto con le bucce, a temperature diverse per estrarne meglio il colore rosso e i sentori.  Poi maturo 15 mesi in piccoli botti e, dopo l’assemblaggio, altri 7 in una grande botte, sempre di rovere. Infine mi affino (e scusate il bisticcio) almeno un altro anno in bottiglia.

Mi vanto di un bel colore rubino, con qualche sfumatura viola. Sembra che emani profumi di frutti di bosco e liquirizia, funghi e pepe bianco, accompagnati da note “cioccolatose”.  E in bocca: secco ma vivace,
corposo; avvertono, i miei beventi, sapidità e un tannino morbido, quasi vellutato. E un finale avvolgente con una punta pepata.

Mi sposo volentieri a tavola con Knödel (o Canederli) allo Speck; Zuppa di lenticchie con bacon; Pappardelle con sugo di lepre; Camoscio al ginepro; Capriolo con salsa di mirtilli; e, ancora, Porchetta delle Marche; Pollo ai peperoni; Spalla di maiale in salsa BBQ; Formaggio di montagna speziato o al vino Lagrein (sì, proprio io, evviva).

Ed ecco la mia carta d’identità:

Vigna Steinraffler, Alto Adige Lagrein Doc 2019, 35 € la bottiglia, Hofstätter, piazza Municipio 7, Termeno (Bolzano), www.hofstatter.com 

 

 


Ciel sereno...E Po’ Folc: Poi il Fulmine!  Come in certi giorni di primavera...Po’ Folc è il mio nome in furlano. Così mi chiamano in Aganis, azienda agricola di Treppo Grande (Udine) nei Colli Orientali del Friuli, che è anche la mia Doc, che mi sostiene e indirizza. E finalmente veniamo al nome della mia uva, meno fulmineo e cioè Refosco dal peduncolo rosso. Le pianticelle, allevate sui 230 m. d’altitudine coi sistemi del doppio capovolto e del Guyot, allignano su un suolo chiamato ponca, costituito alternativamente da marne (argille) e arenarie (sabbie calcificate), le prime permeabili, le altre impermeabili e dure. E così l’eventuale acqua in eccesso viene smaltita rapidamente mantenendo l’equilibrio idrico e una bassa produzione per ceppo e lasciando concentrare quindi le sostanze migliori negli acini.

Questa cura minuziosa dei miei vigneti contribuisce ad attenuare il mio carattere di vino spigoloso, tannico e acido che un tempo mi contraddistingueva.

A trasformarmi da “vinaccio da osteria”, sia pure di carattere, a vino curato e di gran carattere contribuiscono anche le pratiche di cantina. L’uva raccolta dopo la vendemmia settembrina viene pressata con ogni cura e lasciata a macerare sulle bucce per un paio di settimane, finché si avvia la fermentazione a temperature che variano fra i 20 e i 24°. Poi, finalmente trasformato in vino, rimango in tini d’acciaio per l’80%, mentre per il restante 20% mi affino prima in barrique per 4 mesi e poi tutto insieme nelle bottiglie per parecchie settimane.


Refosco dal peduncolo rosso
Ho colore rosso rubino profondo - sento dire. More e ribes nero “saltano” al naso, seguite da violetta e sentori speziati. Sapido, secco, ma anche morbido (non sono più quel cattivone ribelle di una volta!), i miei tannini hanno smussato gli spigoli e lasciato uscire un gradito sentore di mandorle. Sento esclamazioni di pura gioia quando mi accostano a piatti di Bavette al tonno e salvia; Gnocchi di patate al sugo di brasato; Pappardelle al ragù bolognese; Salsiccia alla brace; Stinco di vitello al forno; Filetto di vitello ai funghi porcini; Spalla di maiale arrosto; Formadi frant; Latteria stagionato.

Vi siete un po’ persi? E, allora, ecco le mie credenziali, ben in ordine:

Po’ Folc, Colli Orientali del Friuli - Refosco dal peduncolo rosso Doc 2023, 13 - 15 € la bottiglia, Aganis, via Cocul 2, Treppo Grande (Udine), www.aganis.wine

 



Ah, sono proprio un incanto! Lo dicono anche i miei amorevoli produttori. Quindi, assaggiate anche me che sono bianco e ho tradizioni antiche almeno quanto il mio fratellino rosso qui sopra, please, anzi par plasê...Incjant mi hanno chiamato (incanto appunto) e il mio vitigno è il Tocai, (pardon, quel nome non si può più pronunciare – è riservato, anche se scritto diversamente - a un famoso vino ungherese), il Friulano, volevo dire, insomma per esteso la mia Doc è Colli Orientali del Friuli Friulano (caso mai non si fosse capito qual è la mia regione originaria).

