lunedì 7 gennaio 2013

Chatwin (24 anni dopo) e le sue moleskine






Bruce Chatwin in una celebre foto.
Note-book, tablet, smartphone, va bene. Volete dire, con questo, che taccuini e quadernetti sono anticaglia? E allora come spiegare il successo che riscuotono a fine anno vecchio e inizio nuovo, con calendarietto o meno, i vari moleskine? Il motivo in fondo è semplice. La manualità come voglia-abitudine ancestrale di usare le dita per scrivere sopravvive e si coniuga - soprattutto in viaggio - con una certa praticità. E soprattutto in zone non agevoli, che ancora esistono, lungo quegli itinerari che solo una minoranza compie ancora, alla stregua non di turisti, ma di autentici viaggiatori: ci si sente viaggiatori, appunto, scrittori forse, nel vergare le proprie impressioni a mano, con la  penna, la biro, addirittura a matita. Il mio vecchio amico Manfro (Giampiero Manfredini) viaggiava con un piccolo set di matite colorate. Scriveva a penna, ma disegnava a matita, paesaggi, piantine, personaggi, che a volte colorava subito o la sera, magari dopo una cena e una bevuta di quelle giuste. Lui se ne è andato nel 1997 a 49 anni. Bruce Chatwin, il grande scrittore di Sheffield, nel 1989, a 48 anni, il 18 gennaio. Ambedue in viaggio utilizzavano solo quelle agendine che in Francia venivano chiamate moleskine.  Secondo il Raoul Bloch (dizionario di francese edito da Zanichelli) è vocabolo femminile (si può scrivere anche: molesquine), che indica la “finta pelle, similpelle” o anche, perdendo la e finale (moleskin), la pelle di talpa.
Il racconto di Chatwin sulle moleskine, alle pagg. 214-215
edite nella Biblioteca Adelphi.
Non è finita qui, perché la storia di queste agendine, ha un risvolto tutto italiano: il nome è diventato un brevetto, una marca, sul finire degli anni Novanta, come non lo era mai stato. E per merito di un napoletano, dopo che “quei” taccuini, si erano persi. Non proprio dimenticati, però. Li aveva anzi resi immortali proprio Chatwin, dedicandogli una pagina di uno dei suoi romanzi più belli, Le vie dei Canti. Scrive: “In Francia questi taccuini si chiamavano carnets moleskines: moleskine, in questo caso, è la rilegatura di tela cerata nera. Ogni volta che andavo a Parigi ne compravo una scorta in una papeterie di Rue de l’Ancienne Comedie”. E continua raccontando come la padrona della cartoleria, poco prima che lui partisse per l’Australia, l’avesse avvertito che ormai era difficile trovarli per una serie di problemi della fabbrica produttrice. Chatwin si affretta a ordinarne cento e la proprietaria gli dice che s’informerà, di ripassare. Tenta di andare a mangiare alla famosa Brasserie Lipp, ma è tutto pieno, non lo riconoscono e deve andarsene. Poche ore dopo, già di cattivo umore, la cartolaia gli comunica che il fabbricante è morto: “Lei si tolse gli occhiali e, con espressione quasi luttuosa, annunciò: Le vrai moleskine n’est plus”. Era il 1986. Purtroppo, quelli che aveva gli sarebbero bastati. Lo scrittore sarebbe mancato tre anni dopo.
La copertina de Le Vie dei Canti (Adelphi)
Ma la storia se non delle vere, almeno delle redivive moleskine, ricomincia nel 1997.
Quando Francesco Franceschi un piccolo imprenditore napoletano con sede a Milano, divenuto noto anche per aver lanciato le t-shirt letterarie “Parole di cotone”, chiede alla sua collaboratrice Maria Sebregondi, una signora genovese laureata a Napoli, romana di adozione, scrittrice e traduttrice (nonché oggi direttrice della Brand Equity di Moleskine) un’idea per un nuovo prodotto inerente il tema del viaggio. E lei propone di recuperare le mitiche, ma poco note agendine, brevettando come marchio il nome.
Una mia Moleskine di qualche anno fa.
Non basta, bisogna creare un appeal culturale. E quale migliore, se non quello di essere stata l’agenda di Chatwin, che ne aveva anche scritto? Già che c’erano, quelli di Modo & Modo, l’azienda di Franceschi che nove anni dopo sarebbe stata rivenduta agli attuali proprietari, il fondo Syntegra Capital, attaccarono alla Moleskine altri personaggi, come Hemingway, Picasso, Matisse, Céline, tutta gente illustre, che aveva comunque posseduto taccuini più o meno simili. E anche Luis Sépulveda, al quale almeno si sa che ne aveva regalato uno lo stesso Chatwin, per il viaggio progettato insieme in Patagonia, che poi lo scrittore inglese avrebbe compiuto da solo. L’altra idea geniale fu quella di distribuire le Moleskine, almeno inizialmente, solo nelle librerie: accanto a libri scritti, potenziali libri tutti da scrivere.
Oggi il taccuino di Chatwin è una piccola potenza. Dei 250 modelli in produzione, se ne vendono circa 15 milioni ogni anno nel mondo, il 15% in Italia. Certo, è curato in ogni dettaglio, dalla legatura a mano all’elastico al soffietto interno. Ma si può dire che il successo è arrivato senza l’utilizzo di pubblicità, solo con un’intelligente azione di marketing alle spalle, che mirava e mira a suscitare le pulsioni culturali del potenziale acquirente. In fondo, basta rigirarsela fra le mani, la Moleskine e scrivere qualche riga in viaggio, magari con una vecchia stilografica, per sentirsi un po’ Chatwin.

Il taccuino: Moleskine, prezzi a partire da 12 €. Il nuovo Evernote Smart Notebook consente di archiviare il testo scritto a mano in formato elettronico, fotografandolo con smatphone o tablet. 24,95 € sul sito store.moleskine.com.
Il libro: Le vie dei Canti, di Bruce Chatwin, gli Adelphi, 12 € (su www.adelphi.it, 6,99€).
Il ristorante: Brasserie Lipp, 151 Boulevard Saint-Germain, Parigi, tel. 0033.1.45485391.

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