Uva Friulano
Comunque l’uva, chiamata lecitamente Tocai friulano  fino al 2007,  fu probabilmente importata nella regione dalla Francia a metà Ottocento, in grazia del matrimonio fra il conte Teodoro de la Tour e la nobildonna Ervina Ritter. E, secondo studi avviati negli anni Settanta del ‘900, il Tocai friulano non era altro che il vitigno bordolese Sauvignonasse, oggi quasi scomparso. Niente a che fare dunque con nome e vino ungherese Tokaji, vinificato con altri uve.

Sono comunque forse il più noto e tradizionale bianco friulano e un po’me ne vanto: ho fama di vino “semplice” e diretto, popolare. Alessio Cecchetto di Aganis ha voluto però fare di me un vino più elegante, con un affinamento che ne abbassa un poco l’acidità in favore della morbidezza, senza puntare su lunghe permanenze in botti grandi. E così, dopo la vendemmia e la vinificazione, mi separano: un 20% va in barrique (le piccole botti da 228 litri) per 4 mesi, il resto in acciaio. Poi il tutto viene assemblato e lasciato per un altro periodo ad affinarsi in bottiglia.

Il mio colore? Il classico giallo paglierino, mi dicono, ma qualcuno aggiunge “con riflessi dorati”. Al naso, mandorla, poi acacia, cedro, pera e pesca. In bocca, fresco, secco, sapido con bel finale di mandorla e suggestioni minerali. 

E a che cosa mi abbinano a tavola? Beh, in tutta la regione il matrimonio d’amore del Friulano è con il Prosciutto di San Daniele, e come potrei io sottrarmi? Ma non solo. E allora, Branzino al forno; Risotto agli scampi; Crespelle ai funghi; Gnocchi di zucca al Taleggio; Cjiarsons (sorta di agnolotti dal ripieno dolce/salato) alle erbe; Zuppa di cipolle; Rane fritte; Lumache alla brindisina (con vino bianco, cipolle e alloro); Braciole di maiale marinate; Pollo fritto; formaggio Liptauer.

Riassumendo, mi chiamano:

Incjant, Colli Orientali del Friuli Friulano 2022 Doc, sui 13 € la bottiglia e il mio papà è Aganis (altri riferimenti, più sopra).

Vi saluto in stretto friulano: “Mandi!”.

 

 

...al Languedoc-Roussillon


Bonjours chers amis Italiens! Je suis le Syrah et…ma mi dicono di passare alla lingua del “bel paese là dove ‘l sì suona” (eh, ho studiato anch’io e conosco un peu il vostro Dante). Da noi, al Sud della Francia, per significare il sì suonava l’oc, l’oeil da cui poi derivò l’oui, al nord.


Donc, nasco nel meridione, sui terreni del Domaine de la Baume, una fattoria 
vitivinicola rimessa a nuovo (dopo le rovine della fillossera) nel 1882 da un agricoltore-visionario, Jean Prat il Vecchio che, aiutato dai figli, ripristinò 100 ettari di vigneto (in due decenni), avviò l’esportazione all’estero e aprì quindi una bottiglieria a Parigi nel 1900. Dopo diversi passaggi di proprietà, nella seconda parte del
Novecento, la gestione è stata presa in mano nel 2003 da Joseph Helfrich, ceo del gruppo Grands Chais de France, che l’ha ulteriormente riammodernata e riqualificata. 

I miei winemakers mi hanno chiamato la Jeunesse, perché non ho bisogno di lunghi invecchiamenti. Dopo la vendemmia su particolari terroir della tenuta e il trasferimento dell’uva in cantina, ha luogo la macerazione sulle bucce con una prefermentazione a freddo; poi si innesta la fermentazione vera, che si svolge a 25°. Segue la malolattica e la maturazione in vasi vinari di terracotta.

Tra le prerogative del Syrah – dicono – c’è quella di poter essere bevuto sia in gioventù sia dopo parecchi anni di maturazione. Ecco, come dice il mio nome, io sono la Giovinezza, ma non sono un baby. Il 2021 è stata un’annata molto buona da noi e così ora, alla fine del 2024, posso presentarmi agli intenditori con un bel colore porpora intenso. E un naso “molto espressivo”, come sento dire dai sommelier, in cui si riconoscono gli aromi di fragolina di bosco e menta piperita. In bocca, bella verve fresca, fruttato, rotondo, di grande equilibrio e lunga persistenza. Modestamente...

Grappolo di Syrah
I miei matrimoni d’amore in tavola? Eccoli: Tonnarelli alla carbonara; Risotto al tartufo; Agnello al timo; Rosticciana (costine di maiale speziate alla griglia); Tagliata di chianina con tartufo bianco; Bocconcini di capriolo in umido; Piccione al tartufo nero; Costine di agnello al rosmarino. E Formaggi stagionati, quali il Pélardon affiné del Languedoc, di almeno 30 giorni.
Passeport s’il vous plaît...Et voila:

La Jeunesse, Syrah - Pays d’Oc Igp 2021, 13-15 € la bottiglia, Domaine de la Baume, route de Pézenas, Servian, Francia, www.domaine-labaume.com  

 




Ma ci sono anch’io, Elisabeth. Sono una grande dame, perché cacciarmi qui in fondo? Vabbe,’ il solito maschilismo dei rossi. Comunque, non mi dilungherò sulla mia nascita, crescita, miracoli. 

In poche parole, sono fatta con l’uva bianca Viognier, tipica della valle del Rodano,

 coltivata su terreno argilloso, sabbioso e limoso... Fermento a bassa temperatura in tini d’acciaio e maturo sui lieviti per tre settimane. Poi mi affino per lunghi mesi in bottiglia. 
Mi scrutano in controluce nel bicchiere e sentenziano di un colore giallo paglierino brillante. All’olfatto, proclamano, si rincorrono l’albicocca e la scorza di mandarino, che sembra  trasformarsi subito dopo in un’arancia candita. Secco, fresco e di buon corpo 

in bocca ma con le medesime sensazioni nasali e un finale speziato.

Passeport:

Elisabeth, Viognier - Pays d'Oc Igp 2022, sui 14 € la bottiglia. Le altre indicazioni sono le stesse del mio fratellino Syrah (vedere più sopra). 

Au revoir et Santé!



martedì 1 ottobre 2024

Il Pinot noir in 50 sfumature. A Voghera, da sabato a lunedì i grandi vini rossi dell'Oltrepò pavese, ma anche di tante regioni italiane e di paesi esteri

 


Cinquanta sfumature di grigio, di nero o di rosso? No, non si tratta della libraria e fortunata epopea erotica di El James, o degli analoghi film che ne sono stati ricavati nell’ultimo decennio. 50 Sfumature di Pinot Noir è una “saga” enoica (quest'anno alla V edizione) che, pur coniugando il nome di uno dei

più celebri vini del mondo alla francese, si svolge tra pochi giorni in Italia, Lombardia, Oltrepò pavese. E infine, a Voghera, centro vinicolo e industriale dell’Oltrepò, graziosa cittadina di 39mila abitanti, di origini romane e poi longobarde, franche e via via viscontee, sforzesche, spagnole, francesi, austriache, sabaude...Il Duomo, il Castello visconteo, il Museo di storia militare G. Beccari sono fra le glorie del luogo. Nonché...la non abbastanza famosa mostarda Barbieri, il peperone e la cipolla De.Co. (Denominazione comunale) e i dolci Zuppa Vogherese e Stracchino di Voghera.

Ma, ohibò, qui devesi parlar di vino. E dunque, si torni a bomba, anzi a damigiana. Se si vuol conoscere de visu, anzi, de ore (bocca) tutto ma proprio tutto sul Pinot nero, è d’obbligo venire a Voghera nel weekend lungo fra il 5 e il 7 ottobre, per la kermesse internazionale organizzata dal Movimento del Turismo del vino Lombardia (deus ex machina il suo presidente Carlo Pietrasanta), naturalmente con il sostegno delle varie istituzioni politiche lombarde, sindaco, assessori, sponsor ecc. 

Ma sentiamo Pietrasanta: “La manifestazione è un omaggio al vitigno principe dell’Oltrepò pavese, che con i suoi 3mila ettari coltivati a Pinot nero è la terza zona europea per importanza, dopo Borgogna e Champagne. A Voghera, ormai una delle capitali mondiali del Pinot noir saranno quindi presenti cantine di varie zone francesi (oltre alle già citate, Alsazia, Linguadoca, Occitania, Provenza) e poi Slovenia e persino la lontana Nuova Zelanda”. 

Però la parte del leone, oltre ovviamente all’Oltrepò, la faranno le regioni italiane, dal Piemonte al Trentino-Alto Adige, dal Friuli-Venezia Giulia a Marche e Umbria, e finanche Campania, Puglia e Sicilia, per non dire del resto della Lombardia.

Già, perché se non sono proprio 50, sono comunque tante le sfumature o meglio le versioni cui dà vita

Etichetta di un Romanée Conti '45,
il Pinot nero più famoso al mondo

l’uva Pinot nero, vitigno peraltro non facile da coltivare.

C’è la versione ferma, rossa e la versione bollicine (uva vinificata in bianco) più nobile: metodo classico italiano nonché lo Champagne francese; e non mancano i rosati e i vini frizzanti. 

Tutto questo vedrà la luce nella tre giorni vogherese, in un turbinio di degustazioni, talk show, persino concerti.

Sabato 5 e domenica 6 la manifestazione è aperta a tutti, dalle 11 alle 20 (domenica fino alle 19). Lunedì invece è riservato ai professionisti dell’Ho.Re.Ca. con un evento che si terrà all’Istituto Gallini dalle 10,30 alle 16. 

Come si partecipa? Acquistando l’apposito calice presso il Pinot Noir Point di piazza Duomo, o anche on line.

La mostarda vogherese
Tra le varie iniziative, meritano particolare segnalazione il talk show Pinot noir in scena, in diretta con gli House of wine: sabato 5, al Teatro Garavani (h 18) commenteranno tre versioni di Pinot noir: una dell’Oltrepò, una di altra zona italiana e una del “resto del mondo”. Poi, dopo l’aperitivo nel foyer (con, da sgranocchiare, il Riscotto (biscotto salato che sa di risotto al peperone di Voghera!), Concerto Vino e Lirica con le più celebri arie operistiche dedicate al vino (ahimè, non al Pinot nero in particolare: pare non ne esistano): musiche di Verdi, Donizetti, Mascagni, Handel, J. Strauss, Offenbach, ma anche di Gaber, Danzi. Interessanti anche gli incontri con Claudio Maspes dell’Aspi su Pinot Noir e cioccolato? (sabato alle 16, presso Ubik, via Emilia 102) e Quando bere una bollicina Metodo Classico? (domenica alle 11,30, medesimo indirizzo).

Ma dove si degustano le oltre 90 etichette di Pinot noir? Soprattutto nelle location del centro storico, bistrot, gastronomie, pasticcerie, ma anche librerie, show room e persino in una pescheria e una torrefazione; e poi in cortili e piazzette. E, per non farsi mancare niente, oltre ai pinot neri in purezza, si potrà provarli in cocktail, magari come spritz, o miscelati con un gin autoctono dell’Oltrepò. 

Info. Pinot noir Point: p.za Duomo 15. Contatti: 351 8809912,  segreteria@50sfumaturedipinotnoir.it   Per partecipare alle varie iniziative e degustazioni bisogna acquistare un ticket e ritirare il calice presso il Pinot Noir Point, al prezzo di 30 € (in prevendita sul sito, sino al 5 ottobre h 10, 25 €), che dà diritto a 8 degustazioni di vini italiani e di 1 internazionale, a una degustazione food by Provolone Valpadana Dop (in mappa al n. 47) e all’ingresso a Pinot noir in scena fino ad esaurimento posti. www.50sfumaturedipinotnoir.it


Alcuni Pinot nero dell'azienda oltrepadana Conte Vistarino




 

sabato 13 luglio 2024

Un salto in Sud Africa. Per provare l'esotico Chenin Blanc e lo spumante "champenois" Natural. Prodotti da Villiera Wines con un contributo...francese

 

I vigneti di Villiera a Stellenbosch (Sud Africa) 

Chenin blanc, questo sconosciuto? In Italia sì, o quasi. Anche se in realtà ha la sua brava Doc anch’esso, la siciliana Menfi, in versione sia ferma sia spumantizzata. È un vitigno a bacca bianca, che nasce in Francia, nella valle della Loira, dove, per l’alto livello di acidità, viene vinificato in vari modi, sia come spumante sia come vino fermo strutturato, e pure come passito dolce, magari da uve attaccate dalla muffa nobile. La vetta espressiva di questo vitigno è probabilmente raggiunta con i due cru della Aoc Savennières, Clos de la Coulée de Serrant e Roches-aux-Moines.

Si potrebbe quindi presumere che lo Chenin blanc sia maggiormente diffuso in Francia. Invece, se nell’Esagono occupa 9.000 ettari - di gran lunga più che in California (3.000) e in Argentina (3.000) - la sorpresa viene dal Sud Africa, dove da tempo è coltivato su ben 19.000 ha, costituendo il vitigno maggioritario in quel Paese: polivalente, può assumere stili differenti a seconda delle vinificazioni e maturazioni praticate dal produttore. 

Stellenbosch, città universitaria e zona viticola alle spalle di Città del Capo (a una cinquantina di km) è uno degli aerali più rinomati e antichi per la coltivazione delle viti sudafricane, naturalmente importate tutte dall’Europa nel corso dei secoli, a partire dal 1655. Qui risiedono gran parte delle aziende vitivinicole più famose, come Villiera Wines

Già nota dagli anni Venti del secolo scorso, ma come azienda di allevamento di pollame creata dalla famiglia Grier (inglese), solo successivamente fu impiantata con i primi vigneti; nel 1983 la terza generazione, avviò l’azienda vinicola, producendo l’anno dopo il primo Cap Classique, cioè uno spumante metodo champenois. Negli anni successivi la coltivazione e la conseguente produzione dei vini si espanse a varietà come Chenin blanc, Chardonnay, Sauvignon blanc, Cabernet e Merlot.

Nei primi mesi del 2023 l’azienda è stata acquistata del gruppo francese Les Grands Chais de France, appartenente alla famiglia Helfrich (un colosso della produzione e della distribuzione di vini di qualità in mezzo mondo), assieme alla tenuta Neethlingshof, fondata nel 1602 e rinomata soprattutto per i suoi vini rossi.

La gestione di Villiera Wines da parte del gruppo francese è particolarmente interessante, poiché si basa sulla sostenibilità e la tutela delle risorse ambientali. La proprietà si estende su 400 ha, di cui 180 a vigneti: per la tutela dell’acqua, quando necessario, questi vengono irrigati a goccia, anche tramite un sistema di raccolta dell’acqua piovana. All’interno della tenuta, poi, si è creato negli anni un ecosistema che comprende stormi di fagiani e faraone, volpi del Capo, manguste grigie e gru blu (in via di

estinzione); per non parlare delle api, da cui si “estraggono” mieli derivati da vari fiori, anche esotici. Nel 2009 è stato istituito un Wildlife Sanctuary di 22 ha per tutelare la fauna selvatica, introducendo anche numerosi animali, come gli springbok (antilopi saltanti) e le giraffe.

È poi in corso da anni il Pebbles Project, che consente ai bambini delle comunità agricole di accedere gratuitamente a programmi educativi, servizi sanitari, nutrizionali.

Ma veniamo ai vini di Villiera. Ne segnaliamo due: il primo naturalmente è uno Chenin blanc.

Chenin Blanc 2023. Le uve, provenienti per il 40% da vecchie vigne ad alberello, vengono raccolte manualmente, in parte minore con anticipo sulla maturazione, per donare freschezza (acidità) alla cuvée, e per il resto quando i grappoli hanno raggiunto la perfetta maturazione.

Dopo la pigiatura di questi ultimi, le bucce vengono lasciate a contato col mosto per circa 4 ore, mentre la uve colte in anticipo vengono pressata a grappolo intero. Dopo una decantazione notturna il mosto illimpidito viene lasciato fermentare a freddo spontaneamente, una metà in botti di rovere. Prima dell’imbottigliamento il mix dei due vini si affina sui lieviti per circa 2 mesi. Può evolversi bene fino al 2028.

Colore: giallo paglierino con riflessi verdolini. Al naso: profumi di salvia, agrumi, passion fruit, con un sussurro speziato. In bocca: abbastanza ricco, sapido e fruttato, di grande piacevolezza.

Abbinamenti: prosciutto e melone, gamberetti in salsa rosa, tonno alla griglia, crostacei e frutti di mare, carni bianche (pollo, tacchino), ma anche, volendo, formaggi a pasta molle e fondute.

Prezzo a bottiglia in enoteca: sui 20 € (ma su alcuni siti Internet, anche intorno ai 9 €).

 

Il secondo vino è uno spumante classico, o metodo champenois, per dirla alla francese.          

Villiera Natural 2019. Qui lo Chenin blanc cede il passo allo Chardonnay, sempre da vigneti di proprietà. Uve sane raccolte a mano e pigiate accuratamente ancora in grappoli. Alla prima
  fermentazione alcolica segue quella malolattica sulle fecce per circa sei mesi. Poi si procede alla seconda fermentazione in bottiglia, che darà luogo all’effervescenza, con una sosta prolungata per 4 anni sui lieviti; infine la sboccatura e il rabbocco senza aggiunta di liqueur zuccherina ma dello stesso vino.

Il colore è giallo paglierino; al naso sentori di lieviti e accenni di frutta matura; in bocca, crosta di pane, pane grigliato, sentori di frutta matura ed esotica. Finale abbastanza lungo, molto gradevole.

Abbinamenti: piacevole aperitivo, ottimo con primi piatti a base di crostacei, ma anche con cappesante gratinate e fritture di pesce.

Prezzo a bottiglia in enoteca: sui 30 € (ma su alcuni siti Internet, anche a circa 15 €).


InfoVilliera WinesCnr R304 & R101 Koelenhof Near, Stellenbosch, Sudafrica, tel. +27(0)218652002, villiera.com .

Les Grands Chais de France, 1 rue de la Division Leclerc, Petersbach (Alsazia, Francia), tel. +33(0)388717979, groupegcf.fr .

 

 

 

sabato 20 aprile 2024

Lungo il sentier che va per la campagna / tra filari di Grillo, Catarratto e Fiano / nasce Vanedda, gran bianco vittoriano


Sentiero di campagna, stradina poco battuta; in paese o in città, un vicoletto. Questo è in Sicilia una vanèdda. Ed è anche il nome che il trentino Stefano Girelli, titolare dell’Azienda vitivinicola Cortese di Vittoria, che sforna da tempo solo vini biologici e vegani, ha voluto dare al suo nuovo bianco siciliano. Venedda è dunque un Terre Siciliane Igp, dallo straordinario, almeno secondo chi scrive, rapporto qualità/prezzo. Il costo è di 16 € la bottiglia. Per la qualità, posso dire che è stata testata di recente attraverso una degustazione verticale che si è tenuta alle tavole del Ba Restaurant di Milano, e che ha riguardato sei annate, dalla 2021 alla 2016.  Prima di darne conto, sarà necessario fornire qualche ragguaglio sulla produzione. Premettendo che nelle campagne di Vittoria, città del sud dell’isola – la più giovane del libero consorzio comunale di Ragusa (essendo stata fondata nel 1607) – lo scorso anno, per due settimane d’estate si è registrata una temperatura massima di 47°. E non molto diversamente è andata negli anni precedenti.

Come si regolano da Cortese per affrontare il problema delle grandi calure e conseguenti siccità? “Nessuna standardizzazione, nessun intervento chimico, ogni lembo di terreno deve avere la chance di produrre secondo i propri ritmi, esprimendosi nella sua unicità”, sostiene Girelli. Solo metodi di fertilizzazione naturale, quindi, come il favino, prodotto in autonomia e recupero di tecniche di coltura tradizionale: biologico per necessità quasi più che per scelta.

Anche per la preziosa acqua estiva, si utilizza solo quella dell’invaso di una diga e non i pozzi per evitare d’impoverire le falde; poi, anche la pratica della confusione sessuale aiuta per il controllo dei parassiti. Ma non basta. Quest’anno si avvia un test di copertura delle foglie dei vigneti con reti che riflettono fra il 50 e il 70% del calore. Mentre tutta l’azienda ha raggiunto il 100% di autonomia per quanto riguarda l’elettricità grazie ai pannelli solari.

Ma vediamo come è fatto il Vanedda. Dopo la raccolta manuale, i grappoli di Grillo, Catarratto e Fiano vengono subito portati in un ambiente refrigerato per abbassare la loro temperatura a 10°; quindi si procede alla diraspatura e alla fermentazione, per circa due giorni, sulle bucce e in grandi botti di rovere (30 hl). Segue una sosta di maturazione di almeno sette mesi sui lieviti fini, per giungere all’imbottigliamento e a un ulteriore affinamento di sei mesi in bottiglia.

L’assaggio delle diverse annate è stato, più che facilitato, nobilitato dal pairing con i piatti del Ba Restaurant, uno dei migliori locali di cucina cinese di Milano, che utilizza sapientemente materie prime non solo orientali ma anche italiane. E così alle due annate più giovani, la 2021 (in commercio fra pochi mesi) e la 2020 è stato affiancata un’entrée di Gamberi rossi di Mazara del Vallo con crema di cocco, crumble morbido al cocco e lime candito. Eccellente il 2020, molto buono il 2021, che promette un’ulteriore, positiva evoluzione.

Alle 2019 e 2018 è stato abbinato un Abalone cotto lungamente, con riduzione di brodo tradizionale (pollo e cappesante) e caviale Kaluga Amur (ricavato dagli storioni Acipenser Schrenkii Huso Dauricus del fiume Amur) [foto a sinistra]. Meglio la 2019, intensamente aromatica, concentrata, della 2018, un’annata non facile, con problemi fito-sanitari dovuti più che al caldo alle piogge cadute anche nelle prime settimane estive. E quindi un poco più “anonima”.

Alle annate 2017 e 2016 è toccata in sorte... una squisita Selezione di ravioli ripieni. Rispettivamente di Barbabietola e cappesanteBranzino e il suo fumettoCavolo viola, astice e la sua bisqueEdamame (fagioli di soia raccolti acerbi) e tartufo neroSalmone e wasabi con salsa scottataAnatra piccante e ciuffi di porro (foto a destra). Ravioli inenarrabili per bontà e finezza, e vini all’altezza: forse meglio il 2016, quasi morbido, equilibrato, amichevole; un po’ più scontroso il 2017, che sembra però in grado di evolversi positivamente abbastanza a lungo.

L’analisi organolettica del Vanedda, pur nella diversità sottile delle annate, si può riassumere in un bel colore giallo dorato, profumi tropicali e di spezie dolci. Secco e suadente in bocca, ricco, di giusta acidità, di lunga persistenza. Gran vino per un prezzo che risulta piuttosto contenuto in rapporto alla qualità.

Sorpresa finale con l’ultimo piatto - le Capesante XO (scottate e servite con una salsa XO fatta in casa, piccantina e dal sapore umami), asparagi, salsa al foie gras e chips al Prosciutto di Parma - un differente vino bianco, anzi no, aranciato: L’Insieme Orange 2021 di Santa Tresa (altra azienda vinicola dei Girelli), indovinato mix di Inzolia e Zibibbo dai sentori esotici e agrumati. 

[Una più ampia disamina di questo vino si trova nelle pagine precedenti, in data Lunedì 4 dicembre 2023, nell’articolo intitolato “Dalla Mosella alla Vittoria, ecco i vini per le feste. Bianchi, rossi, rosati e aranciati. Di tutti i colori, per tutti i gusti”].


InfoPer il Vanedda: Az. Agr. Cortese, contr. Sabuci, Vittoria (Ragusa), tel. 0932.875615, www.agricolacortese.com .

Per L’Insieme Orange: Santa Tresa, contr. Santa Tresa, Vittoria (Ragusa), tel. 0932.875615,  www.santatresa.com .

Ba Restaurant, via Raffaello Sanzio 22, Milano, tel. 02.4693206, ba-restaurant.com . I prezzi nel menu dei piatti assaggiati: Gamberi rossi, 24 €; Abalone e caviale Kaluga Amur 20 €; i ravioli vanno dai 3 ai 6 € l’uno in piatti da 1 a 4 pezzi. Capesante XO 33 €.


Nota linguistica. Si dovrebbe dire e scrivere: cappasanta e non capasanta, trattandosi "di nome dialettale veneto della conchiglia di San Giacomo" (Grande Enciclopedia della gastronomia, a cura di Marco Guarnaschelli Gotti, Selezione dal Reader's Digest o, più recente, Mondadori Doc). Ho lasciato la seconda dizione quando vengono citati i nomi dei piatti, ovviamente stabiliti dal ristorante.

mercoledì 17 aprile 2024

Alla (ri)scoperta di Denominazioni poco note: Capriano del Colle e Montenetto di Brescia, magistralmente interpretate da Franco Poli alla Cascina Nuova di Poncarale

 

Brindisi en plein air della famiglia Poli (La Cascina Nuova - Poncarale, BS) con i vini di Capriano del Colle

“Festeggia con noi i 50 anni della Cantina!”, recita la locandina-post su Facebook di La Cascina Nuova Azienda Vinicola – VinoeRelax. Che così continua: “Sabato 20 e domenica 21 aprile dalle 14 alle 18, degustazione gratuita di due nuovi vini, il Capriano del Colle Tairam 2019 e il Casino Borghetti 1851. Visita alla cantina alle ore 15.30. Prenotazione consigliata!”. I cellulari di riferimento sono quelli del titolare Franco Poli (349.8536896) e di sua figlia Anna (338.8782225). Qui c’è subito da precisare che il vino Casino Borghetti non è dell’annata 1851, bensì della vendemmia 2020: il 1851 è l’anno che compare sui documenti del Catasto austriaco; il casino era un piccolo edificio utilizzato per la pigiatura dell’uva e poi come riferimento per scampagnate domenicali e ritrovo per battute di caccia alla volpe. E Carlo Borghetti, un aristocratico bresciano cui la novella moglie (e ricca vedova) Marietta Manessi Sigurtà donò il casino stesso, a lui intitolandolo. Tracce consistenti dell’edificio, scoperte da pochi anni, sono inglobate nella cantina, fondata dagli albergatori e ristoratori Odilla e Matteo Poli, genitori dell’attuale titolare Franco, nel 1977.      

Vini de La Cascina Nuova: da sinistra, Casino Borghetti 1851, Capriano
del Colle Riserva Tenuta Anna, Cabernet e Merlot della Igt Montenetto

 
Dotata di una grande sala, con l’esposizione delle bottiglie in vendita, i tavoloni per assaggi e merende e di un dehors rustico per ricevere gli ospiti dell'enoturismo VinoeRelax, è circondata dalle vigne del Parco del Monte Netto, un altopiano dall’altitudine massima di 133 m., collocato nella parte nord della Bassa bresciana, fra i territori comunali di Capriano del Colle, Flero e Poncarale. Salumi, formaggi, polenta e salsiccia costituiscono i piatti forti dell’enoturismo, alle cui tavolate si possono naturalmente assaggiare anche i vini della piccola ma cospicua produzione dei Poli. Circa 12mila bottiglie che comprendono la Doc Capriano del Colle, la Igt Montenetto più qualche vino "da tavola". I vigneti de La Cascina Nuova coprono 3 ettari di terreno, suddivisi quasi perfettamente tra Poncarale e Capriano del Colle, cui si deve aggiungere un ettaro e mezzo di boschi e campi, fra i quali trovano albergo, in 23 arnie, circa 2 milioni di api, che producono uno squisito miele Millefiori. Le rese per ettaro delle uve sono piuttosto basse, comprese fra i 70 e gli 85 q.li, per una coltivazione che ha ridotto al minimo i trattamenti antiparassitari, grazie anche a vigneti vecchi di 40/50 anni, poco produttivi, ma di radicamento profondo, il che consente estrazione di acqua utilissima durante i periodi siccitosi. In cantina, sapiente utilizzo di vasche di cemento e tini d’acciaio, poche barrique (da 225 l.), un maggior numero di tonneau (550 l.) e una sola botte grande da 10 hl. 

Le uve coltivate sono Cabernet e Merlot che, vinificate in purezza, danno vita alle corrispondenti Igt Montenetto di Brescia: più asciutta e “vegetale” la prima, più rotonda e sapida la seconda. E poi ci sono

le uve bianche e rosse per i vini della Doc Capriano del Colle: Trebbiano Turbiana, Soave, Malvasia danno luogo a un bianco base. Pinot bianco e nero (vinificato in bianco) agli spumanti. 

 L’Ancestrale (foto a sinistra), per esempio, è un fresco e morbido spumante che nasce appunto da uve Pinot bianco e nero e da Trebbiano Turbiana (di Lugana). Il nome ovviamente deriva dal metodo di produzione, “ancestrale”: in sostanza il più antico, in uso ancor oggi, basato su una parziale rifermentazione in bottiglia,  senza aggiunta di lieviti esterni e senza sboccatura (prezzo a bottiglia: 18 €).

Queste viti, impiantate nel 1974, sono coltivate nell’appezzamento Vigna Le Querce, nel comune di Poncarale, su terreno argilloso e calcareo.  

A Capriano del Colle, nella Vigna Tenuta Anna, impiantata nel 1991, si coltivano Sangiovese, Marzemino e Barbera (su un terreno principalmente sabbioso), uve, le prime due, per la Doc Capriano.

Quest’ultima è senz’altro la principale della zona, ma è interessante sapere che la sua composizione è mutata nel tempo. Il primo disciplinare della Doc è del 1980; nel 1998 si aggiunge la denominazione Riserva, più invecchiata e secondo la formula "60% Sangiovese, 25% Marzemino, 15% Barbera". Ma nel 2011 il disciplinare ha un’importante modifica: in sostanza esce il Barbera ed entra il Merlot; e l’obbligo di una determinata percentuale diventa più...lasco. Dunque, Marzemino (in zona chiamato anche Berzemino), minimo 40%, Merlot, minimo 20% e Sangiovese, minimo 10%. Il che lascia spazio anche a vini piuttosto diversi fra loro e mano parzialmente libera alla perizia e al gusto del produttore. 

Polenta e salsiccia
La Riserva ha un periodo di maturazione in cantina (possibilmente in legno) di almeno 24 mesi.

Alla Cascina Nuova le percentuali utilizzate nell’ultima annata in commercio per la Riserva Tenuta Anna 2015 sono del 40% per il Marzemino, 40% per il Sangiovese, 20% per il Merlot. Ne risulta un vino dal colore rubino con riflessi granati, di buona struttura e corpo alleggeriti dai tannini e dalla freschezza. Al naso, prevale la ciliegia, contornata da sentori di china, un tenue floreale, poi cenni di cacao. In bocca, secco, rotondo, persistente, finale lungo. 2.000 bottiglie (con un potenziale di un altro migliaio imbottigliabile). Prezzo in cantina: 12 €. Costa invece 8 € il Capriano del Colle rosso 2018, per il quale sono state prodotte circa 1.300 bottiglie. 

Salumi squisiti da VinoeRelax
La vendita del vino si effettua solo in loco o comunque su ordinazione.

Sono vini molto longevi quelli dei Poli: lo ha confermato una recente degustazione di Capriano del Colle Riserva di cinque vecchie annate, dal 2001 al 1997, in magnum. Tutti si erano conservato in cantina perfettamente, i tannini si erano evoluti lasciando emergere una morbidezza accattivante ben sorretta dalla struttura. Peccato che...non ce ne sia più. Ma la Riserva Vigna Tenuta Anna 2015 è all’altezza dei suoi predecessori. In attesa di degustare anche i nuovi Capriano Tairam 2019 e Casino Borghetti 2020.

Info. Az. Agr. La Cascina Nuova – VinoeRelax, loc. Cascina Nuova 10, Poncarale (Brescia), cell. 338.8782225 (Anna), 349.8536896 (Franco).